CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 febbraio 2020, n. 3755
Tributi – Accertamento – Fatture false per operazioni inesistenti – Fornitore implicato a vario titolo in operazioni con fatturazioni inesistenti – Onere di prova contraria a carico del contribuente
Rilevato
che il contribuente S.A. propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR del Piemonte, che aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso due sentenze della CTP di Torino, di cui una aveva accolto il ricorso del contribuente avverso avviso accertamento IRPEF 2006, 2007 e 2008 ed un’altra aveva accolto il ricorso del medesimo contribuente avverso avviso accertamento IRPEF 2009, previa riunione dei due procedimenti;
Considerato
che il ricorso è affidato a due motivi;
che con il primo motivo, il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., in quanto la motivazione della sentenza impugnata era priva di fondamento logico ed inidonea ad integrare il minimo motivazionale necessario a supportare la decisione adottata; così non era esaustivo il richiamo ad un’asserita genericità delle fatture emesse nei suoi confronti da C. S., anche perché esso contribuente aveva documentato l’esistenza di un contratto intercorso con il C., in forza del quale il C. aveva emesso le fatture contestate, la cui mancanza di data certa non produceva alcuna conseguenza giuridica; era poi generica l’affermazione secondo cui le fatture erano da ritenere false in quanto emesse da soggetto che risultava essere legale rappresentante di società implicate a vario titolo in operazioni con fatturazioni inesistenti, né era condivisibile l’avere la sentenza impugnata ritenuto non attendibili e quindi false le fatture, di cui era causa, per presunte incongruenze fra prestazioni rese e fatturate, stante l’impossibilità per esso contribuente di fornire la prova contraria;
che con il secondo motivo, il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto la sentenza impugnata aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate senza tener conto di quanto da lui sostenuto in sua difesa, erroneamente avendo considerato privi di valore i contratti intercorsi con C. S. solo perché privi di data certa, mentre, al contrario, il C. aveva effettivamente svolto l’attività di intermediazione, per la quale aveva rilasciato fatture; inoltre non corrispondeva al vero che non vi era corrispondenza fra l’importo indicato nei contratti e quanto poi fatturato; era infine ininfluente che il C. ricoprisse contemporaneamente l’incarico di amministratore di 16 società, trattandosi di società avvicendatesi nel corso degli anni e costituiva comunque una mera petizione di principio l’avere ritenuto che la carica di amministratore ricoperta dal C. potesse essere incompatibile con l’attività di consulenza ed intermediazione da lui svolta nei suoi confronti;
che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso; che il contribuente ha altresì presentato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.;
che il primo motivo di ricorso è inammissibile, atteso che, con esso, il contribuente ha evidentemente reiterato nella presente sede di legittimità argomentazioni di merito, da lui già proposte innanzi alla CTR per sostenere la veridicità delle fatture emesse nei suoi confronti da tale C. S., fatture viceversa ritenute dalla CTR false per una serie di ragioni (loro genericità; circostanza che l’emittente delle fatture, C.S., era legale rappresentante di varie società implicate a vario titolo in operazioni con fatturazioni inesistenti; incongruenza delle prestazioni di servizio e dei corrispettivi fatturati; inadeguatezza dell’accordo sottoscritto il 9 gennaio 2006 fra il contribuente ed il C. per giustificare le fatture, siccome privo di data certa), complessivamente idonee ad illustrare l’iter logicogiuridico seguito per pervenire al giudizio finale di falsità delle fatture e, come tali, insindacabili nella presente sede di legittimità;
che invero, il contribuente si è limitato a riproporre innanzi a questa Corte le tesi difensive già svolte nella fase di merito e motivatamente disattese dal giudice d’appello, prospettandone ancora una volta il fondamento, in tal modo inammissibilmente trasformando il presente giudizio di legittimità in un’ulteriore fase di merito, mentre, al contrario, il compito del giudice di legittimità è solo quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, spettando unicamente a quest’ultimo individuare le fonti del proprio convincimento; assumere e valutare le prove; controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, fra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti, dando in tal modo liberamente prevalenza all’uno od all’altro elemento di prova acquisiti (cfr. Cass. n. 19547 del 2017);
che, per gli stessi motivi, è inammissibile il secondo motivo di ricorso, atteso che, anche con esso, il contribuente ha impropriamente riformulato nella presente sede di legittimità alcune censure di merito (mancanza di data certa delle fatture emesse da C. S.; non corrispondenza fra quanto indicato nei contratti e quanto poi fatturato; ininfluenza del fatto che il C. ricoprisse contemporaneamente l’incarico di amministratore di 16 società), sulle quali già si è pronunciata la CTR ed anche con riferimento a dette censure è da ritenere che il contribuente abbia inteso trasformare inammissibilmente il presente giudizio di legittimità in un’ulteriore fase di merito;
che il ricorso proposto dal contribuente va pertanto dichiarato inammissibile, con sua condanna al pagamento delle spese di giudizio, quantificate come in dispositivo;
che, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del contribuente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il contribuente al pagamento delle spese di giudizio, quantificate in € 4.000,00, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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