CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2020, n. 26290
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Eccezioni rimaste assorbite in primo grado – Formazione di giudicato interno – Condizioni
Fatto
Ritenuto che:
Il Consorzio I.t. s.r.l., ora CONSORZIO C.S., nell’anno 2008 si avvaleva delle agevolazioni previste dalla legge n. 240 del 21/05/1981 (provvidenze a favore dei consorzi e delle società consortili tra piccole e medie imprese) accantonando l’intero utile di bilancio anno 2008 nell’apposito fondo del passivo sterilizzando, mediante variazione in diminuzione per lo stesso importo, il reddito di impresa risultante dal quadro RF allegato alla dichiarazione, pari ad € 131.697,00.
L’Amministrazione finanziaria, sulla base della documentazione contabile esibita dalla contribuente a seguito di invito e della dichiarazione dei redditi mod. Unico/SC2009 regolarmente prodotta per l’anno 2008, rilevava la mancanza dei requisiti previsti dalla legge 240/1981 per fruire delle agevolazioni sicché emetteva un avviso di accertamento per l’anno 2008 per un reddito imponibile pari ad € 131.697,00 ed imposta dovuta nella misura di € 36.217,00, oltre a sanzioni ed interessi di legge.
La contribuente impugnava l’avviso avanti alla CTP di Campobasso la quale con sentenza n. 1298/2014 accoglieva il ricorso annullando il provvedimento in questione valorizzando esclusivamente la violazione del termine previsto dall’art 12, comma 7, della legge n. 212/2002 e ritenendo assorbiti gli ulteriori profili di contestazione sollevati dalla ricorrente.
Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva appello contestando l’applicazione della citata disposizione alla fattispecie in esame ed insistendo per la fondatezza della pretesa erariale.
Con sentenza n. 701/02/2018 la CTR del Molise rigettava l’appello osservando che l’Ufficio si era limitato a contestare unicamente il primo dei cinque motivi di opposizione introdotti dalla contribuente con il ricorso originario (ovvero quello relativo al difetto di contraddittorio endoprocedimentale) sicché in relazione agli altri quattro motivi di ricorso non contestati si era formato il giudicato. Rilevava in questa prospettiva che il disposto dell’art 115 c.p.c., là dove stabilisce che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita, costituisce un principio applicabile anche nel processo tributario.
La CTR riteneva che fosse un diritto-dovere delle parti, non solo quello di portare all’attenzione del Giudice le prove ritenute utili, ma anche e soprattutto di contestare specificamente e tempestivamente i fatti che l’altra parte afferma essere accaduti o non accaduti e che pertanto le eccezioni di diritto e di merito sollevate dal Consorzio e non esaminate dal giudice di prime cure in quanto rimaste assorbite, non essendo state contestate dall’Ufficio nell’atto di appello, dovevano considerarsi «valide, con il conseguente annullamento dell’avviso di accertamento».
Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte intimata non si è costituita.
Diritto
Ritenuto che:
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 346, 324 e 115 c.p.c. nonché dell’art 56 del d.lgs. n. 546/1992 in relazione all’art 360, primo comma, n. 4, c.p.c. Censura in particolare l’affermazione secondo cui le eccezioni di fatto e diritto non esaminate dai giudici di prime cure in quanto ritenute assorbite e non contestate dall’Ufficio nell’atto di gravame in base al principio della non contestazione, dovevano ritenersi” valide”.
Sostiene infatti che un tale assunto si porrebbe in aperto contrasto con il disposto dell’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 e degli orientamenti interpretativi della Suprema Corte.
Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
Lamenta infatti che la CTR si sarebbe pronunciata esclusivamente sulla ritenuta esistenza di un giudicato interno e sulla base di un erroneo presupposto, omettendo di pronunciarsi sull’eccepita violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000.
Il primo motivo è fondato.
Giova ricordare che nel processo tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato, ad esempio, perché ritenute assorbite (Cass. n.14534/2018).
Pertanto si è affermato, avuto riguardo al carattere impugnatorio del giudizio, alla qualità di attore in senso sostanziale rivestita dall’Ufficio ed all’indisponibilità della pretesa, alla quale l’Amministrazione non può rinunciare se non nei limiti di esercizio dell’autotutela, che, qualora l’Amministrazione sia soccombente in primo grado per un profilo preliminare di legittimità formale dell’atto, dalla circostanza che l’appello proposto abbia per oggetto solo la suddetta statuizione non può desumersi la rinuncia a far valere la pretesa tributaria (Cass. 12/06/2009, n. 13695; Cass. 30/12/2009, n. 28018).
Ciò premesso, nella specie la decisione di primo grado aveva accolto il ricorso sulla pretesa violazione dell’art 12, comma 7, dello statuto del contribuente (emissione dell’avviso di accertamento prima della scadenza dei 60 giorni previsti dalla norma), cosi ritenendo assorbite le contestazioni di merito relative alla pretesa tributaria.
L’Agenzia ha fatto appello su tale statuizione e la Commissione Regionale ha ritenuto a torto, alla luce dei principi sopra illustrati, che le questioni di merito relative alla pretesa impositiva in quanto non fatte oggetto di uno specifico motivo di gravame fossero non contestate e ormai coperte da un giudicato interno.
Il secondo motivo merita anche esso accoglimento.
La CTR, sull’erroneo presupposto della sussistenza di un giudicato interno, ha omesso di pronunciarsi sull’unica questione che era stata introdotta dall’Ufficio come motivo di gravame, ovvero l’eccepita violazione dell’art 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000.
La decisione impugnata va quindi cassata con rinvio alla CTR del Molise, la quale in diversa composizione dovrà pronunciarsi su tale motivo e su tutte le questioni rimaste assorbite, provvedendo anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
In particolare dovrà pronunciarsi sia sui motivi di appello proposti dall’Agenzia delle entrate, sia sui motivi di ricorso proposti in primo grado dal Consorzio ma rimasti assorbiti, ove ritualmente e tempestivamente riproposti in grado di appello, ex art. 56 d.lgs. n. 546 del 1992 (ex multis, Cass. n. 30444 del 2017, secondo cui «Nel processo tributario, l’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 impone la specifica riproposizione in appello, in modo chiaro ed univoco, sia pure “per relationem”, delle questioni non accolte dalla sentenza di primo grado, siano esse domande o eccezioni, sotto pena di definitiva rinuncia, sicché non è sufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale).
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria del Molise, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
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