CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 novembre 2020, n. 25417
Tributi – Imposta sulle successioni – Aliquote – Accertamento, liquidazione e riscossione dell’imposta – Omessa dichiarazione – Liquidazione d’ufficio dell’imposta da parte dell’Amministrazione finanziaria – Termine quinquennale ex art. 34, DPR n. 637 del 1972 – Successiva presentazione della dichiarazione – Permanenza dei poteri di rettifica in capo all’Amministrazione – Termine triennale dalla presentazione della dichiarazione
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1914/15, depositata il 15/09/2015, la CTR della Puglia (Sez. staccata di Taranto), dopo aver riunito due giudizi separati, ha accolto gli appelli proposti dall’Agenzia delle entrate, rigettando gli originari ricorsi dei contribuenti, relativi alla liquidazione dell’imposta di successione di A.G., deceduto il 05/04/1977, notificata ai coeredi il 05/04/2006 e il 06/04/2006, effettuata a seguito della presentazione della denuncia di successione da parte di uno di essi, A.M., in data 11/12/2003.
Il primo di tali ricorsi, proposto da A.M., ha avuto ad oggetto l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione.
Il secondo, proposto dagli altri coeredi (ora ricorrenti per cassazione), ha avuto ad oggetto la cartella di pagamento, successivamente emessa, portante l’iscrizione a ruolo dell’imposta di successione come sopra liquidata. Con tale atto, i contribuenti hanno chiesto la sospensione della cartella e, nel merito, hanno richiamato le allegazioni formulate da A.M. nell’altro giudizio.
Avverso la sentenza della CTR i coeredi A.M., A.G., C.R., A.L., A.A. hanno proposto ricorso per cassazione, formulando due motivi di impugnazione.
Tra gli intimati, solo l’Agenzia delle entrate si è difesa con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 36, comma 2, nn. 4) e 5), d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per avere la CTR omesso di statuire sui motivi di appello dell’Agenzia delle entrate che interessavano gli attuali ricorrenti per cassazione.
In particolare, questi ultimi hanno affermato che la CTR ha erroneamente ritenuto di dover statuire, con riferimento all’appello proposto nei loro confronti, tenendo in considerazione solo il petitum del giudizio di primo grado, riconducibile alla richiesta di sospensione della cartella, mentre invece avrebbe dovuto esaminare anche i motivi di appello formulati dall’Agenzia, inerenti la dedotta violazione dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, e le difese dei contribuenti sul punto.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 27, comma 4, d.lgs. n. 277 del 1990 (rectius, art. 27, comma 4, d.lgs. n. 346 del 1990), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per non avere la CTR considerato che, essendo il de cuius deceduto il 05/04/1977, la successione si era aperta durante la vigenza dell’art. 34 d.P.R. n. 632 del 1937 (poi abrogato), il quale, come il successivo art. 27, comma 4, d.lgs. n. 346 del 1990, prevedeva che, in caso di omessa presentazione della denuncia di successione, la relativa imposta avrebbe dovuto essere liquidata d’ufficio e notificata, a pena di decadenza, nel termine di cinque anni dall’apertura della successione, cosa che non era nella specie accaduta.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per evidente difetto di interesse.
I ricorrenti lamentano la mancata statuizione sui motivi di appello formulati dall’Agenzia delle entrate, e cioè della loro controparte, che non ha proposto impugnazione per cassazione, neppure in via incidentale, ma anzi ha chiesto il rigetto di questo motivo di ricorso. Essi pertanto non trarrebbero alcuna utilità dall’accoglimento del primo motivo di ricorso per cassazione.
Com’è noto, l’interesse all’impugnazione – inteso quale manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire, la cui assenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo – deve essere individuato in un i-nteresse giuridicamente tutelabile, da identificare con la concreta utilità derivante dalla rimozione della pronuncia censurata, la quale, ove inesistente, determina l’inammissibilità dell’impugnazione (cfr. da ultimo Cass., Sez. 6-5, n. 3991 del 18/02/2020, ma v. già Cass., Sez. U, n. 12637 del 19/05/2008).
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Deve preliminarmente rilevarsi che, nella specie, la successione si è aperta il 05/04/1977, data di decesso del de cuius.
All’epoca era vigente il d.P.R. n. 637 del 1972, entrato in vigore il 1° gennaio 1973 (art. 59 d.P.R. cit.).
Com’è noto, successivamente è stato adottato il d.lgs. n. 346 del 1990, il quale però ha disciplinato solo le successioni aperte dopo la sua entrata in vigore (1° gennaio 1991).
L’imposta sulle successioni è stata soppressa dalla l. n. 383 del 2001, le cui disposizioni si sono applicate alle successioni aperte dopo la sua entrata in vigore e, dunque, dopo il 25/10/2001 (art. 17 I. cit.).
Com’è noto, la medesima imposta è stata reintrodotta con l’art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, conv. con modif. in l. n. 286 del 2006, che ha richiamato le disposizioni del d.lgs. n. 346 del 1990.
Al momento della presentazione della dichiarazione di successione, in data 11/12/2003, l’imposta di successione era già soppressa dalla I. 383 del 2001, ma le disposizioni di tale legge non hanno riguardato la fattispecie in esame, perché la successione si è aperta prima della sua entrata in vigore.
In conclusione, anche se la dichiarazione di successione è stata presentata durante la vigenza di una diversa disciplina, la fattispecie deve ritenersi interamente disciplinata dal d.P.R. n. 637 del 1972.
3.1. Ai fini della decisione assume pertanto fondamentale rilievo il disposto dell’art. 34 d.P.R. cit., ove è stabilito quanto segue: «Se la dichiarazione è stata presentata l’imposta deve essere liquidata con avviso notificato, a pena di decadenza, nel termine di tre anni dalla data di presentazione della dichiarazione o da quella in cui è divenuto definitivo l’accertamento di maggior valore. In caso di omessa presentazione della dichiarazione la decadenza si verifica con il decorso di cinque anni dalla data di apertura della successione. L’intervenuta decadenza non dispensa dal pagamento dell’imposta in caso di presentazione volontaria della dichiarazione».
In particolare, si deve tenere presente che la norma appena riportata, dopo aver fissato in cinque anni dall’apertura della successione il termine di decadenza per procedere alla liquidazione d’ufficio dell’imposta, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione di successione, ha tuttavia precisato che l’intervenuta decadenza non dispensa dal pagamento dell’imposta, ove sia presentata volontariamente la dichiarazione di successione.
Tale disposizione significa che – sebbene, una volta decorsi cinque anni dall’apertura della successione, l’Amministrazione non possa più procedere alla liquidazione d’ufficio dell’imposta di successione, tuttavia – il contribuente resta giuridicamente (e non solo moralmente) obbligato al pagamento della stessa, se è lui a presentare la dichiarazione di successione (per un precedente specifico, v. Cass., Sez. 5, n. 694 del 16/01/2015).
3.2. Occorre tuttavia verificare se, in questi casi, l’Amministrazione, ancorché decaduta da potere di liquidare d’ufficio l’imposta, possa comunque verificare la dichiarazione di successione presentata, notificando, se del caso, un avviso per la maggiore imposta dovuta.
Come attentamente rilevato da questa Corte, a seguito dell’intervenuta decadenza il contribuente non è non più soggettato all’azione accertatrice dell’Ufficio, ma resta comunque destinatario dell’azione di riscossione (così, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 24927 del 06/12/2016).
In alcune decisioni, questa Corte ha precisato che, in effetti, poco conta che l’Amministrazione sia decaduta dal potere di accertamento, ove sia presentata, sia pure tardivamente, la dichiarazione di successione.
In questi casi, infatti, l’Amministrazione non deve accertare nulla, perché è il contribuente ad offrire i dati per la corretta liquidazione dell’imposta. Tuttavia, se in sede di autoliquidazione quest’ultimo compie degli errori, l’Amministrazione, può, anzi, deve procedere alla rettifica, notificando l’avviso di accertamento (così Cass., Sez. 5, n. 20967 del 13/09/2013; v. anche Cass., Sez. 5, n. 694 del 16/01/2015).
La decadenza maturata impedisce all’Amministrazione di procedere alla liquidazione dell’imposta d’ufficio, ma se, nonostante la decadenza, viene presentata la denuncia di successione, persistendo l’obbligo giuridico del contribuente di pagare l’imposta, permane il potere per l’amministrazione di operare la corretta sua liquidazione in base a quanto dichiarato, perché l’obbligo tributario, a cui il contribuente è tenuto ad adempiere, deve essere assolto in conformità alla legge.
In questi casi, l’Amministrazione può – anzi, deve – verificare la presenza di errori nell’autoliquidazione dell’imposta, sulla base della stessa dichiarazione di successione presentata, nel rispetto del termine decadenziale stabilito dal primo comma dell’art. 34 d.P.R. cit., che prevede la notifica dell’avviso di liquidazione entro tre anni dalla data di presentazione della dichiarazione.
3.3. Nella specie i ricorrenti si sono limitati ad allegare che, decorsi i cinque anni dall’apertura di successione, nessun atto avrebbe potuto costituire un valido titolo per pretendere il pagamento dell’imposta, senza tenere conto del disposto contenuto nell’ultimo comma dell’art. 34 d.P.R. n. 637 del 1972, la cui portata è stata sopra illustrata, sicché la censura non risulta meritevole di accoglimento.
4. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
In base al criterio della soccombenza, i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, sostenute dall’Agenzia delle entrate, liquidate in dispositivo.
Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata con riguardo alle altre parti che non hanno svolto attività difensiva.
5. In applicazione dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Agenzia delle entrate, che liquida in € 5.600,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito;
dà atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 1-quater, dell’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
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