CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 marzo 2021, n. 7920
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Appello – Divieto di proporre nuove eccezioni
Rilevato
che la C.M. s.r.l. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Caserta. Quest’ultima, a sua volta, aveva accolto l’impugnazione della società avverso cartella di pagamento IRES, per l’anno 2009;
Considerato
che il ricorso è affidato a tre motivi;
che, con il primo, la C.M. s.r.l. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 57 e 58 D. Lgs. n. 546/1992 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.: per un verso, la CTR avrebbe omesso di valutare l’iter processuale dettato dagli artt. 32, 57 e 58 D. Lgs n. 546/1992 e dall’altro, avrebbe consentito la formulazione, da parte dell’Agenzia, di domande ed eccezioni ormai precluse, perché non formulate in primo grado, stante la contumacia dell’Ufficio;
che, mediante il secondo, la ricorrente assume violazione e falsa applicazione degli artt. 6 comma 5° l. n. 212/2000, 36 bis DPR n. 600/1973 e 2697 c. c., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.: per un verso, la CTR avrebbe omesso di valutare l’iter processuale dettato dall’art. 6 comma 5° l. n. 212/2000, 36 bis DPR n. 600/1973 e 2697 c. c., e dall’altro, avrebbe erroneamente considerato prova documentale la semplice produzione di copie cartecee della comunicazione telematica effettuata all’intermediario e del tabulato dei parziali pagamenti;
che, attraverso l’ultimo, la società deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 25 comma 10 DPR n. 602/1973 e 2697 c. c., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.: per un verso, la CTR avrebbe omesso di esaminare l’intervenuta decadenza dal diritto alla riscossione della cartella di pagamento opposta., e dall’altro, avrebbe erroneamente considerato la rateizzazione atto idoneo ad interrompere la decadenza dell’obbligazione tributaria;
che l’intimata si è costituita con controricorso;
che la ricorrente ha depositato memoria nei termini;
che il primo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato;
che è inammissibile, nella parte in cui richiama l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., (come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134), il quale introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (sez. U, n. 8053 del 07/04/2014);
che l’omesso esame “dell’iter processuale” non costituisce evidentemente un fatto storico;
che è infondato, laddove richiama la violazione di legge, giacché, nel processo tributario di appello, la novità della domanda deve essere verificata in stretto riferimento alla pretesa effettivamente avanzata nell’atto impositivo impugnato e, quindi, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, poiché il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l’Ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall’atto impugnato, sia per quanto riguarda il petitum sia per quanto riguarda la causa petendi. Ne consegue che, per eccepire validamente la inammissibilità dell’appello per novità della domanda, è necessario dimostrare che gli elementi dedotti in secondo grado dall’Amministrazione non sono stati evidenziati neppure nel processo verbale di constatazione e nel conseguente avviso di accertamento oggetto dell’impugnazione (Sez. 5, n. 17231 del 27/06/2019);
che, d’altronde, in tema di contenzioso tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dall’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale:
esso, pertanto, non limita affatto la possibilità dell’Amministrazione di difendersi in tale giudizio, ove la sentenza impugnata abbia accolto una domanda avversaria per ragioni diverse da quelle dell’atto originariamente impugnato (Sez. 6-5, n. 31224 del 29/12/2017);
che, nella specie, la materia del contendere riguardava l’applicazione, da parte del giudice di primo grado, della decadenza dell’Amministrazione dal credito vantato, sicché l’assunto dell’Agenzia dell’inapplicabilità del relativo regime non costituiva un’eccezione in senso stretto;
che, infine, in materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 – in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima – non trova applicazione la preclusione di cui all’art. 345, comma 3, c.p.c. (nel testo introdotto dalla l. n. 69 del 2009), essendo la materia regolata dall’art. 58, comma 2, del citato d.lgs., che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Sez. 5, n. 27774 del 22/11/2017);
che il secondo motivo è inammissibile, sotto un duplice profilo;
che è inammissibile, nella parte in cui richiama l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., (come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134), per quanto già detto poc’anzi circa l’omesso esame “dell’iter processuale”, a proposito della prima censura;
che, inoltre, la questione inerente all’irregolarità delle copie cartacee prodotte ex adverso con l’atto di gravame non è stata sollevata avanti la CTR;
che il terzo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato;
che è inammissibile, nella parte in cui richiama ancora una volta l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., giacché l’omesso esame “dell’intervenuta decadenza” non costituisce evidentemente un fatto storico;
che è infondato nella parte in cui censura l’interpretazione della CTR riguardo all’art. 25 comma 10 lett. a) DPR n. 602/1973, il quale testualmente recita “Il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre: a) del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ovvero a quello di scadenza del versamento dell’unica o ultima rata se il termine per il versamento delle somme risultanti dalla dichiarazione scade oltre il 31 dicembre dell’anno in cui la dichiarazione è presentata, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nonché del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta per le somme che risultano dovute ai sensi degli articoli 19 e 20 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”;
che i giudici di appello hanno dunque correttamente applicato l’istituto della decadenza, avuto riguardo all’epoca di pagamento dell’ultima rata stabilita;
che, d’altronde, il dies a quo per il decorso della decadenza debba essere calcolato dal momento in cui il debitore avrebbe dovuto pagare e non paga (e non dal momento della presentazione dell’istanza) deriva dalla considerazione logica che l’estinzione parziale del credito d’imposta, in quanto non satisfattivo dell’integrale richiesta di rimborso, contiene la manifestazione di consapevolezza dell’esistenza del debito e comporta, una volta eseguito il pagamento, anche un implicito riconoscimento del debito stesso, sicché solo il mancato adempimento dell’ultima rata disvela l’intenzione di non ottemperare al pagamento e fa sorgere il diritto del creditore all’adempimento coattivo;
che pertanto il ricorso va respinto;
che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo; che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore dell’Agenzia delle Entrate, in euro 5.600, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1°bis, dello stesso articolo 13.
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