Corte di Cassazione ordinanza n . 10262 depositata il 30 marzo 2022
Imposta di registro, ipo-catastale – riqualificazione atti – esclusione
Ritenuto che
La società I. F. srl ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza con cui la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava il gravame proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, la quale aveva rigettato il ricorso avverso l’avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti della contribuente in relazione all’operazione di cessione di partecipazioni da essa posta in essere.
A fondamento dell’atto impugnato, l’Ufficio aveva ritenuto che tale operazione doveva essere riqualificata come cessione d’azienda e scontare l’imposta di registro in misura proporzionale in quanto i tre atti posti in essere dalla Ineos – e consistenti nella costituzione della società Sardinia Green Island srl (SGI), nel successivo conferimento ad essa di ramo d’azienda, e nella cessione da parte di Ineos delle quote sociali di SGI a Sardinia Private Investments Management srl (SPIM) – avrebbero realizzato un’unica fattispecie produttiva dell’unico effetto finale consistente nella cessione del ramo d’azienda che, come tale, doveva essere soggetta a imposta di registro in misura proporzionale. La Commissione tributaria provinciale di Milano rigettava il ricorso della contribuente con sentenza che veniva confermata dalla Commissione regionale della Lombardia.
Avverso tale decisione la Ineos deduce sei motivi di censura.
L’Agenzia ha depositato nota con la quale ha dichiarato di voler partecipare all’udienza.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, n. 4 cod. proc. civ. per mancata esposizione dei motivi in fatto e in diritto su cui si fonda la decisione impugnata. La CTR avrebbe reso una motivazione meramente apparente in quanto, limitandosi a rigettare la violazione dell’art. 12, comma 7, n. 212 del 2000 in relazione alla mancanza di contraddittorio e dell’art. 37-bis, d.P.R. n. 600 del 1973 che avevano costituito oggetto di specifica censura, non avrebbe illustrato le ragioni a fondamento di tale decisione.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 sull’omessa instaurazione del contraddittorio preventivo, in quanto l’avviso di liquidazione avrebbe dovuto essere preceduto dalla instaurazione del contraddittorio tra Amministrazione e contribuente, rientrando anche l’avviso di liquidazione tra gli atti impositivi per i quali esso è necessario.
Con il terzo motivo si lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360, 3 cod. proc. civ., dell’art. 37-bis, commi quarto e quinto, d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione al diritto al contraddittorio preventivo. La CTR avrebbe errato nel non ritenere violato il citato art. 37-bis dal momento che il riconoscimento all’art. 20 d.P.R. n. 131 del 1986 del carattere di natura di norma antielusiva, avrebbe reso necessaria la preventiva instaurazione del contraddittorio con la contribuente.
Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986 sulla natura dell’imposta di registro. I giudici d’appello avrebbero erroneamente avallato una lettura dell’art. 20 volta a valorizzare gli effetti che gli atti sottoposti a registrazione mirano a realizzare, mentre tale disposizione non avrebbe funzione antielusiva né attribuirebbe all’Amministrazione alcun potere di riqualificazione negoziale degli atti in funzione dei risultati economici perseguiti dalle parti.
Secondo la contribuente, la disposizione in parola consentirebbe all’Ufficio di ricostruire la reale natura dell’atto portato alla registrazione attraverso un esame complessivo dello stesso volto ad accertare la sua natura giuridica e senza essere vincolato al nomen iuris attribuito dalle parti, ma non potrebbe andare al di là della qualificazione civilistica e degli effetti giuridici desumibili dall’interpretazione complessiva dell’atto. Ciò sarebbe coerente con la natura dell’imposta di registro quale imposta d’atto.
Con il quinto motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986 in relazione agli artt. 2557 e ss. cod. civ., sull’errata interpretazione degli effetti giuridici ed economici dell’operazione. La CTR avrebbe confuso gli effetti giuridici con gli effetti economici degli atti sottoposti a registrazione erroneamente dando rilievo a questi ultimi, laddove invece l’art. 20, facendo riferimento ai primi, comporta che l’imposta di registro sia applicata in relazione allo schema giuridico che l’atto è idoneo a realizzare. Nella specie, gli effetti giuridici degli atti posti in essere sarebbero del tutto diversi dalla cessione d’azienda ritenuta dall’Ufficio, consistendo, quanto all’atto di conferimento, nell’acquisto della proprietà dell’azienda in capo alla conferitaria SGI, e quanto all’atto di compravendita delle partecipazioni, nell’acquisto della proprietà del capitale della conferitaria SGI, e non già dell’azienda in capo a SPIM.
Con il sesto motivo si deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 176, comma 3, d.P.R. n. 917 del 1986 sul riconoscimento della legittimità dell’operazione di specie da parte del sistema normativo.
L’operazione posta in essere dalla contribuente sarebbe prevista dall’ordinamento ed espressamente considerata non elusiva da parte dell’art. 176, comma 3, d.P.R. n. 917 del 1986. Inoltre, ai sensi dell’art. 10-bis, l. n. 212 del 2000, non sarebbe ravvisabile l’assenza di valide ragioni economiche all’operazione.
2. Ritiene il Collegio che occorre esaminare il quarto motivo in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., in forza del quale «la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.» (ex plurimis , sez. 5, n. 363 del 09/01/2019, Rv. 652184 – 01; sez. 5, n. 11458 del 11/05/2018, Rv. 648510 – 01; sez. un., n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490 – 01).
3. L’art. 20 citato, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 87, a), della l. 27 dicembre 2017, n. 205, stabiliva che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».
Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità tale disposizione, ai fini dell’interpretazione degli atti registrati, attribuiva prevalenza alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente, vincolando l’interprete a privilegiare il dato giuridico reale dell’effettiva causa concreta dell’operazione economica rispetto al tipo negoziale cui le parti hanno fatto ricorso e che, a tal fine, i concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria ed è possibile valutare circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali e, in particolare, anche di elementi desumibili da atti eventualmente collegati (cfr. Cass. 30 maggio 2018, n. 13610; Cass., ord., 20 marzo 2018, n. 7637; Cass., ord., 28 dicembre 2017, n. 31069).
Si riteneva, infatti, che la natura di “imposta d’atto” propria dell’imposta di registro, non fosse di ostacolo alla valorizzazione complessiva di elementi interpretativi esterni e di collegamento negoziale, poiché per «atto presentato alla registrazione» doveva intendersi l’insieme delle previsioni negoziali preordinate alla regolazione unitaria degli effetti giuridici derivanti dai vari negozi collegati. Il recupero di elementi negoziali esterni e collegati all’atto presentato alla registrazione era ritenuto rispondente all’esigenza di evidenziare la «causa reale dell’atto non potendo essere lasciata alla discrezionalità delle parti contribuenti né a quello che le parti abbiano dichiarato.
3.1 L’art. 1, comma 87, lett. a), l. n. 205 del 2017 ha modificato l’art. 20 nel senso che «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi». Attraverso tale previsione, il legislatore ha significativamente ristretto l’oggetto della interpretazione negoziale al solo atto e agli elementi solo da questo desumibili, non rilevando più gli elementi evincibili da atti eventualmente collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali (così, , sez. 5, n. 9065 del 01/04/2021, Rv. 661164 – 01; sez. 5, n. 23549 del 23/09/2019).
In talune pronunce successive, la Corte ha negato efficacia retroattiva alla novella, in quanto priva dei connotati della legge interpretativa, poiché, da un lato, introduceva limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie in assenza non previsti e, da un altro, non sussisteva sulla portata della disposizione un contrasto giurisprudenziale. Pertanto, si riteneva che la nuova disciplina fosse applicabile soltanto per gli atti stipulati successivamente alla data in vigore della stessa (Sez. 5, n. 4407 del 23/02/2018, Rv. 647209 – 01).
Il legislatore è quindi nuovamente intervenuto con la legge n. 145 del 2018, che, all’art. 1, comma 1084, ha espressamente qualificato la disposizione del 2017 come norma avente natura di interpretazione autentica dell’art. 20, con conseguente effetto retroattivo delle modifiche introdotte.
3.2 La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di tali interventi normativi, con la sentenza 158 del 2020, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 87 della L. n. 205 del 2017, dell’art. 1, comma 1084 della L. n. 145 del 2018, sollevata da questa Corte in relazione agli artt. 3 e 53 Cost.
Premesso che l’interpretazione evolutiva, cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità non equivale a priori a un’interpretazione costituzionalmente necessitata, la Consulta ha ritenuto che l’esclusione dalla rilevanza interpretativa degli elementi extratestuali e degli atti collegati, disposta dal legislatore con i menzionati interventi normativi del 2017 e 2018, non si pone in contrasto con i parametri invocati. Infatti, «il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico”, salvaguardando “la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico“».
Ha aggiunto che gli evocati parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost., non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, senza alcun rilievo di elementi tratti aliunde, «salvo quanto disposto dagli articoli successivi» dello stesso testo unico.
Ha inoltre evidenziato che l’interpretazione evolutiva dell’art. 20, incentrata sulla nozione di causa reale, non appare coerente con la sopravvenuta introduzione nell’ordinamento dell’articolo 10 bis della legge 212 del 2000, poiché «consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di ‘indebiti’ vantaggi fiscali e di operazioni ‘prive di sostanza economica’, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea)». Ciò non toglie – secondo il Giudice delle leggi – che eventuali condotte di sottrazione all’imposizione di effettiva ricchezza imponibile possano rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto, alla cui repressione, tuttavia, non è funzionale la disposizione di cui all’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986.
3.3 Con la successiva sentenza 39 del 2021 la Corte Costituzionale, oltre a ribadire la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1084 della l. n. 145 del 2018, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost., ha dichiarato infondate le censure concernenti la portata retroattiva imposto da tale disposizione alla modifica dell’art. 20 affermando che «la legittimità di un intervento che attribuisce forza retroattiva a una genuina norma di sistema non è contestabile nemmeno quando esso sia determinato dall’intento di rimediare a un’opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore», fermo restando che l’interpretazione di legittimità dell’art. 20 non risultava comunque del tutto monolitica, trovando anche forte dissenso nella dottrina. Inoltre, la modificazione legislativa non poteva considerarsi a tal punto ‘imprevedibile’ da palesarsi irragionevole (neppure nella sua attribuita efficacia retroattiva), ponendosi invece essa su un piano di rispettata «coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico».
3.4 Alla luce di tali pronunce questa Corte ha affermato che «In tema di imposte di registro, ipotecaria e catastale, il criterio interpretativo fissato dal P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017, a cui della L. n. 145 del 2018, ex art. 1, comma 1084, va riconosciuta efficacia retroattiva, deve essere inteso nel senso che l’Amministrazione finanziaria nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, pur non essendo tenuta a conformarsi alla qualificazione attribuita dalle parti, deve attenersi alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra-testuali e gli atti, pur collegati, ma privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, fatte salve le diverse ipotesi espressamente regolate» (Sez. 5, n. 2677 del 28/01/2022, Rv. 663752 – 01; n. 9065 del 01/04/2021, Rv. 661164 – 01; sez. 5, n. 10688 del 22/04/2021, Rv. 661130 – 01).
4.Nella specie, l’Agenzia delle entrate ha posto a fondamento dell’avviso di liquidazione impugnato la riqualificazione come operazione unitaria di cessione d’azienda degli atti negoziali intercorsi tra le società I.F., SGI e SPIM.
La CTR, nel condividere la tesi dell’Ufficio e ritenere applicabile l’imposta di registro a tali atti unitariamente considerati, non ha fatto corretta applicazione dell’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986 così come modificato dall’art. 1, comma 87, l. n. 205 del 2017, in quanto fondata su elementi interpretativi extratestuali rispetto all’atto presentato alla registrazione e, segnatamente, riconducibili ad un’ipotesi tipica di finalizzazione mediante collegamento negoziale.
Come affermato da questa Corte, le operazioni strutturate mediante conferimento d’azienda seguito dalla cessione di partecipazioni della società conferitaria non possono essere riqualificate in una cessione d’azienda e non configurano, di per sé, il conseguimento di un indebito vantaggio realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario (fatta salva l’ipotesi in cui tali operazioni siano seguite da ulteriori passaggi idonei a palesare la volontà di acquisire direttamente l’azienda), dal momento che oggetto di tassazione è il solo atto presentato per la registrazione attesa l’irrilevanza degli elementi extratestuali e degli atti collegati (Sez. 5, n. 25601 del 21/09/2021, Rv. 662282 – 01).
A quanto esposto consegue l’accoglimento del quarto motivo con assorbimento dei restanti. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con accoglimento del ricorso originario della contribuente.
Nulla deve essere disposto con riguardo alle spese del giudizio di legittimità in quanto l’Amministrazione finanziaria non ha svolto attività difensiva, essendosi costituita al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
Quanto alle spese dei gradi di merito, esse devono essere interamente compensate in ragione del recente consolidamento della giurisprudenza di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e,
decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario.
Nulla sulle spese del giudizio di legittimità. Compensa integralmente le spese dei gradi di merito.
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