Corte di Cassazione Ordinanza n. 1525 depositata il 18 gennaio 2023
doppia conforme di cui all’ 348-ter cpc – deducibilità spese pagate per accordo transattivo
Rilevato che:
1. Il 16 luglio 2015 l’Agenzia delle entrate notificò a C.L. – C.G. s.r.l. un avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione, a fini Irap, Ires e Iva, minori componenti negative di reddito per l’anno di imposta 2010, oltre ad irrogare
2. L’atto impositivo traeva origine da tre rilievi.
Con il primo, l’Amministrazione contestava alla società contribuente la non deducibilità degli importi di cui alle fatture emesse a suo carico da tale F. s.r.l., esposte alla voce “sopravvenienze passive cause e transazioni”, per un complessivo ammontare di € 109.651,76.
Tale importo era stato determinato in seguito ad una transazione intercorsa fra le parti dopo che erano sorte contestazioni fra loro in relazione al contratto di affitto concluso nel 2006, al quale le fatture afferivano; pertanto, ad avviso dell’Ufficio, la società aveva errato nel contabilizzarlo quale sopravvenienza passiva, essendo lo stesso riferibile non già al corrispettivo di prestazioni contrattuali effettivamente ricevute, ma al risarcimento del danno che essa aveva cagionato alla controparte con il proprio inadempimento al contratto in questione.
Con il secondo rilievo, l’Ufficio riprendeva a tassazione l’importo di € 44.452,00, relativo a costi afferenti all’acquisto di un edificio in leasing concluso nel 2005, sostenendo che vi fosse stato un errore nel relativo calcolo.
Il terzo rilievo, infine, concerneva il difetto di inerenza di alcune spese.
3. La società contribuente impugnò l’avviso innanzi alla C.T.P. di Genova, che accolse il ricorso in relazione ai primi due rilievi, fermo il restante.
La sentenza fu oggetto di separate impugnazioni delle parti innanzi alla C.T.R. della Liguria, la quale, riuniti i ricorsi, li respinse.
I giudici d’appello, in particolare, affermarono:
- quanto al primo rilievo, che le somme dovute dalla contribuente a F. s.r.l. erano state in un primo tempo “congelate” a causa del contenzioso insorto fra le parti; per questo, correttamente la società aveva omesso di registrare le fatture, non contabilizzando i relativi importi fino al permanere del contenzioso stante l’incertezza sul quantum debeatur, in base al meccanismo previsto dall’art. 109, comma primo, seconda parte, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (d’innanzi: t.u.i.r.);
- che sugli stessi importi, tuttavia, non andava detratta l’Iva, alla quale essi ultimi non erano assoggettati essendo dovuti «a titolo di penalità per ritardi o altre irregolarità nella esecuzione del contratto»;
- quanto al secondo rilievo, che la mancata contabilizzazione del corrispettivo per l’occupazione dell’area oggetto del contratto di leasing era dipesa dal fatto che la contribuente aveva iniziato a versarlo solo dopo il completamento dei lavori di ristrutturazione dell’immobile, in termini e misura conformi a quanto disposto dagli artt. 7, 7-bis e 8 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in l. n. 248/2006;
- quanto al terzo, che C.L. non aveva fornito prova idonea a far ritenere inerenti le spese contabilizzate, delle quali non era così emersa la natura di beneficio economico per l’impresa;
- quanto, infine, alle sanzioni applicate, che le stesse andavano commisurate al solo terzo rilievo dell’Ufficio – l’unico ritenuto fondato – ed applicate «nel minimo edittale ai sensi del d.lgs. 150/2015».
4. L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. L’intimata ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi.
Considerato che:
1. Con il primo motivo del ricorso principale, denunziando l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, l’amministrazione finanziaria assume che i giudici d’appello, statuendo sulla contabilizzazione delle sopravvenienze passive derivate dalla transazione intercorsa fra la contribuente e F. s.r.l., avrebbero completamente trascurato di considerare i rilievi esposti nell’avviso di accertamento, e ribaditi nei giudizi di merito, su cui si fonda la sua pretesa.
2. Il secondo motivo del ricorso principale denunzia falsa applicazione degli artt. 101 e 109 t.u.i.r.
L’Agenzia ricorrente assume al riguardo, con riferimento al medesimo tema oggetto del primo motivo, che la C.T.R. avrebbe erroneamente consentito alla contribuente la detrazione di somme relative a prestazioni contrattuali in realtà mai erogatele, e come tali insussistenti e contabilizzate al solo fine di generare un vantaggio fiscale.
3. Con il terzo motivo del ricorso principale l’Amministrazione svolge analoga censura con riferimento all’anno di imputazione dei costi indicati, evidenziando che le sopravvenienze, in ogni caso, traevano origine da una transazione intervenuta nel 2011 e, come tali, avrebbero potuto essere contabilizzate soltanto in quell’anno di imposta.
4. Il quarto motivo del ricorso principale denunzia violazione dell’art. 36, commi 7, 7-bis e 8, del d.l. n. 223/2006, in relazione al secondo rilievo.
Ad avviso della ricorrente Amministrazione, la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere corretta la metodologia di calcolo che la contribuente ha adottato per determinare il valore della quota indeducibile del terreno sul quale sorge il complesso immobiliare da lei acquistato in leasing; i giudici d’appello, in particolare, avrebbero omesso di considerare che, in base alle norme evocate, non è fiscalmente ammortizzabile il valore di un terreno sul quale insiste un fabbricato strumentale.
Ed invero, il contratto di leasing prevedeva un periodo di “prelocazione finanziaria” durante il quale l’immobile era stato sottoposto a ristrutturazione per esser più confacente alle esigenze della contribuente; pertanto, ad avviso dell’Ufficio, la quota indeducibile di ammortamento avrebbe dovuto comprendere i costi incrementativi sostenuti.
5. Con il quinto motivo, infine, l’Agenzia delle entrate deduce nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione, in relazione alla parte concernente le sanzioni.
La ricorrente evidenzia infatti che la riduzione di queste ultime al solo «terzo rilievo», genericamente indicato come tale, non consente di determinare l’importo dovuto e si presenta, altresì, come un dato contraddittorio rispetto ad altri punti della decisione.
6. Il primo motivo di ricorso incidentale denunzia omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio.
Secondo la contribuente, i giudici d’appello avrebbero errato nell’escludere l’assoggettamento ad Iva degli importi di cui alle fatture di F. s.r.l., in quanto «non registrate né ricevute», omettendo così di considerare che, invece, le stesse erano state correttamente emesse e contabilizzate.
7. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, num. 4, cod. proc. civ.
La contribuente sostiene al riguardo, in relazione al medesimo profilo di cui al primo motivo, che la sentenza d’appello presenterebbe una motivazione contraddittoria, laddove afferma che le somme da lei dovute a F. avevano titolo in penalità o indennizzo di ritardi (così da non essere assoggettate ad Iva) e, al contempo, che le stesse si configuravano in guisa di corrispettivo dovuto da C.L.. in base alle previsioni contrattuali.
8. I primi tre motivi del ricorso principale e i due motivi di ricorso incidentale ineriscono tutti al profilo della pretesa erariale riconducibile al primo rilievo dell’Ufficio.
8.1 Sul punto è opportuno ricostruire la cornice fattuale della vicenda.
La società contribuente ottenne da F. s.r.l. la disponibilità di locali ad uso magazzino e celle frigorifere per il periodo compreso fra il 1° maggio 2006 e il 31 maggio 2008.
Nel novembre del 2007 sorse un contenzioso fra le parti; C.L. convenne in lite la concedente per ottenere la risoluzione del contratto, nel frattempo sospendendo il pagamento dei canoni dovuti; F., escussa la prevista fidejussione, propose separati giudizi per il pagamento dei canoni impagati e il risarcimento dei danni.
I giudizi vennero tutti composti con transazione del 16 febbraio 2011; in quella sede, la contribuente si obbligò a pagare alla controparte l’importo di € 245.000,00, al netto di quanto già alla stessa versato.
Agli effetti fiscali di tale operazione, C.L. non registrò le fatture emesse dalla controparte relative ai canoni dovuti per il 2008, che contabilizzò soltanto nel 2010, ai fini delle imposte dirette e limitatamente alle minori somme indicate in transazione, che iscrisse a bilancio come sopravvenienze passive; più in particolare, l’importo indicato a tale titolo (pari ad € 109.651,76) costituiva la differenza fra il credito complessivo portato delle fatture e il debito finanziario residuo nei confronti della concedente, detratto quanto riconosciuto in transazione. Le stesse fatture, inoltre, vennero contabilizzate a fini Iva per i primi cinque mesi del 2008.
Per quanto emerge dagli avvisi di accertamento, riportati per stralci nel ricorso, l’Amministrazione rilevò, a fondamento della propria pretesa, che le prestazioni oggetto di tali fatture non erano mai state ricevute dalla contribuente – la quale aveva rilasciato spontaneamente i locali nel gennaio 2008 – e le somme oggetto di transazione erano state in realtà corrisposte a titolo di risarcimento dei danni, poiché gli stessi locali necessitavano di importanti opere di ripristino.
8.2 Ciò posto, la prima censura (di cui al ricorso principale) è inammissibile.
Al presente giudizio, infatti, si applica la previsione di cui all’art. 348-ter, comma quinto, cod. proc. civ., che esclude l’impugnabilità con ricorso per cassazione ex art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ. della sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado.
Al riguardo, va osservato che – per evitare siffatta inammissibilità – la ricorrente avrebbe dovuto indicare, e non l’ha fatto, le ragioni fattuali poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 8320/2022; Cass. n. 26774/2016).
8.3 La seconda censura (di cui al ricorso principale) non è fondata.
In punto alla deducibilità, come sopravvenienza passiva, della somma versata per effetto di accordo transattivo, quantunque con finalità risarcitoria, la sentenza impugnata si è infatti conformata all’orientamento di questa Corte secondo il quale le somme versate a tale titolo sono deducibili come sopravvenienze passive in quanto attengono al concreto svolgimento dell’attività di impresa – a titolo di responsabilità contrattuale o precontrattuale – e, dunque, funzionali al reddito e inerenti ai sensi dell’art. 109, comma quinto, t.u.i.r. (Cass. n. 28355/2019; v. anche Cass. n. 31930/2021; Cass. n. 5976/2015).
8.4 È invece fondato il terzo motivo del ricorso principale.
La stessa giurisprudenza poc’anzi richiamata si è infatti chiaramente espressa nel senso della deducibilità dei costi in questione come sopravvenienze passive nell’esercizio in cui interviene la relativa spesa; di tanto, del resto, appare cognita la stessa C.T.R., nell’affermare (pagine 3 e 4) che le fatture sono state correttamente contabilizzate nell’anno di definizione della controversia, errando tuttavia nell’indicazione di quest’ultimo, individuato nel 2010 anziché – come per dato pacifico – nell’anno successivo.
8.5 Quanto, infine, ai due motivi di ricorso incidentale, è inammissibile il primo, perché, analogamente al primo motivo del ricorso principale, denunzia l’omesso esame di una circostanza di fatto sulla quale è intervenuta una doppia decisione conforme nei due gradi di merito, senza indicare la possibile sussistenza di diverse argomentazioni nelle rispettive sedi.
È invece infondato il secondo motivo, che inferisce una causa di nullità della sentenza dal fatto che la stessa, nell’escludere la deducibilità ai fini Iva delle somme in questione con richiamo all’art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ne avrebbe contraddittoriamente ravvisato la causa in «penalità per ritardi o altre irregolarità nell’esecuzione del contratto» e, poco oltre, in «corrispettivo che la C.L. si era obbligata a corrispondere secondo le condizioni contrattuali».
Infatti, al di là dell’impiego di una terminologia non sempre appropriata, la sentenza impugnata riconduce con evidenza gli esborsi in questione al pagamento di penali stabilite dal regolamento contrattuale per irregolarità nelle modalità di fruizione degli spazi oggetto di concessione in godimento, e non, pertanto, a una funzione di corrispettivo della prestazione ricevuta dalla concedente, come evincibile dal chiaro richiamo che essa opera alla previsione di cui all’art. 15, comma secondo, del d.P.R. n. 633/1972.
9. Il quarto motivo del ricorso principale è inammissibile.
Con esso, infatti, la ricorrente, sia pur argomentando circa una possibile violazione delle norme evocate – che la stessa sentenza d’appello evidenzia di aver applicato nella specie – sollecita in realtà questa Corte a procedere ad un nuovo calcolo, peraltro proponendo dati da lei stessa elaborati, privi del minimo substrato processuale, ed è perciò volta ad un risultato che sfugge dal contenuto proprio del giudizio di legittimità.
10. È fondato, infine, il quinto motivo del ricorso principale.
La decisione della C.T.R., che ha ritenuto di confermare la sentenza di primo grado per la parte concernente l’Iva sul primo rilievo e per quella concernente il terzo rilievo, ovvero in punto al difetto di prova circa l’inerenza di alcune spese, parrebbe aver commisurato l’ammontare delle sanzioni soltanto a tale ultimo profilo di violazione, quantificandone l’importo «nel minimo edittale ai sensi del d.lgs. 150/2015».
Siffatto criterio determinativo, quand’anche esaminato alla luce del richiamo normativo operato dalla sentenza impugnata, non consente in alcun modo di individuare la misura del debito della società contribuente.
In tal senso, va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale il giudice tributario, nell’ambito di un processo a cognizione piena diretto ad una decisione sostitutiva tendente all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, quando ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’Amministrazione, deve accertare e quantificare (entro i limiti posti dal petitum) l’entità della pretesa fiscale, dandone un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dai contendenti e in tal modo determinando l’ammontare effettivo delle imposte e delle sanzioni dovute dal contribuente, poiché in ciò si rappresenta l’esercizio dei poteri di controllo, valutazione e determinazione della pretesa tributaria (cfr. Cass. n. 3080/2021; Cass. n. 12597/2020).
La statuizione resa sul punto dalla C.T.R. si discosta da tale insegnamento e rende evidente, pertanto, la sussistenza del vizio denunziato.
11. In conseguenza dei rilievi che precedono, il ricorso principale va accolto in relazione al terzo e al quinto motivo, disattesi i restanti ed i motivi di ricorso incidentale; la sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio al giudice a quo, affinché, decidendo in diversa composizione, provveda ad un nuovo esame, pronunziando anche sulle spese del presente giudizio.
Al rigetto del ricorso incidentale consegue la condanna al versamento, da parte della società contribuente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115/2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale in relazione al terzo e al quinto motivo, rigetta i restanti e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Liguria anche per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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