Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 2393 depositata il 24 gennaio 2024
tributi ottemperanza
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
-resistente-
avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Lazio, Roma, n. 3098/10/2018 pronunciata il 23 aprile 2018 e depositata il 10 maggio 2018, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09 gennaio 2024 dal Co: M. M. F.;
RILEVATO
1. Il contribuente adiva ex art. 70 d.lgs. n. 546/1992 la CTR del Lazio onde ottenere l’ottemperanza della sentenza n. 5930/2017, emessa dalla stessa CTR a seguito della cassazione con rinvio disposta da questa Corte con l’ordinanza n. 3953/2017. Segnatamente, con detta pronuncia la CTR rigettava l’appello erariale relativo ad una cartella di pagamento, sfociata in una procedura di pignoramento presso terzi per euro 10.640,00 ivi condannando l’Agenzia anche al pagamento delle spese legali.
2. Avviato il giudizio di ottemperanza, il Collegio di secondo grado dichiarava però inammissibile il ricorso per averlo il contribuente notificato tramite pec anziché per il tramite una diffida e messa in mora notificata per mezzo dell’Ufficiale giudiziario.
3. Invoca la cassazione della sentenza il contribuente che si affida a due motivi di ricorso. L’Amministrazione finanziaria si è costituita ai sensi dell’art. 370, co. 1, c.p.c. onde poter partecipare all’eventuale udienza di discussione.
4. In prossimità dell’odierna adunanza la parte contribuente ha depositato memoria a sostegno delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
1. Per ragioni di pregiudizialità logico giuridica va anteposto l’esame del secondo motivo.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 70, co. 2, in relazione all’art. 68, co. 2, c.c.t. e all’art. 69, co. 4, per aver ritenuto che nella fattispecie non vi fosse un termine prescritto dalla legge per l’adempimento a carico dell’ente impositore, Agenzia delle Entrate, e che quindi il ricorrente in ottemperanza, per far decorrere il termine dei 30 giorni, dovesse notificare, esclusivamente con Ufficiale giudiziario e non con posta certificata, atto di messa in mora all’Agenzia delle Entrate.
2.1 Segnatamente, afferma di aver atteso oltre i 90 giorni prima di procedere al deposito del ricorso per ottemperanza; che alcuna preclusione sarebbe rinvenibile nella notificazione della diffida e messa in mora a mezzo pec anziché mediante l’Ufficio Unep, e ciò anche alla luce di quanto sancito dalla risoluzione del Ministero delle Finanze n. 46/E del 10.04.2000 e dalla circolare della Regione Lombardia n. 5 del 11.02.2000, richiamando anche i principi sanciti dalla pronuncia n. 7665/2016, resa da questa Corte a Sezioni Unite, secondo cui la nullità della notificazione non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato.
3. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
3.1 È inammissibile nella parte in cui il contribuente non coglie la reale ratio decidendi della sentenza impugnata laddove ne invoca l’illegittimità connessa al termine prescritto dalla legge per l’adempimento a carico dell’ente impositore. La CTR ha invero dichiarato inammissibile il ricorso per il solo fatto che la procedura fosse stata avviata “mediante una mail di diffida tramite posta certificata”, anziché “a mezzo di ufficiale giudiziario”.
3.2 È invece infondato nella parte in cui critica la sentenza impugnata in relazione alla notifica pec, quale iter procedurale prescelto per la costituzione in mora dell’Amministrazione finanziaria in luogo dell’Ufficiale giudiziario, tenuto conto «in tema di contenzioso tributario, il giudizio di ottemperanza, ammissibile ogni qualvolta debba farsi valere l’inerzia dell’Amministrazione rispetto al giudicato o la difformità specifica dell’atto posto in essere dalla stessa rispetto all’obbligo processuale di attenersi all’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire, si differenzia dal concorrente giudizio esecutivo civile, perché il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nel giudicato, ma di rendere effettivo quel comando, anche e specialmente se privo dei caratteri di puntualità e precisione tipici del titolo esecutivo, al che deriva che, non essendo previsto alcun termine per l’Amministrazione per adempiere al giudicato e non potendosi applicare al termine previsto dal comma 1 dell’art. in quanto previsto per le sole procedure esecutive, unica condizione per la proponibilità del giudizio di ottemperanza è il decorso del termine di trenta giorni dalla messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario, ai sensi dell’art. 70, secondo comma, ultima parte, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546» (Cfr. Cass., V, n. 31690/2021; Cass. T, n. 26137/2023).
4. Con il primo motivo la parte contribuente denunzia la violazione dell’art. 70, co. 7 e 8, nonché dell’art. 1, co. 2, in relazione all’art. 15, co. 1, e all’art. 49 d.lgs. n. 546/1992 per aver impedito al difensore, ricorrente per ottemperanza, di produrre la memoria da allegare al verbale e la nota spese, e di replicare ai rilievi sia della difesa di controparte sia del Presidente del Collegio, nonché la violazione anche dell’art. 70, co. 10-bis, per aver giudicato in sede collegiale anziché monocratica.
5. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità non avendo la parte ricorrente trascritto né riportato in seno al ricorso il verbale di udienza da cui potersi ricavare il rifiuto opposto dal Collegio alla produzione della nota spese ovvero l’eccezione allo svolgimento delle proprie difese, ivi comprese quelle alla partecipazione ad una udienza collegiale anziché monocratica. Rispetto a tale ultimo profilo il motivo si appalesa anche nuovo non facendone menzione la sentenza impugnata (nella esposizione delle censure svolte dai ricorrenti ovvero nella trattazione dei medesimi) e non specificando d’altro canto il ricorrente nel ricorso di averla sollevata a verbale del precedente grado di giudizio (Cfr. Cass., V, n. 26147/2021).
6. Conclusivamente il ricorso è infondato e va respinto.
7. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese per non aver spiegato difese la parte pubblica.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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