La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 28107 depositata il 16 dicembre 2013 intervenendo in materia di accertamenti fiscali ha stabilito che la documentazione extrcontabile, quali ad esempio i buoni di consegna della merce ai clienti, può legittimare il ricorso all’accertamento induttivo, incombendo eventualmente al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo con cui il Fisco ha rideterminato l’imponibile.
La vicenda ha riguardato un contribuente sottoposto ad un controllo fiscale da parte delle autorità fiscale conclusosi con la sottoscrizione di un PVC con cui veniva contestato al contribuente l’omessa contabilizzazione di ricavi, sulla scorta di documentazione extra-contabile rappresentata da buoni di consegna su cui era riportato il nome della ditta destinataria, la data di consegna e la firma per ricevuta dei prodotti consegnati, dalla quale poteva desumersi l’esistenza di cessioni di merci senza emissione di fatture. Successivamente sulla base del predetto PVC veniva emesso e notificato un avviso di accertamento per maggiore imposte ai fini IRAP, IVA e IRPEF.
Il contribuente avverso l’atto impositivo proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici accoglievano le doglianze del ricorrente. L’Amministrazione Finanziaria impugnava la decisione del giudice di prime cure inanzi alla Commissione Tributaria Regionale che, però, respingeva l’appello dell’Agenzia. I giudici di appello motivavano la loro decisione sulla base che i buoni di consegna non riportavano la firma del contribuente, mancavano dell’indirizzo del cliente e mancava la tipologia della merce ne il suo valore. Per cui, i giudici, hanno ritenuto che i buoni in questione non recavano alcun elemento certo, utile a consentire all’Agenzia di rideterminare il reddito d’impresa, così come riportato nell’avviso impugnato.
Il Fisco per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure propose ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini hanno accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria in quanto, “alla luce delle autosufficienti ricostruzione degli elementi addotti in giudizio dall’Agenzia – si legge in sentenza -, emerge dalla stessa considerazione della motivazione della sentenza impugnata che il giudice del merito non ha tenuto conto alcuno del materiale istruttorio, e quindi dei buoni di consegna, tanto da avere fondato il proprio convincimento anzitutto sull’impossibilità di stabilire una relazione certa tra i menzionati buoni di consegna e il B.E., ciò che non può non avere inficiato la complessiva valutazione dell’efficacia probatoria del materiale di causa. E ciò si dice non già come valutazione della giustezza o meno della decisione, ma come indice della presenza di difetti sintomatici di una possibile decisione ingiusta, che tali possono ritenersi allorquando sussiste un’adeguata incidenza causale (come nella specie esiste) della manifesta negligenza di dati istruttori qualificanti, oggetto di possibile rilievo in cassazione, esigenza a cui la legge allude con il riferimento al ‘punto decisivo’ (in termini Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7635 del 16/05/2003)”.
Nella fattispecie esaminata la Corte ha ritenuto che l’Ufficio ha evidenziato un elemento di fatto (dotato di valenza eventualmente dirimente), non adeguatamente e specificamente considerato dalla CTR “che costituisce senz’altro indice sintomatico di una possibile decisione ingiusta, siccome capace di generare una difettosa ricostruzione del fatto dedotto in giudizio”.
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