CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 novembre 2013, n. 26157
Tributi – Accertamento – Circolo privato – Natura commerciale dell’attività – Determinazione del reddito imponibile senza tener conto dei costi – Sentenza di merito – Errore sostanziale – Rettifica da parte del giudice – Necessità
Osserva
La CTR di Milano ha respinto l’appello dell’Agenzia ed accolto quello della parte contribuente “C. A. C.” – appelli proposti contro la sentenza n. 112/02/2007 della CTP di Sondrio che aveva solo parzialmente accolto il ricorso della parte contribuente medesima – ed ha così integralmente annullato l’avviso di accertamento per IVA-IRPEG 2002 con cui l’Agenzia, sulla scorta di un PVC della GdF, aveva acclarato la natura commerciale dell’attività svolta dal predetto Circolo ed aveva poi determinato un reddito di importo pari ad € 44.727,00 accertando pure (nel medesimo importo imponibile) il volume d’affari da assoggettarsi ad IVA.
La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo – per quanto qui ancora rileva – che fosse fondata la doglianza di parte contribuente di assoggettamento a tassazione dei ricavi e non già del reddito: operando in sede di accertamento induttivo, infatti, l’Amministrazione deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale anche comprensiva dei costi (da determinare pure induttivamente ove non sia possibile applicare altro metodo) pena la lesione del principio costituzionale di capacità contributiva che vuole sia sottoposto a tassazione il profitto netto dai costi e non quello lordo. La CTR, inoltre (dopo avere evidenziato che per mero lapsus calami la CTP aveva determinato il reddito commerciale nella percentuale del 40% dei ricavi dichiarati anzicchè di quelli accertati), ha rigettato l’appello con cui l’Agenzia si era doluta del capo della sentenza di primo grado con cui erano stati quantificati i costi nella misura del 60% dei ricavi senza alcuna specificazione dei criteri utilizzati per raggiungere tale convincimento, e ciò perché la quantificazione dei costi in ragione percentuale è frutto di un giudizio estimativo e non già dell’utilizzo del potere di equità sostitutiva, ciò che “attribuisce al giudice il potere di prescindere nella fattispecie dal diritto positivo”.
L’Agenzia delle Entrate ha interposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi.
La parte contribuente non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso – ai sensi dell’art.380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore- può essere definito ai sensi dell’art.375 c.p.c..
Infatti, con il primo motivo di impugnazione (rubricato come:”Violazione e falsa applicazione dell’art.39 del DPR 600/1973 e 75 del DPR 917/1986, in combinato disposto, in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.”) e con il secondo motivo di impugnazione (centrato sul vizio di motivazione) la ricorrente si duole in sostanza del fatto che il giudice del merito – dopo avere erroneamente qualificato di genere induttivo un accertamento operato con metodologia analitica ed anzicchè provvedere direttamente all’accertamento dei costi che si reputava di dover sottrarre ai ricavi, ai fini di determinare il reddito imponibile – aveva del tutto annullato l’accertamento, così mandando totalmente esente da imposizione il reddito maturato nel periodo a favore della parte contribuente.
I motivi, esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati e da accogliersi.
Da un canto il giudicante ha qualificato come “induttivo” (senza fornire di questa qualificazione la minima giustificazione argomentativa) l’accertamento che invece – secondo quanto analiticamente ricostruito dall’Agenzia nel ricorso introduttivo di questo grado – appare (per ciò che concerne le imposte sui redditi e diversamente da quanto espressamente riferito – invece – alla ricostruzione del volume d’affari ai fini IVA) incardinato sia su elementi positivi di reddito registrati sia su ricavi non dichiarati ricostruiti a mezzo di un “procedimento di carico e scarico a quantità dì tutti gli articoli rappresentativi dell’attività svolta nei periodi di imposta 2001 e 2002”.
D’altro canto, il giudicante ha dato atto nella sentenza impugnata che l’Agenzia avrebbe avuto l’onere di provvedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, ivi considerando anche gli aspetti dei costi effettivamente o presuntivamente sostenuti, e sulla questione si è limitato a laconicamente concludere che l’omissione di siffatto onere doveva considerarsi causa di annullamento del provvedimento di accertamento. Da ciò non ha tratto però le debite conseguenze circa la necessità di sostituire la propria valutazione a quella dell’Amministrazione in ordine alla soluzione della questione liquidatoria, e espressamente provvedendo sull’implicita domanda della parte pubblica ottenere un positivo accertamento dell’ammontare dell’imposta dovuta, oggetto dei poteri del giudice tributario oltre che suo preciso dovere istituzionale.
In termini giova richiamare l’insegnamento di questa Corte altre volte espresso (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15825 del 12/07/2006) in fattispecie consimili: “Dalla natura del processo tributario – il quale non è annoverabile tra quelli di “impugnazione-annullamento”, ma tra i processi di “impugnazione-merito”, in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che del l’accertamento dell’ufficio – discende che ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte. (Nella specie, la sentenza impugnata – a fronte dell’avvenuta rideterminazione dell’imponibile da parte dell’ufficio, in occasione della costituzione in giudizio, in somma minore di quella già determinata in sede di accertamento sintetico del reddito – si era limitata ad annullare l’avviso di accertamento impugnato, sul rilievo che non fosse compito dei giudici tributari procedere “alla liquidazione delle imposte e delle relative penalità”. Enunciando il principio in massima, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione, osservando come la rideterminazione dell’imponibile operata dall’ufficio costituisse una semplice diminuzione della maggiore pretesa tributaria contenuta nell’atto impugnato e, dunque, una mera riduzione del “quantum” oggetto del contendere tra le parti, sul quale il giudice avrebbe dovuto comunque giudicare)”.
Dunque, non è chi non veda che (per un verso e per l’altro) l’intiero procedimento logico dì ricostruzione della base imponibile effettuata dal giudicante sia da rinnovare (rinnovo nel quale resta coinvolto anche l’apprezzamento della base imponibile ai fini IVA, con conseguente assorbimento del quinto motivo di impugnazione, espressamente intitolato ad omessa pronuncia sulla censura a ciò relativa) ai quali fini necessita senz’altro cassare la decisione e restituire la controversia al giudice di appello, in funzione di giudice del rinvio.
Restano invece infondati e da disattendersi i motivi terzo e quarto di impugnazione (il primo centrato sulla nullità della sentenza per inosservanza dell’art. 7 del D.Lgs. 546/1992 e dell’art. 112 c.p.c.; il secondo centrato sul vizio di motivazione) con i quali la parte ricorrente si duole di omessa pronuncia ovvero di motivazione insufficiente sulla censura proposta da essa Agenzia e concernente la determinazione percentuale dei costi effettuata dalla Commissione di primo grado: per quanto sia sinteticamente espresso il convincimento della CTR (circa la natura di giudizio estimativo di un tale apprezzamento) non è possibile assumere che un convincimento manchi o che ne sia inintelligibile il fondamento logico.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza del primo e secondo motivo (con assorbimento del quinto), onde appare poi necessario il rinvio del processo al giudice del merito per il rinnovo dell’indagine ad esso demandata
Roma, 25 marzo 2013
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lombardia che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente grado.
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