Corte di Cassazione sentenza n. 1630 del 23 gennaio 2013
LAVORO (COLLOCAMENTO) – DIVIETO DI INTERMEDIAZIONE E DI INTERPOSIZIONE NELLE ASSUNZIONI DI LAVORATORI – LAVORO (RAPPORTO DI) – ASSUNZIONE
massima
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In tema di somministrazione di manodopera, il controllo giudiziario sulle ragioni che la consentono è limitato all’accertamento della loro esistenza, non potendosi esso estendersi, ai sensi dell’art. 27, comma 3, del D.Lgs. 276/2003, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’utilizzatore, il quale è tenuto a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore, instaurandosi, ove tale onere sia soddisfatto, un rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore della prestazione.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritenuto che il consigliere designato ha depositato la proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., dal seguente tenore:
“1.- La sentenza attualmente impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brescia n. 467/10 del 19 maggio 2010: 1) conferma la decisione del primo giudice di rigetto della domanda di M.M.N., volta ad ottenere l’accertamento e la dichiarazione della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato alle dipendenze della convenuta Savelli s.p.a., con le consequenziali pronunce; 2) compensa tra le parti le spese dei due gradi di merito del giudizio.
2- La Corte d’appello di Brescia precisa che:
1) il N., nel ricorso introduttivo del giudizio, ha dedotto la natura fittizia del rapporto di lavoro alle dipendenze della M. s.r.l. formale datrice di lavoro, desumibile dalla circostanza che per tutto il periodo di durata del rapporto (dal 28 ottobre 2005 al 30 giugno 2006) egli avrebbe lavorato, con la qualifica di operaio saldatore di 3^ livello dell’industria metalmeccanica, sotto la direzione e la vigilanza degli amministratori della società convenuta;
2) tuttavia quella su riportata è l’unica circostanza di fatto specifica allegata a dimostrazione della prospettata violazione delle norme in materia di contratto di somministrazione e di appalto;
3) infatti, tutti i testi, sia pure laconicamente, hanno escluso che gli amministratori della convenuta abbiano svolto la suddetta attività nel reparto saldatura ed hanno invece riferito che il N. era diretto e sorvegliato da un responsabile della società M.;
4) inoltre le prove testimoniali stesse non hanno consentito di accertare la non genuinità dell’appalto endoaziendale, descritto nel contratto prodotto dalla società S., benché si tratti di un contratto dal quale non è agevole desumere con esattezza quale sia stata la lavorazione commissionata e l’autonomia della stessa rispetto all’intero procedimento produttivo;
5) è da escludere che la mancata predeterminazione di un prezzo già stabilito possa determinare la nullità del contratto indicato, visto che l’art. 1657 c.c., prevede la possibilità della successiva determinazione del corrispettivo;
6) poiché l’onere della prova della natura fittizia del rapporto con la società M. o della violazione delle norme in materia di somministrazione e appalto, posto a carico del N., non è stato da questi assolto la sua domanda va respinta;
7) tuttavia, trattandosi di onere della prova di non agevole assolvimento, va disposta la compensazione delle spese del doppio grado di merito.
3.- Il ricorso di M.M.N. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi; la Savelli s.p.a. non svolge attività difensiva.
4.- I motivi del ricorso principale possono essere così sintetizzati:
1) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 2697 c.c., relativamente alla ripartizione dell’onere della prova della liceità dell’appalto.
Si rileva che, fin dal ricorso introduttivo, il N. ha sottolineato che il lavoro prestato presso la sede della convenuta si è svolto, fin dall’inizio, con i connotati propri di un ordinario rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze esclusive della società stessa e che, invece, il rapporto di lavoro formalmente costituito con la società M. non presentava i requisiti formali e sostanziali del contratto di somministrazione di manodopera, disciplinato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, e segg. (nella versione applicabile ratione temporis).
La convenuta, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito l’esistenza di un genuino rapporto di appalto, limitandosi a produrre il relativo contratto, non contenente neppure la predeterminazione del corrispettivo.
In questa situazione, dato il carattere eccezionale dell’ipotesi contrattuale contemplata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, avrebbe dovuto essere posto a carico della società convenuta – quale utilizzatrice della prestazione lavorativa – l’onere di dimostrare la liceità del preteso appalto.
2) In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 1, relativamente alle caratteristiche del requisito dell’organizzazione autonoma richiesto per la liceità dell’appalto.
Si sottolinea che la Corte territoriale, pur avendo rilevato che dal contratto non risultava agevole identificare la lavorazione commissionata e la relativa autonomia rispetto al processo produttivo, anziché verificare l’effettiva autonomia dell’organizzazione del lavoro da parte dell’appaltatore, ha ritenuto integrato tale requisito attraverso il semplice accertamento della presenza di un dipendente dell’appaltatore esercente un vago potere di direzione e vigilanza sui lavoratori appaltati.
3) In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione sulla mancanza di organizzazione autonoma derivante, dalla mancata considerazione della dedotta commistione, nel medesimo reparto, di lavoratori dell’utilizzatore e dell’appaltatore e della dedotta assenza dell’organizzazione dei mezzi richiesta dal D.Lgs. n. 276 del 2003 , art. 29.
4) In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del medesimo del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 1, relativamente alle caratteristiche del rischio di impresa, richiesto per la liceità dell’appalto.
Si sottolinea che, in base alla norma richiamata, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato dall’art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro oltre che per l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore anche per l’assunzione, da parte dello stesso, del rischio di impresa.
Ne consegue che, la mancata predeterminazione del corrispettivo, considerata dalla Corte bresciana irrilevante, in realtà avrebbe dovuto essere valorizzata come indice della mancata assunzione del rischio di impresa, da parte dell’appaltatore.
5) In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione sulla mancanza dell’assunzione del rischio di impresa, da parte dell’appaltatore.
In subordine rispetto al quarto motivo, si rileva che la motivazione della sentenza risulta lacunosa ove, a fronte della dedotto difetto dell’assunzione del rischio di impresa da parte dell’appaltatore, si limita ad escludere la nullità del contratto di appalto sul piano civilistico, ponendo l’accento esclusivamente sulla irrilevanza della mancata predeterminazione del corrispettivo.
5.- I motivi di ricorso – da trattare congiuntamente, data la loro intima connessione -appaiono palesemente fondati, per le seguenti ragioni.
5.1.- Tutte le censure sono incentrate sulla disciplina del contratto di somministrazione disciplinato dal citato D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, nella sua originaria versione (applicabile ratione temporis), e sulla distinzione tra tale tipologia di contratto e quello di appalto, alla luce di quanto stabilito dal citato D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29.
Secondo quanto affermato da questa Corte in una analoga controversia (Cass. 15 luglio 2011, n. 15610) il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 1, stabilisce che il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a ciò autorizzato ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 4 e 5, mentre il precedente art. 1, comma 3, prevede che un tale tipo di contratto può essere concluso a termine o a tempo indeterminato, con la specificazione, al comma 2 del citato articolo, che per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione dell’utilizzatore.
L’art. 20, comma 4, individua precise condizioni di liceità del ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato, mentre per la individuazione dei limiti quantitativi di utilizzazione della stessa tipologia contrattuale la norma rimanda ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, in conformità alla disciplina di cui al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 10.
Con riferimento all’apparato sanzionatorio civilistico, è bene chiarire che lo schema di fondo che regolava le sanzioni dell’interposizione di manodoperà è sostanzialmente sopravvissuto alla riforma introdotta dal legislatore con il D.Lgs. n. 276 del 2003. Infatti, la sanzione prevista per i ricorso alla somministrazione di lavoro al di fuori dei limiti previsti dalla legge (ed. somministrazione irregolare) è quella della imputazione del rapporto di lavoro direttamente all’utilizzatore della prestazione lavorativa. Ciò risulta espressamente dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 1, in base al quale: “quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui all’art. 20 e art. 21, comma 1, lett. a), b), c) d) ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione”. A tale sanzione prevista per la violazione delle condizioni di utilizzo della somministrazione di lavoro si affianca quella della nullità, contemplata per il caso di mancanza di forma scritta del contratto di somministrazione (art. 21, comma 4), E’ bene sottolineare che la previsione della possibilità riconosciuta al lavoratore di adire l’autorità giudiziaria per ottenere la costituzione del rapporto di lavoro anche e solamente con l’utilizzatore (di cui al citato art. 27, comma 1) è in linea con l’orientamento consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla L. n. 1369 del 1960 (abrogata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 85), che nel giudizio instaurato dal lavoratore per l’accertamento della intermediazione illecita di manodopera e la sussistenza del rapporto lavorativo con il committente, escludeva la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra utilizzatore della prestazione e soggetto interposto (vedi per tutte: Cass. SU 22 ottobre 2002, n. 14897 e Cass. 29 luglio 2009, n. 17643).
In definitiva, oltre ai casi di nullità del contratto di somministrazione privo di forma scritta (art. 21, comma 4) o di somministrazione fraudolenta (art. 28 sulle relative sanzioni penali ed amministrative), è contemplata la possibilità di costituzione del rapporto lavorativo in capo all’utilizzatore nell’ipotesi di somministrazione irregolare, che si verifica, in base al combinato disposto dell’art. 27, comma 1, e del citato D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20 e art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), nei seguenti casi:
1) contratto di somministrazione concluso da un soggetto privo di autorizzazione o nel quale gli estremi di tale autorizzazione non risultano indicati;
2) somministrazione a termine conclusa senza il rispetto delle ragioni giustificative indicate all’art. 20, comma 4;
3) somministrazione a tempo indeterminato conclusa al di fuori delle esigenze indicate all’art. 20, comma 3, ovvero senza che tali giustificazioni risultino dal contratto di somministrazione;
4) violazione dei limiti quantitativi indicati dalla contrattazione collettiva (c.d. clausole di contingentamento) per la somministrazione a tempo determinato ovvero mancata indicazione nel contratto del numero dei lavoratori da somministrare;
5) mancata indicazione nel contratto di somministrazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle relative misure di prevenzione;
6) contratto di somministrazione privo dell’indicazione della data di inizio e della durata prevista.
Da quel che si detto, risulta che in sede giudiziaria, non è certamente consentito il sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’utilizzatore, però il giudice deve poter accertare la esistenza delle ragioni che consentono la somministrazione di manodopera e, a tal fine, l’utilizzatore medesimo è tenuto a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore, instaurandosi, ove tale onere non sia soddisfatto, un rapporto a tempo indeterminato tra il prestatore di lavoro e l’utilizzatore della prestazione (Cass. 15 luglio 2011, n. 15610).
La ratio della disciplina, infatti, è quella di escludere il rischio di ricorso abusivo a forme sistematiche di sostituzione del personale atte a mascherare situazioni niente affatto rispondenti a quelle contemplate dal D.Lgs. n. 276 del 2003 se non addirittura il rischio del superamento del limite rappresentato dalla necessità che non siano perseguite finalità elusive delle norme inderogabili di legge o di contratto collettivo atte ad integrare l’ipotesi, sanzionata, della somministrazione fraudolenta.
Alla stessa logica risponde la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, in materia di appalto.
Il comma 1 del suddetto art. 29, stabilisce, infatti, che: “ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”.
Inoltre, il successivo comma 3-bis dello stesso articolo dispone che:
“Quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell’art. 27, comma 2”.
Va, altresì, precisato che, quanto alla connotazione temporale che viene ad assumere il rapporto che si instaura con l’utilizzatore, in caso di esito del giudizio favorevole al lavoratore, è da ritenere (conformemente a quanto già affermato da Cass. 15 luglio 2011, n, 15610 cit.) che si venga ad instaurare un rapporto a tempo indeterminato, sia nel caso di contratto di somministrazione sia nel caso di contratto di appalto stipulati in violazione della rispettiva disciplina.
Ciò si desume dall’espressa previsione, contenuta nell’art. 27, comma 1, della costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore della prestazione “con effetto dall’inizio della somministrazione” e dal fatto che l’art. 29, comma 3-bis, nel fare riferimento alla costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore, rinvia al disposto dell’art. 27, comma 2.
La stessa efficacia ex tunc che la normativa in esame ricollega alla sentenza costitutiva provocata da un tale tipo di ricorso rappresenta un valido elemento letterale e logico che autorizza a ritenere che se il legislatore avesse voluto riferirsi alla costituzione di un rapporto diverso da quello a tempo indeterminato non avrebbe certamente avuto ragione di dover far riferimento ad una costituzione del rapporto con effetto dall’inizio della somministrazione stessa.
D’altra parte, diversamente opinando, verrebbe anche ad essere facilmente aggirata la disciplina limitativa del contratto a termine, che come è noto, si collega alla generale presunzione di sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato (vedi, per tutte: Cass. 13 aprile 2007, n. 8930).
5.2.- La Corte d’appello di Brescia, senza prendere in considerazione tale normativa speciale, ha respinto la domanda del N. non attribuendo il dovuto rilievo al carattere lacunoso – soprattutto se valutato alla luce dell’indicata normativa dettata dal D.Lgs. n. 276 del 2003 – del contratto depositato dalla società convenuta e, d’altra parte, addossando sul lavoratore l’onere probatorio – dalla stessa Corte considerato di “non agevole” assolvimento – sulla denunciata violazione delle disposizioni in materia di somministrazione e di appalto, quando invece avrebbe dovuto essere la società convenuta ad allegare e provare la reale sussistenza delle condizioni – formali e sostanziali – per la regolare stipulazione di un contratto di somministrazione di lavoro o di appalto, alla luce dell’indicata disciplina speciale”.
Che, quindi, il relatore ha proposto la trattazione del ricorso in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380-bis e 375 c.p.c., per esservi accolto per quanto detto in precedenza.
Considerato che il Collegio condivide, sostanzialmente, la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis c.p.c.;
che, in particolare, il Collegio, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte intervenuta medio tempore in materia, ritiene opportuno sottolineare altresì, come considerazioni di carattere generale, che: 1) se un contratto di lavoro viene stipulato utilizzando un tipo contrattuale particolare in assenza dei requisiti specifici richiesti dal legislatore e la legge prevede come conseguenza dell’utilizzazione irregolare del tipo la costituzione di un rapporto di lavoro, senza precisare se a termine o a tempo indeterminato, nel silenzio del legislatore non può che valere la regola per cui quel rapporto di lavoro è a tempo indeterminato (Cass. 8 maggio 2012, n. 6933); 2) se il datore di lavoro convenuto sostiene che l’attività descritta nel ricorso introduttivo e la sua difformità rispetto alla causale indicata nel contratto di somministrazione non sussistono e non corrispondono alla realtà dei fatti, ha l’onere di contestare specificamente tali affermazioni e di provare le circostanze di segno contrario da lui indicate, cosa che nel caso specifico, non risulta essere stato fatto (Cass. 8 maggio 2012, n. 6935); 3) ai fini della liceità o meno di un contratto di appalto di manodopera – prima dell’intervenuta abrogazione ad opera del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 85, comma 1, lett. c), della L. 23 ottobre 1960, n. 1369 – ciò che rileva è la natura delle prestazioni appaltate che deve essere indicata nel contratto stesso, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi ad esso sottesi (Cass. SU 26 ottobre 2006, n. 22910);
che, inoltre, il Collegio sottolinea come non debba essere dimenticato, proprio tenendo conto del richiamato del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 (nel testo applicabile ratione temporis), il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1), in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (vedi Cass. 28 marzo 2011, n. 7034; Cass. 9 marzo 2009, n. 5648; 30 agosto 2007, n. 18281; 5 ottobre 2002, n. 14302);
che, pertanto, ferma la ratio della disciplina di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003 (il cui art. 85, comma 1, lett. c, ha abrogato la su richiamata L. n. 1369 del 1960) e l’autonomia e la specificità degli istituti ivi previsti, rispetto alle disposizioni previgenti abrogate dal medesimo decreto e alle disposizioni del codice civile, l’interprete può, tutt’ora, rinvenire nei principi sopra richiamati alcuni parametri significativi al fine della verifica della ricorrenza o meno di un contratto di appalto attraverso il quale si intenda eludere le norme che disciplinano il mercato del lavoro (Cass. 15 luglio 2011, n. 15615).
che, per tutte le esposte considerazioni, il ricorso deve essere accolto perchè fondato;
che, quindi, la sentenza impugnata va cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione.
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