CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 luglio 2013, n. 16852
Tributi – IVA – Accertamento – Interposizione manodopera – Recuepro IVA e sanzioni – Finto committente assolto dal reato – Irrilevanza
Svolgimento del processo
1. La Guardia di Finanza, nel corso di una verifica fiscale compiuta sulla società B. V. sanitari srl relativa all’anno 2002, contestava la contabilizzazione di sei fatture emesse dalla Q. Group srl, dalle quali risultavano prestazioni di servizi rese in violazione del divieto di interposizione di manodopera, pure rideterminando il volume di affari ai fini IVA ed erogando le relative sanzioni.
3. La società contribuente, a mezzo del suo amministratore B. M., impugnava l’avviso di accertamento innanzi alla CTP di Latina che rigettava il ricorso.
4. Con sentenza pubblicata il 28 giugno 2007 la CTR del Lazio, sez.Staccata di Latina, in riforma della sentenza resa dalla CTP, accoglieva l’appello proposto dalla società contribuente “nei limiti di quanto richiesto nel merito nel ricorso introduttivo”, compensando integralmente le spese.
4.1. Osservava il giudice di appello che, pur ritenendosi infondata la dedotta violazione dell’art.7 l.n.212/2000 in ragione della precedente notifica del processo verbale di constatazione alla società contribuente, era corretto il rilievo dell’appellante in ordine alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la contestata interposizione di manodopera. Riteneva che la violazione della disciplina normativa ritenuta dall’Ufficio non era fondata né in fatto, né in diritto e che, in ogni caso, essendo stati effettuati i versamenti previdenziali e fiscali, non poteva giustificarsi l’ulteriore pretesa a titolo di ritenute alla fonte, tenuto anche conto del fatto che il Tribunale di Latina aveva assolto i Signori B. “perché il fatto non sussiste” con sentenza del 19.12.2006. 4.3 L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi. La società contribuente ha depositato controricorso e memoria.
Motivi della decisione
5. Con il primo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto controverso, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che la CTR, nell’accogliere l’appello proposto dalla società contribuente, si era limitata ad affermare che la violazione del divieto di interposizione della manodopera posta a base dell’accertamento, non era fondata né in fatto né in diritto, valorizzando circostanze di fatto irrilevanti rispetto alla contestazione qual era il pagamento dei versamenti previdenziali e fiscali.
5.1 In particolare, il giudice di appello aveva tralasciato di esaminare gli elementi indicati dall’Ufficio e contenuti nel processo verbale di constatazione a sostegno del divieto di interposizione della manodopera sancito dall’art. l l. n. 1369/2003.
5.2 Aggiungeva che l’assolvimento degli oneri previdenziali e fiscali nei confronti dei lavoratori forniti alla società contribuente era privo di pregio, essendo compatibile il divieto di interposizione di manodopera con l’ipotesi di regolarità fiscale, detto divieto riferendosi tanto all’ipotesi di appalto simulato in cui i lavoratori risultavano fittiziamente come dipendenti dell’appaltatore che ai casi in cui, in forza di effettivo contratto di appalto in cui i lavoratori impiegati erano realmente dipendenti dell’appaltatore, il servizio aveva ad oggetto la mera prestazione di lavoro sotto la direzione del committente e senza assunzione di rischio da parte dell’appaltatore.
5.3 Peraltro, la motivazione era oltremodo lacunosa in ordine al profilo relativo alla indetraibilità degli apparenti corrispettivi indicati nelle fatture emesse dalla Q. Group srl pure prospettato dall’Ufficio, essendo gli importi riportati dalle fatture commisurati alle retribuzioni spettanti ai dipendenti ed ai relativi oneri previdenziali, come tali non soggetti ad IVA e, conseguentemente, inidonei a costituire il diritto alla detrazione.
6. Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di motivazione insufficiente su un punto decisivo della controversia, avendo la CTR posto a giustificazione del proprio assunto l’assoluzione nel giudizio penale dei Signori B. perché il fatto non sussiste, senza considerare che l’assoluzione in sede penale del contribuente non impedisce al giudice tributario un’autonoma valutazione ed impone comunque a tale ultimo giudice un vaglio critico degli elementi acclarati alla luce del particolare sistema probatorio del giudizio tributario.
7. La società contribuente ha dedotto, in linea preliminare, l’assenza di jus postularteli dell’Avvocatura dello Stato nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ed in via graduata l’inammissibilità ed infondatezza delle censure- risultando la decisione correttamente motivata-, espressamente formulando, a sostegno delle ragioni esposta nel corso del giudizio, una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in ordine alla compatibilità del sistema sanzionatorio previsto dalla l. n. 1369/1960 con i principi comunitari, posto che la Corte di Giustizia -causa C- 55/96, Job Center II- aveva già dichiarato l’incompatibilità della normativa interna con la disciplina comunitaria- peraltro sostituita dalla l.n.276/2003, entrata in vigore in epoca antecedente al processo verbale di constatazione del 18 marzo 2003 reso dalla Guardia di Finanza-.
8. La stessa società, in memoria, ha poi eccepito il giudicato formatosi in ordine all’insussistenza di violazioni in materia di contribuzione per previdenza ed assistenza obbligatoria pronunziata dal Tribunale del lavoro di Latina in data 5.11.2009.
9. Occorre anzitutto sgombrare il campo dalla prospettata inammissibilità del ricorso per Cassazione per difetto di jus postulandi da parte dell’Avvocatura dello Stato, essendo ormai granitica la giurisprudenza di questa Corte nel senso esattamente opposto alle argomentazioni esposta dalla società controricorrente, ritenendosi che ove l’Agenzia delle entrate si avvalga, nel giudizio di cassazione, del ministero dell’avvocatura dello Stato, non è tenuta a conferire a quest’ultima una procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione dell’art. 1, secondo comma, del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato-cfr.Cass. SS.UU. 23020/05. n. 14785 del 05/07/2011; Cass. n. 3427 del 12/02/2010-.
Parimenti ininfluente, ai fini del presente procedimento, è la sentenza del Tribunale di Latina che, non essendo stata resa nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non può essere proficuamente richiamata per inferirne l’irretrattabilità delle statuizioni ivi contenute-cfr.Cass.n.23568/2008- non risultando nemmeno certo il passaggio in giudicato della stessa malgrado la produzione, in seno all’udienza, di altra decisione, pur’essa sprovvista di attestazione del passaggio in giudicato. Ciò posto, i primi due motivi, attenendo a diversi profili del vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione, meritano un esame congiunto e sono fondati, nei limiti di cui in seguito specificati. Va detto, anzitutto, che entrambi i motivi sono stati virtualmente esposti, avendo individuato nel ed. momento di sintesi il fatto controverso e le lacune motivazionali prospettate, facendo tra l’altro riferimento agli elementi costitutivi del divieto previsti dalla l.n. 1369/1960.
9.1 Giova, infatti, rammentare che 1′ art. 1, commi 1°, 2° e 3°, della 1. 23 ottobre 1960, n. 1369 prevede, anzitutto, il divieto per l’imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono. La medesima disposizione sancisce, ancora, il divieto per l’imprenditore di affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o società anche se cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere assunti e retribuiti da tali intermediari, chiarendo che è considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante. Il comma 3 appena ricordato si occupa specificamente dell’ipotesi di interposizione vietata (Cass., sez. lav., 13 gennaio 1988, n. 151; Cass., S.U., 19 ottobre 1990, n. 10183) che, mascherata con le forme di uno “pseudo appalto” di opere o servizi, si caratterizza per il difetto di imprenditorialità della prestazione, inquadrandosi così nella mera somministrazione di manodopera vietata. E’ poi il comma quinto dell’art. 1, a prevedere che “i prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”.
9.2 Occorre ancora sottolineare, anche al fine di dare risposta ad un rilievo ventilato dalla società contro ricorrente, che la legge n. 1369/1960, è stata abrogata dalPart.85 comma 1 lett.c) d.lgs.n.276/2003, che ha tuttavia previsto tale effetto “dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”- pubblicato sulla GU n.235 del 9 ottobre 2003- ed è quindi entrato in vigore il 23 ottobre successivo secondo l’ordinario periodo di vacatio. Sulla base di tale quadro normativo di riferimento – v.,del resto, Cass. n. 16146/2004;Cass. n. 21818/2006 e Cass.S.U. n.22916/2006-appare sicuramente rilevante nel caso di specie l’art. 1 l.n. 1369/1960, pienamente in vigore rispetto alle vicende oggetto degli avvisi di accertamento relativi all’anno di imposta 2002.
9.4 Ciò posto, giova rammentare che questa Corte ha già avuto modo di affermare che il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, sancito dall’art. 1 della legge n. 1369 del 1960, opera nel caso in cui l’appalto abbia ad oggetto la messa a disposizione di una prestazione lavorativa, attribuendo all’appaltatore i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto in assenza di una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo -cfr.Cass. n, 19920 /2011, Cass. n. 7898 /2011-.
9.5 Orbene, appaiono evidenti le gravi lacune motivazionali della sentenza impugnata, laddove sono stati totalmente pretermessi, nell’indagine compiuta dalla CTR, gli elementi, tutti dotati del carattere della decisività, addotti dall’Ufficio per giustificare l’esistenza di un’intermediazione di manodopera quali l’essere la società Q. Group amministrata da B. Giacomo, la direzione del personale da parte della B. V.- confermato dalle dichiarazioni rese dagli stessi dipendenti-, l’utilizzazione, da parte del personale della Q. Group dei beni strumentali della società B. in assenza di beni strumentali da parte della predetta società Q. Group.
9.6 Elementi ai quali si aggiungeva il fatto che i pagamenti effettuati dalla società B. V. alla Q. Group erano risultati pari a quanto occorreva alla Q. Group per il pagamento degli stipendi e degli altri oneri previdenziali e fiscali.
9.7 La lacunosità dell’indagine compiuta dalla CTR emerge, per altro verso, dalla valorizzazione, operata dal giudice di appello, del riconosciuto versamento degli oneri appena sopra ricordati in favore dei lavoratori, apparendo evidente l’irrilevanza di siffatta circostanza al fine di escludere l’esistenza di un’intermediazione vietata dall’art. 1 l.cit.
9.8 Anzi, non è superfluo rammentare come questa Corte abbia di recente statuito che nelle prestazioni di lavoro cui si riferiscono – prima dell’intervenuta abrogazione ad opera dell’art. 85, comma primo, lett. e), del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 – i primi tre commi dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 la nullità del contratto fra committente ed appaltatore (o intermediario) e la previsione dell’ultimo comma dello stesso articolo – secondo cui i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni -comportano che solo sull’appaltante gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, non potendosi configurare una (concorrente) responsabilità dell’appaltatore in virtù dell’apparenza del diritto e dell’apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi ad esso sottesi-cfr.Cass. n. 3795 del 15/02/2013-. Si è, ancora, precisato che in caso di accertamento del carattere fraudolento dell’intermediazione di manodopera l’IVA che (l’apparente) cessionario assume di avere pagato al preteso cedente per l’operazione soggettivamente inesistente – in quanto corrisposta ad un soggetto che non era legittimato ad operare la rivalsa in ragione del divieto di intermediazione e del carattere fraudolento dell’operazione negoziale- neppure assoggettato all’obbligo di pagamento dell’ imposta – non è detraibile ai sensi dell’art. 19 d.P.R. 633/72 proprio per il fatto che l’alterazione del meccanismo di riscossione dell’imposta in questione, attraverso la realizzazione di comportamenti illeciti dei contribuenti, non consente il dispiegamento dell’ordinaria operatività del diritto alla detrazione dell’imposta sulle operazioni passive dell’imprenditore o del professionista-cfr.Cass.n.23075/12, cit.-.
9.9 In definitiva, la CTR avrebbe dovuto esaminare i singoli elementi prospettati dall’Ufficio -che ad una valutazione ex ante appaiono decisivi ai fini della controversia- e la natura delle prestazioni in concreto svolte, al fine di valutare la loro idoneità- o inidoneità- a conclamare l’ipotesi ricostruttiva posta a base dell’avviso di accertamento, tenendo conto del fatto che ove fosse risultato che il personale dell’appaltante impartiva disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore, lo stesso poteva costituire uno degli indici dell’accordo fraudolento, semprechè risulti provato che dette disposizioni sono riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro anche in relazione alle effettive modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative-cfr.Cass. n. 15615 /2011,Cass. n. 12201/2011-.
9.10 Ne consegue che l’operato del giudice di appello appare gravemente carente, non consentendo di cogliere il fondamento sul quale si è basata l’affermazione dell’assenza di un’intermediazione di manodopera, se solo si consideri che l’adempimento degli oneri retributivi e previdenziali da parte
del soggetto committente non fa venire meno, in astratto, la possibilità che il personale impiegato sia effettivamente al servizio del committente.
9.11 II giudizio critico appena espresso si estende, poi, all’ulteriore riferimento, operato dalla CTR, all’assoluzione dei B. nel procedimento penale definitosi a loro carico, se solo si consideri che l’assoluzione dei suddetti, per come apoditticamente richiamato dalla CTR, non poteva costituire, da solo, elemento idoneo a giustificare in maniera logica l’illegittimità della ripresa fiscale per le ritenute di acconto dovute dal datore di lavoro effettivo rispetto alle retribuzioni dei lavori impiegati.
9.12 E’ noto, del resto, l’orientamento di questa Corte in ordine ai rapporti fra giudicato penale e giudizio tributario- per tutti, v., di recente, Cass. n. 8129 del 23/05/2012- ove si è chiarito che nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma quarto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna.
9.13 Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (conf.Cass. n. 4924 del 27/02/2013). Ed allora, non par dubbio che lo scarno riferimento, operato nella sentenza impugnata, all’assoluzione dei B. non poteva in alcun modo costituire elemento idoneo a suffragare l’assenza della interposizione.
9.14 Anche sotto tale profilo la motivazione è, per l’effetto, gravemente carente.
9.15 Carenza che, d’altra parte, si appalesa ulteriormente evidente se si considera che la pretesa fiscale riguardava, altresì, la ritenuta indetraibilità delle somme fatturate dalle società Q..
9.16 Ed infatti, per giungere all’annullamento della pretesa fiscale, che la CTR ha limitato a “quanto chiesto nel ricorso introduttivo”- ricorso nel quale la contestazione della società contribuente riguardava tanto la pretesa relativa alla ritenuta di acconto non effettuata, che la ripresa a tassazione dell’IVA indebitamente detratta dalla società sulla base delle sei fatture emesse dalla Q. Group- il giudice di appello avrebbe dovuto adeguatamente giustificare le ragioni che rendevano illegittimo l’operato dell’amministrazione nella parte in cui aveva ritenuto la non assoggettabilità all’IVA delle somme portate dalle fatture, solo apparentemente costituenti “corrispettivo” delle prestazioni ma, in effetti, dissimulanti il pagamento degli oneri retributivi, 0 previdenziali e fiscali del personale che, nella prospettiva dell’ufficio, era alle dipendenze della società contribuente.
9.17 L’assenza di ogni motivazione in ordine a tale aspetto, evidentemente correlata alla ritenuta esclusione dell’interposizione, alla quale la CTR è giunta attraverso una lacunosa ed incongrua motivazione, si riverbera, pertanto, anche sulla questione appena esposta.
9.18 Appare infatti evidente che, in caso di ritenuta sussistenza del divieto di interposizione di manodopera, le prestazioni formalmente fatturate dalla Q. Group finirebbero con l’assumere il carattere delle operazioni oggettivamente inesistenti, con tutte le conseguenze in tema di detraibilità, sulle quali più volte questa Corte ha avuto occasione di statuire, tenendo conto della giurisprudenza resa dalla Corte di Giustizia—per cui v., fra le altre, Cass. n. 9108 del 06/06/2012-.
9.19 Si è, sul punto, già avuto modo di chiarire che in ipotesi di fatture che l’Ufficio ritenga relative ad operazioni oggettivamente, o anche solo soggettivamente, inesistenti, o che – ancorché effettivamente poste in essere – si iscrivono in combinazioni negoziali fraudolente ai danni del fisco, l’amministrazione stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che figurano nella fattura, o che essa sottende un’operazione fraudolenta cui il cessionario sia partecipe. Si è pure aggiunto che tale prova può essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, l’art. 54, co. 2, del d.P.R. n. 633/ (cfr. Cass.n.23075/2012; Cass. 21953/07;Cass. 9108/12, Cass. 15741/12,-.
9.20 Anche sotto tale profilo, pertanto, la decisione impugnata appare carente.
9.21 Né a paralizzare i superiori argomenti risulta idonea la questione, prospettata in sede di controricorso dalla società contribuente, in ordine alla compatibilità della disciplina interna in tema di divieto di intermediazione con i principi espressi dalla Corte di Giustizia nelle sentenze dell’11 dicembre 1997 (resa nella causa C-55/96) e dell’8 giugno 2000 (resa nella causa C-258/1998).
9.22 Sul punto, questa Corte ha già ritenuto -sent.n. 10978/2002- che il divieto di intermediazione e di interposizione nelle prestazioni lavorative, stabilito dall’art. 1 della legge n. 1369 del 1960, non confligge con l’ordinamento comunitario, quale risulta a seguito della sentenza 11 dicembre 1997 della Corte di Giustizia delle Comunità Europee; esso infatti non attiene, almeno in via esclusiva, al monopolio pubblico del collocamento, ma persegue lo scopo di garantire, con la effettività del rapporto di lavoro, una più forte tutela del diritto al lavoro dei lavoratori assunti dall’intermediario, impedendo, o, quantomeno, ostacolando elusioni fraudolente della disciplina posta a garanzia del lavoratore. Ciò che rende non pertinente, dopo l’individuazione della portata delle decisioni rese dalla Corte di Giustizia operata da questa Corte, la richiesta di rinvio pregiudiziale, in assenza di elementi che possono ingenerare il dubbio di incompatibilità del quadro normativo interno con quello comunitario.
9.23 Peraltro, nemmeno può ritenersi che la società contribuente, sulla quale incombeva il relativo onere, abbia allegato e dimostrato la ricorrenza “cumulativa” dei presupposti – incapacità palese degli uffici pubblici di collocamento di soddisfare, per tutti i tipi di attività, la domanda esistente sul mercato del lavoro; impossibilità dell’espletamento delle attività di collocamento da parte delle imprese private per effetto di disposizioni di legge che vietano tali attività; estensione delle attività di collocamento a cittadini o territori di altri Stati membri- che questa Corte -cfr.Cass. n. 8530/2006-ha in altra occasione ritenuto necessari per ritenere che il divieto di intermediazione previsto dalla legge n.1369/1960 fosse in contrasto con l’ordinamento comunitario.
9.24 Resta solo da evidenziare che le questioni sollevate dalla società controricorrente a pag.14 del controricorso non possono passare al vaglio della Corte, non avendo la suddetta nemmeno indicato se e quando le stesse sono state (ritualmente) prospettate nel corso del procedimento di merito.
9.25 Quanto alla questione esposte a pag.21-calendata sub settimo motivo- la stessa non può passare al vaglio di questa Corte, risultando demandata al giudice del rinvio.
10. In conclusione, i motivi di ricorso vanno accolti e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della CTR del Lazio -sez.Latina- che si conformerà a quanto sopra esposto.
P.Q.M.
Accoglie i motivi di ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR del Lazio -sez. Latina- che pure provvedere alla liquidazione delle spese processuali del giudizio di cassazione.
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