CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2013, n. 26837
Lavoro autonomo – Spese per l’avvocato all’estero – Assistenza sanitaria – Rimborso – Tutela della maternità – Limiti
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Genova, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda dell’avv. M.R., proposta nei confronti del Ministero della salute, diretta ad ottenere il rimborso, ex art. 2 del DPR n. 618 del 1980, delle spese sanitarie da lui sostenute negli Stati Uniti per l’assistenza ed il ricovero della moglie per la gravidanza ed il parto della figlia.
A fondamento del decisum la Corte del merito poneva il rilievo secondo il quale l’invocato art. 2 del citato DPR n. 618 del 1998 prevedendo quale presupposto del reclamato rimborso per i lavoratori autonomi lo svolgimento di un’attività lavorativa “per periodi di tempo limitati” senz’altra specificazione doveva interpretarsi nel senso che l’assistenza sanitaria era limitata a situazioni del tutto marginali quali quelle appunto determinate dalla permanenza all’estero per limitati periodi di tempo. Ipotesi questa, secondo la Corte territoriale, non ricorrente nel caso di specie dove risultava che l’avv.to R. nell’anno 2005 aveva svolto attività lavorativa negli USA per due periodi di tempo che sommati tra loro erano pari ad una permanenza di ben otto mesi su dodici, non senza considerare che il predetto avvocato aveva negli USA uno studio professionale coerente non con un’attività lavorativa per un periodo di tempo limitato, ma con un’attività lavorativa continuativa e, quindi, non limitata nel tempo.
Né per la Corte di Appello tanto confliggeva con l’art. 32 della Cost. in quanto il diritto alla salute trovava limiti nel bilanciamento di altri interessi costituzionalmente protetti e nei limiti oggettivi delle risorse – disponibili che ben posso ostare, nella valutazione del legislatore, all’estensione indiscriminata dell’assistenza sanitaria.
Avverso questa sentenza l’avv.to R. ricorre in cassazione sulla base di tre censure.
Resiste con controricorso il Ministero intimato.
Motivi della decisione
Preliminarmente va disattesa l’eccezione, sollevata dal Pubblico Ministero, d’inammissibilità del ricorso per essere la procura alle liti priva della validazione mediante apostille.
Nella specie, invero, la certificazione – di cui alla procura alle liti – della firma a mezzo di un Notary Public dello Stato di New York risulta validata mediante apostille secondo guanto prescritto dalla Convenzione sull’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, adottata a l’Aja il 5 ottobre 1961 e ratificata dall’Italia con legge 20 dicembre 1966, n. 1253.
Con il primo motivo il ricorrente denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 2700 e 2730 cc nonché vizio di motivazione, sostiene, formulando separati quesiti, che il Ministero ha riconosciuto con propri provvedimenti amministrativi il diritto al rimborso e, quindi, avendo i relativi atti natura confessoria, deve essere riconosciuto il diritto reclamato.
La censura non è scrutinabile.
Secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n.3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).
Nella specie la questione, di cui al motivo di censura in esame, non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata ed il ricorrente, in violazione del richiamato principio di autosufficienza del ricorso, non ha indicato in quale atto del giudizio precedente ha dedotto la questione.
Conseguentemente il motivo in discussione è inammissibile.
Con il secondo motivo il ricorrente denunciando violazione o falsa applicazione dell’art. 2 del DPR n. 618 del 1980 e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo, assume, articolando separati interpelli, che l’interpretazione restrittiva fornita dalla Corte di Appello del denunciato art. 2 del DPR citato contrasta con i principi di cui all’art. 3 e 32 della Cost.
Con la terza censura il ricorrente, allegando violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della Cost., prospetta che, comunque, per le condizioni dell’assistita si verte in un caso di cure mediche urgenti ed indifferibili che configurano un diritto soggettivo perfetto riconducibile al diritto primario e fondamentale alla salute.
I due motivi che, in quanto strettamente connessi dal punto di vista logico e giuridico vanno trattati unitariamente, sono infondati.
Innanzitutto mette conto rilevare che la Corte Costituzionale ha costantemente affermato che la tutela del diritto alla salute non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone, ma ha anche precisato (sentenze nn. 354 del 2008, 267 del 1998, 416 del 1995, 304 e 218 del 1994, 247 del 1992, 455 del 1990) che le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana. E non è certamente a quest’ambito che appartiene il diritto dell’avv.to R. per il quale neppure è stato dedotto che versi in condizioni indigenti.
Tanto comporta che non è contraria ad una lettura costituzionalmente orientata l’interpretazione fornita dalla Corte di Appello di Genova dell’art. 2 del DPR n. 618 del 1980 secondo la quale l’assistenza sanitaria è limitata, per i lavoratori autonomi ivi compresi i liberi professionisti, a situazioni del tutto marginali quali quelle appunto determinate dalla permanenza all’estero per limitati periodi di tempo.
Né ritiene questa Corte non corretta l’esegesi in parola in quanto il legislatore, evidentemente, con il riferimento all’ “attività lavorativa per periodo di tempo limitato” ha inteso riferirsi a quei lavoratori autonomi che svolgono occasionalmente la loro attività all’estero con esclusione di coloro i quali sostanzialmente svolgono la loro attività prevalentemente all’estero e cioè per periodi non limitati di tempo.
Ed è questo il caso di specie come accertato dalla Corte del merito la quale ha verificato, con giudizio immune da vizi logici e come tale sottratto al sindacato di questa Corte, che l’avv.to R. nell’anno in questione ha svolto la propria attività all’estero per un totale di otto mesi su dodici.
Né è configurabile, nei termini suddetti, una questione per violazione dell’art. 3 della Cost. non venendo in evidenza la situazione di chi si reca all’estero per un periodo di tempo limitato per svolgere un’attività lavorativa in senso lato e chi vi si reca per svolgere la propria attività lavorativa limitatamente ad uno specifico incarico o una specifica questione.
Quello che rileva, ai fini di cui trattasi è, infatti, nella specie, la prevalenza dello svolgimento all’estero dell’attività lavorativa che esclude di per sé possa aversi un’attività lavorativa per periodi di tempo limitati ex art. 2 DPR n. 618 del 1980.
Il ricorso in conclusione va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità liquidate in E. 4.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
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