COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Genova sentenza n. 806 del 9 luglio 2015
PROCESSO TRIBUTARIO – INCARICO DIRIGENZIALE – AVVISI DI ACCERTAMENTO – DELEGA DI FIRMA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il contribuente è titolare di ditta individuale svolgente attività di fotografo in Sestri Ponente. L’attività è avviata nel 1988 dopo la cessazione del rapporto di lavoro dipendente come metalmeccanico.
Per il 2008 è soggetto a verifica fiscale originata da indizi di evasione desunti dalla dichiarazione dei redditi e dallo studio di settore, al quale non risulta congruo.
L’Ufficio gli notifica questionario col quale richiede l’esibizione dei documenti e registri contabili ai fini della verifica dei redditi 2008; all’esito dell’esame della documentazione, l’Ufficio in applicazione dell’art. 39 1° comma lettera d) del DPR 600/73 procede ad accertamento motivato con la antieconomicità della gestione aziendale, l’inverosimiglianza della situazione reddituale, i risultati dello studio di settore; i ricavi passano così dai dichiarati pari a 4.217,00 a 48.422,00, applicando la formula del valore aggiunto per addetto. Il reddito viene rettificato in 42.150,00 a fronte di 890,00; conseguentemente viene richiesto il pagamento di 22.039,00 per irpef, irap, iva e relative sanzioni; maggiori contributi ai fini previdenziali per 5.706,00.
Il contribuente ricorre presso la CTP di Genova, formulando numerosi motivi:
1. sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte di personale avente qualifica non dirigenziale (d.ssa B., dirigente incaricato); carenza di delega.
2. omesso invito al contradditorio, art. 12 L. 212/2000.
3. mancato rilascio del PVC di chiusura della verifica-emissione dell’avviso entro il termine di 60 gg. ex art. 12 comma 7 L. 212/2000 – omessa indicazione degli eventuali motivi di urgenza.
4. difetto dei presupposti per l’accertamento, in mancanza di elementi gravi precisi e concordanti non desumibili di per sé dallo studio di settore e non supportati da ulteriori prove.
5. mancata considerazione delle giustificazioni offerte dal contribuente: invalidità nella fattispecie dell’indice del valore aggiunto per addetto; ubicazione dell’esercizio in zona fuori dal circolo commerciale di Sestri Ponente (sommità di viale C.); attività avviata senza particolari fini di lucro, ma solo al fine di completare i versamenti utili alla pensione; crisi generalizzata dei fotografi, a seguito dell’avvento delle macchine digitali e della pressoché generalizzata scomparsa dello sviluppo foto.
6. erroneo utilizzo dell’indice di normalità economica – principio del valore aggiunto per addetto, il cui utilizzo non è previsto dalla nota metodologica allo studio UM15B, se non per l’individuazione di liste selettive di posizioni da sottoporre a controllo.
7. illegittimità dello studio per la sua inidoneità a rappresentare la realtà economica.
8. mancata prova da parte dell’Ufficio in ordine alla affermata infedeltà dei dati comunicati nello studio.
9. illegittimità delle sanzioni conseguente alle suesposte tesi difensive.
10. idem quanto ai pretesi contributi previdenziali.
Con memoria illustrativa evidenzia che la questione degli incarichi dirigenziali è stata rimessa dal Consiglio di Stato alla Corte Costituzionale. Chiede sospensione in virtù della ridotta capacità contributiva (che viene concessa) e annullamento dell’atto opposto, con vittoria di spese.
L’Ufficio si costituisce e ribatte punto su punto, in particolare quanto alla pretesa irregolarità della sottoscrizione e alla titolarità di delega da parte del funzionario firmatario, inquadrato nella carriera direttiva e comunque incaricato di funzioni dirigenziali. Evidenzia che nel 2012 il contribuente ha spostato l’attività in zona più centrale della delegazione genovese di Sestri Ponente (da viale C. a via C.), stipulando contratto di locazione pari a € 6.000,00 annui, il che conferma la redditività dell’attività.
La CTP con la sentenza oggi impugnata respinge come infondate tutte le tesi difensive, ritiene non provate le asserzioni del contribuente, ritiene che il funzionario già definito come direttivo di nona qualifica funzionale, e poi inquadrato nella terza area contrattuale, possa essere titolare di delega.
Successivamente il contribuente formula appello insistendo in sostanza in tutti i punti già oggetto del ricorso di primo grado, ritenuti non esaminati dai primi giudici che su di essi non si sono analiticamente pronunciati, ma genericamente li hanno ritenuti infondati; quanto alla irregolarità della sottoscrizione, richiama la sentenza del TAR Lazio che ha annullato il regolamento di amministrazione della A.D.E. art. 24 e insiste per la irregolarità della sottoscrizione e conseguente nullità dell’atto.
Sorregge la difesa con memoria illustrativa depositata il 16.04.2015 recante in allegato provvedimento del Garante del Contribuente con il quale si raccomanda all’ Amministrazione – quanto al caso in esame – di procedere ad annullamento in autotutela.
L’Ufficio a sua volta insiste per la regolarità della delega, anche a prescindere dal conferimento dell’incarico dirigenziale, trattandosi di funzionario direttivo. Nel resto insiste per l’infondatezza delle tesi avverse, ritenute pretestuose.
Si procede in pubblica udienza, durante la quale le parti insistono come in atti.
In particolare parte privata evidenzia che l’accertamento è fondato solo sullo studio. Insiste sulla mancanza di contradditorio preventivo e richiama Cass. S.U. 19667/2014, prodotta in atti. Afferma che in presenza di contradditorio, la pretesa sarebbe stata sicuramente annullata o ridotta. Pone in rilievo che il contribuente non dispone di redditi tali da consentirgli di far fronte alla debenza accertata e non ha possibilità di reddito lavorativo essendo affetto da patologia tumorale. Conferma di aver effettuato anche segnalazione al Garante, evidenziando la lacunosità della prima sentenza. Insiste sul fatto che la pretesa antieconomicità è stata giustificata con il desiderio di arrivare al monte/contributi utile per la pensione. Ribadisce la richiesta di sospensiva.
In particolare l’Ufficio ritiene non corretto da parte della difesa strumentalizzare le condizioni di salute del contribuente ai fini processuali, atteso che – tra l’altro – la patologia è stata curata con intervento ospedaliero nel 2013, mentre l’annualità in questione è il 2008. Insiste sulla assoluta esiguità dei redditi dichiarati, veramente minimi e incredibili. Quanto alla validità della sottoscrizione del dirigente incaricato, fa presenta che la d.ssa B. ha firmato su delega del direttore provinciale dott. T.. In questo caso l’atto è stato firmato come delegato, per cui è valido. Precisa che il potere di firma della d.ssa B. le deriva dal fatto che è a capo di un Ufficio il cui titolare è delegato alla firma con ordine di servizio interno. In ordine al preteso eccesso di sinteticità della prima sentenza, richiama Cass. 5345/14.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Commissione, letti gli atti e udite diffusamente le parti, ritiene l’appello fondato nei limiti di cui in motivazione.
Il contribuente lamenta, in appello, che i primi giudici hanno immotivatamente ritenuto che il contribuente non abbia contrastato efficacemente la pretesa tributaria.
A) quanto al motivo n. 1 (antieconomicità dell’attività – inattendibilità delle scritture contabili), n. 2 (giustificazione delle incongruenze desunte dallo stadio di settore) e n. 8 l’inutilizzabilità dell’indice di normalità economica “valore aggiunto per addetto”): I motivi non sono fondati. Il contribuente si lagna del fatto che l’Ufficio si è adagiato sulla sola antieconomicità, senza tener conto della peculiare attività, che non avrebbe avuto, in sostanza, tendenza al profitto, ma solo al raggiungimento dei minimi contributivi per la pensione; ciò sarebbe confermato dalla età avanzata del contribuente (54 anni), dall’allocazione in zona decentrata, dalla scarsezza dei beni strumentali, dal fatto che nel 2013 – a seguito della malattia e della concessione di pensione di inabilità – l’attività è cessata. Contesta che la fattura ENEL relativa al 2007 debba essere registrata in tale annualità, essendo pervenuta nel 2008. Contesta il fatto che dal raffronto delle fatture le rimanenze finali risultino superiori alle esistenze iniziali. Contesta il fatto che la differenza tra il valore degli scontrini emessi e i corrispettivi indicati (inferiori) sia rilevante, essendo di lieve entità (5.217,80 e fronte di 5.060,82). Contesta che non sussistano i presupposti per addossare al contribuente l’onere della prova. Contesta l’applicabilità del criterio del “valore aggiunto per addetto” in assenza di dipendenti. Lamenta che non si è tenuto conto della crisi dei fotografi (a causa dell’avvento del digitale) e della crisi in generale. Contesta in toto la validità dello strumento dello studio di settore e il fatto che i dati fomiti per lo studio non siano veritieri.
La Commissione osserva:
1. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto configgente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. Pertanto in tali casi è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (V. Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 19550 del 9 novembre 2012; Sentenze n. 6337 del 03/05/2002, n. 11645 del 2001); nella specie, le circostanze dedotte dall’Ufficio, che descrivono una gestione – almeno in astratto – assolutamente antieconomica e commercialmente insostenibile, possono costituire tale tipologia di presunzioni.
2. Le circostanze soggettive ed oggettive rappresentate dal contribuente (raggiungimento del minimo pensionistico, ubicazione dell’attività, beni strumentali al minimo, crisi del settore ecc.) non sono utili per giustificare un reddito assolutamente non credibile, ma – semmai – per giustificare un abbattimento percentuale dell’accertato (di cui si dirà oltre); così come il fatto che sostanzialmente l’utilità andrebbe trovata nel solo fatto di consentire il versamento di ulteriori contributi pensionistici anche a costo di portare all’esercizio di un’attività a reddito pressoché zero, tacendo del fatto che al contribuente necessitano almeno i minimi per il sostentamento. Ugualmente, non è valutabile per il 2008 la malattia sviluppatasi successivamente. Per contro, le considerazioni sviluppate dall’Ufficio in ordine alla reale redditività dell’attività sembrano confermate dal fatto che nel 2012 essa sia stata spostata in zona più centrale, con spese di locazione (€ 6.000,00 annui …) che sarebbero insostenibili in presenza di ridottissima redditività.
3. La fattura ENEL 2007 non poteva essere registrata nel 2008, dovendosi rispettare il principio della competenza in base alla consegna della merce ovvero della prestazione (art. 109 TUIR); inoltre non pare possibile prescindere dal concetto di correlazione civilistico-contabile tra produzione del reddito e costi correlati.
4. La lievità della differenza tra scontrini emessi e i corrispettivi costituisce pur sempre elemento per ritenere inaffidabile la contabilità e quindi configurare elementi gravi precisi e concordanti tali da portare all’inversione dell’onere della prova (v. precedente punto 1).
5. Prova che non è stata offerta (p.es. attraverso la proposizione di diversi conteggi e tabulati) in relazione alla contestazione rimanenze finali/esistenze iniziali.
6. Quanto all’indice di normalità economica applicato, va rilevato che per le numerose imprese individuali con un solo addetto (il titolare), il valore aggiunto per addetto non dipendente viene, sostanzialmente, a coincidere con il risultato d’esercizio che deve essere tale da consentire un margine sufficiente a coprire almeno la remunerazione di un addetto (appunto, il titolare). Nella specie l’indice di coerenza – che va per la tipologia di attività dal 16,29 al 68,01 – risulta (utilizzando i dati dichiarati nello studio) pari a 1,22, assolutamente non congruo. L’utilizzabilità dell’indice è prevista espressamente nell’allegato 9 – nota tecnica e metodologica – studio di settore UM15B: nel sub allegato 9.C il criterio è riportato tra gli indicatori, e la nota 15 ne prevede espressamente l’applicabilità alle ditte individuali.
7. B) Quanto al motivo n. 3 e 4 (obbligo di contradditorio preventivo e conseguente omissione degli adempimenti prescritti), le lagnanze di parte privata non sono fondate. Il motivo ripropone la questione se le garanzie endoprocedimentali fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (formazione di un verbale di chiusura delle operazioni e rilascio di copia del medesimo al contribuente; facoltà del contribuente di comunicare osservazioni e richieste, che l’Ufficio ha il dovere di valutare, entro il termine di sessanta giorni dal rilascio di copia del verbale; divieto di emanazione dell’avviso di accertamento prima della scadenza di detto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza) si applichi soltanto agli accessi, alle ispezioni ed alle verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività aziendale o professionale del contribuente, come sostiene la difesa erariale, oppure anche alle verifiche c.d. “a tavolino” vale a dire alle verifiche effettuate – come è stato nell’odierna fattispecie – presso la sede dell’Ufficio in base alle notizie fornite dallo stesso contribuente mediante la compilazione di questionario, di dichiarazione o in sede di colloquio presso l’Ufficio. Sul punto la giurisprudenza di legittimità si è ripetutamente pronunciata: tra molte, si vedano sent. nn. 16354/12, 15583/14, 7598/14, 13588/14, che hanno espressamente affermato che il perimetro applicativo del settimo comma dell’articolo 12 L. 212/00 è limitato agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente; tale assunto è formulato valorizzando l’argomento letterale desumibile dal primo comma dell’articolo 12 L. 212/00, che esplicitamente contempla gli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”; e ciò rilevando che solo in tale ipotesi (che si caratterizza perché l’Amministrazione invade la sfera del contribuente nei luoghi di sua pertinenza, ricercando direttamente gli elementi che reputa utili a verificare la sussistenza di attività non dichiarate) sussiste la specifica esigenza di bilanciare lo squilibrio tra contribuente e Amministrazione, derivante dall’assoggettamento del primo ai poteri ispettivi della seconda, e, quindi, di espandere il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso locali aziendali. A tale orientamento si contrappone – almeno in astratto – la nota sent. Cass. S.U. 19667/2014 la quale sostiene che l’Amministrazione sia tenuta, a pena di invalidità dell’atto, ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale “indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva” tanto, nel solco tracciato dal diritto comunitario (sentenza 18.12.08, in causa C – 349/07 Sopropè) e da una valutazione costituzionalmente orientata del diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost. (orientamento abbracciato in toto – provv. 25.09.2014 – anche dal Garante del contribuente della Liguria, cui il contribuente ha sottoposto segnalazione). La portata generale dei termini in cui il principio è stato formulato pone indubbiamente un problema di coordinamento tra lo stesso e l’orientamento giurisprudenziale sopra descritto secondo il quale il disposto del settimo comma dell’articolo 12 L. 212/00 non trova applicazione agli accertamenti c.d. “a tavolino”. Problema che ha portato la Sez. 6-5 della Corte di Cassazione a rimettere nuovamente la questione alle S.U. con Ordinanza Interlocutoria n. 527 del 2015. La Commissione, aderendo alle perplessità espresse in quest’ultima decisione, osserva che – allo stato attuale dell’evoluzione giurisprudenziale – la valutazione letterale dello Statuto del Contribuente porta a rilevare che tutte le disposizioni contenute nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, sono chiaramente calibrate sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive in loco. Conseguentemente le lagnanze del contribuente – sul punto – non sono fondate. Tanto, anche in considerazione del fatto che la stessa giurisprudenza comunitaria non appare poi così cementata, ove si consideri, p.es., la più recente sentenza 22 ottobre 2013 C-276/12, Jin Sabou Repubblica Ceca, ove si distingue “nell’ambito dei procedimenti di controllo fiscale, la fase dell’indagine nel corso della quale vengono raccolte le informazioni, dalla fase contraddittoria, tra l’Amministrazione fiscale e il contribuente cui essa si rivolge, la quale inizia con l’invio a quest’ultimo di una proposta di rettifica”) (punto 40).
C) Quanto al motivo 5 (difetto dei presupposti per l’accertamento), la lagnanza del contribuente non è fondata. Egli oppone che l’accertamento è fondato sullo studio di settore, che da solo non può originare presunzioni gravi precise e concordanti. L’affermazione del contribuente non trova riscontro nell’avviso, dal quale si evince chiaramente che la procedura è stata avviata sulla base del rilevamento di redditi assolutamente inadeguati rispetto ai normali criteri di redditività dell’impresa e dalla conseguente gestione in regime di antieconomicità. Lo studio – utilizzato in sostanza come strumento ma non come punto di partenza – ha contribuito alla determinazione della debenza, e l’incongruenza ha evidenziato ulteriori elementi atti a costituire la predetta presunzione.
D) Quanto al motivo 6 (immotivata e non provata infedeltà dei dati dello studio di settore). Il contribuente lamenta che ingiustificatamente sono stati considerati 253 gg di apertura, avendo l’Ufficio ritenuto non veritiero il dato dichiarato a studio di 220 gg. Va osservato che, anche a voler considerare soli 5 gg. Di apertura settimanale (di regola, per il tipo di esercizio, martedì-sabato), 220 gg. corrispondono a 44 settimane, a fronte delle 52 e mezza di cui consta il 2008. La chiusura per le restanti 8 settimane non può giustificarsi solo con ferie, e comunque il contribuente non ha adottato alcun motivo per cui l’apertura sarebbe stata limitata a 220 gg. nel 2008. Il calcolo a 253 gg. di apertura porta alla chiusura per circa 2 settimane, periodo consueto di ferie per gli esercizi commerciali. Quanto alla determinazione della percentuale di ricavi derivanti da sviluppo e stampa, l’Ufficio ha considerato non veritiero quanto dichiarato, ove posto a raffronto con le medie di settore.
E) Quanto al motivo 7 (omessa) sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte di personale avente qualifica dirigenziale (dirigente incaricato); carenza della delega), la lagnanza del contribuente è priva di pregio.
E1) La problematica va esaminata alla luce della recentissima sentenza 37/2015 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato: a) la illegittimità costituzionale dell’art. 8 – comma 24 – del decreto legge 2 marzo 2012 n. 16 (disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento) convertito, con modificazioni, dall’art. 1 – comma 1 – della legge 26 aprile 2012, n. 44; b) la illegittimità costituzionale dell’art. 1 – comma 14 – del decreto legge 30 dicembre 2013, n. 150 (proroga di termini previsti da disposizioni legislative) convertito, con modifiche, dall’art. 1 – comma 1 – della legge 27 febbraio 2014, n. 15; c) l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 – comma 8 – del decreto legge 31 dicembre 2014, n. 192 (proroga di termini previsti da disposizioni legislative).
E2) La prima disposizione di cui si discute ha consentito alle Agenzie Fiscali di espletare (entro termini via via prorogati fino al 30.06.2015) procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti; nelle more, ha consentito l’attribuzione (con procedura selettiva ex art. 19 – comma 1 bis – d.lgv. 165/2001) di incarichi dirigenziali a propri funzionari, con contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso.
E3) La dichiarazione di illegittimità costituzionale viene emessa a seguito di rinvio da parte del Consiglio di Stato nell’ambito di ricorso amministrativo proposto da DIRPUBBLICA, che lamentava principalmente come la norma impugnata consentisse a funzionari privi della relativa qualifica di essere destinatari – senza aver superato pubblico concorso, di incarichi dirigenziali, e quindi di accedere allo svolgimento di mansioni proprie di un’area e di una qualifica afferente ad un ruolo diverso nell’ambito della P.A.
E4) La Corte Costituzionale in estrema sintesi ha ritenuto: a) che gli incarichi dirigenziali debbano avvenire previo espletamento di pubblico concorso, anche in caso di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio (punto 4.1 della sentenza); b) che la normativa in questione abbia consentito l’aggiramento della predetta regola anche grazie alle reiterate proroghe, che hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti (punto 4.2 della sentenza).
E5) Parte privata sostiene, nell’odierna controversia, che i provvedimenti sottoscritti dal funzionario con incarico dirigenziale sono conseguentemente da dichiarare inesistenti o nulli. Tale assunto non è condivisibile. Esso, infatti, fonda sull’errata tesi che per la valida sottoscrizione dell’avviso di accertamento sia necessaria la qualifica dirigenziale. Si osserva al riguardo che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, si limita a prevedere che gli avvisi, con cui sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio, sono sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza richiedere che financo il capo dell’ufficio debba rivestire la qualifica dirigenziale. Il dato testuale della disposizione individua invece nel capo dell’ufficio (per il solo fatto di essere stato nominato tale) o altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato il soggetto idoneo a manifestare la volontà dell’amministrazione negli atti a rilevanza esterna e di produrre gli effetti giuridici imputabili alla determinazione della sua volontà nella sfera giuridica dei contribuenti. Pertanto, spetta al titolare dell’ufficio, quale organo deputato a svolgerne le funzioni fondamentali (ovvero a un impiegato della carriera direttiva da lui stesso delegato), il compito di firmare gli avvisi, mediante i quali sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti. Ciò avviene dunque a prescindere dal ruolo dirigenziale eventualmente ricoperto, la cui appartenenza produce effetti solo nell’ambito del rapporto di servizio con l’amministrazione preponente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 959 del 2015, 18515/2010). Tale assunto è confortato anche dalla – condivisibile – portata della citata sentenza 37/2015 (punto 4.2 sesto capo verso): considerata la giurisprudenza di legittimità sulla provenienza dell’atto dall’Ufficio e sulla idoneità ad esprimerne all’esterno la volontà (Cass. 959/2015, 220/2014, 17044/2013, 18515/2010, 17400/2012), e considerate le regole organizzative interne della A.d.E. e la possibilità di ricorrere all’istituto della delega, anche a funzionari della carriera direttiva, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale, “si deve ritenere che la funzionalità delle Agenzie Fiscali non sia condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata in sede amministrativa”.
E6) Dalle produzioni dell’Ufficio e dalla lettura dell’avviso, si rileva: a) la d.ssa B., firmataria dell’atto in questione, rivestiva la funzione di Capo Area 2; c) la tabella allegata all’ordine di servizio del Direttore Provinciale n. 47/2012 indica la figura del Capo Area come titolare di delega per la sottoscrizione degli avvisi di accertamento fino a 150.000,00 euro; la normativa sopra richiamata (v. punto E5) individua il funzionario di carriera direttiva come possibile titolare di delega; e) la d.ssa B. – indipendentemente dalla qualifica dirigenziale illegittimamente attribuitale – era inquadrata nella carriera a suo tempo definita “direttiva”, poi descritta e ridefinita come “III area” nella tabella “B” allegata al C.C.N.L. Ministeri all’epoca vigente, e tale circostanza non è contestata; conseguentemente, ella aveva titolarità a sottoscrivere l’avviso di accertamento in quanto “Capo Area Controllo” e in quanto funzionario direttivo titolare di delega in virtù del postai occupato; g) il fatto che – per esigenze di organizzazione interna all’Amministrazione – le fosse stata attribuita la qualifica dirigenziale è dunque irrilevante ai fini dell’odierna controversia.
F) quanto al motivo 9 (inidoneità dello studio di settore a rappresentare la realtà economica delle categorie coinvolte), la lagnanza non è fondata in sé, ma va valutata in correlazione a quanto argomentato al soprastante punto A2. Com’è noto, in astratto gli studi di settore costituiscono un sistema di presunzioni semplici (originate da gravità, precisione e concordanza) nel quale la validità intrinseca nasce dalla elaborazione statistica degli standard allorquando essi sono adeguati alla concreta realtà economica dei contribuente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26819 del 2014, Sez. 5, Sentenza n. 3216 del 2015). Lo stesso studio in questione (sub allegato 9.A) attribuisce rilevanza (ancorché per l’individuazione del cluster) ad elementi quali la modalità organizzativa, la dimensione del punto vendita, la localizzazione dello stesso. Ad avviso della Commissione, in sede di accertamento non si è tenuto sufficientemente conto delle variabili oggettive, non contestate, che caratterizzano il punto vendita in questione, e ciò ha portato ad uno scarso collegamento della procedura accertativa – in astratto corretta – con la realtà aziendale. In particolare vanno considerate: a) la ridotta dimensione del locale e del numero di mezzi strumentali operativi, non contestata; b) la modalità organizzativa, che vede l’apporto del solo titolare; c) ma soprattutto l’ubicazione: notoriamente, il popoloso quartiere genovese di Sestri Ponente presenta una peculiare realtà commerciale che si articola prevalentemente su via Sestri, ove si verifica la maggiore affluenza di pubblico, con caratteristico “passeggio”; ciò porta già gli esercizi nelle vie adiacenti ad una consistente riduzione del volume di vendita: fatto ancor più rimarcato via via che ci si allontana dal predetto centro. Nella fattispecie, l’ubicazione nella parte alta e incontestabilmente defilata del quartiere (nel viale che conduce alla zona ospedaliera), unitamente ai predetti indicatori, consiglia una riduzione percentuale dell’accertato nella misura del 50%; determinazione che la Commissione ritiene corretta giacché essa non assume il significato di una elusione dell’analisi degli elementi di prova addotti dalle parti e delle indicazioni emergenti dal percorso argomentativo alla base della pronuncia, bensì quello di affermazione della maggiore congruità del valore accertato alla percezione di una realtà aziendale ricavata da una indagine più articolata rispetto a quella operata dall’Ufficio (v., in proposito, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11354 del 2001).
G) Tanto ritenuto e considerato, la Commissione, in parziale accoglimento dell’appello del contribuente, riduce l’accertato nella misura del 50%, con conseguente necessità di ricalcolo, anche delle sanzioni che resteranno al minimo; l’accoglimento parziale e la novità delle questioni trattate costituiscono giusto motivo per la compensazione.
P.Q.M.
In parziale accoglimento dell’appello del contribuente, riduce l’accertato del 50%. Spese compensate.
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