COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Campania sentenza n. 5198 sez. 18 depositata il 6 giugno 2017
Massima
“In tema di imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari non è riferibile ai soli titolari del reddito d’impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti. Tuttavia, all’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti” (Cass. n. 1519/2017). La CTR campana, riprendendo tale recente principio enunciato dalla Suprema Corte respinge l’appello del contribuente che aveva presentato ricorso avverso un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione maggiori compensi professionali derivanti dalla somma dei prelevamenti e dei versamenti risultanti dai conti correnti bancari, escludendo dai suddetti compensi i prelevamenti.
Svolgimento del processo
Con la sentenza meglio enumerata nel frontespizio la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, compensando interamente fra le parti le spese del giudizio di primo grado, accoglieva parzialmente il ricorso di avverso lo avviso di accertamento notificatogli il 24/4/2014 dall’ Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale 1 di Napoli per evasione irpef, irap ed iva nell’anno d’imposta 2009, come emergente da verifiche patrimoniali su 4 dei 6 conti correnti bancari riconducibili al contribuente. L’ufficio accertatore, sommando i versamenti di euro 240.205,00 ai prelevamenti di euro 58.823,00, recuperava a tassazione un maggior reddito di euro 299.028,00 non dichiarati ai fini delle imposte dirette ed un maggiore imponibile di euro 240.205,00 non dichiarati ai fini delle imposte indirette.
In aggiunta computava gli interessi maturati ed irrogava le sanzioni dovute.
I Giudici di prime cure, accogliendo solo in parte le doglianze del contribuente ed invece disattendendo le contrapposte argomentazioni del costituitosi ufficio finanziario, confermavano l’impugnato avviso di accertamento per le sole somme relative ai versamenti sui e.e. e lo annullavano invece per le somme relative ai prelevamenti dai e.e .. La C.T.P., obbedendo infatti alla sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale ed alla successiva giurisprudenza della sentenza n. 4585/2015 della Corte di Cassazione, riteneva del tutto immotivata la sommatoria di versamenti e prelevamenti e pertanto escludeva dal calcolo totale degli introiti non dichiarati i prelevamenti di euro 58.823,00. In tal modo essa riduceva il maggior reddito accertato per l’anno 2009 ad euro 240.205,00. La C.T.P. rigettava invece la prova documentale offerta al ricorrente, consistente in varie dichiarazioni di restituzioni di elevati prestiti senza interessi, ritenendole non dettagliate e non credibili.
Contro la predetta decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli depositava l’appello indicato nel frontespizio e successive memorie, ripetendo in sostanza gli stessi argomenti già spesi in primo grado ed aggiungendo: 1) nullità della sentenza di primo grado per motivazione inesistente o comunque apparente, soprattutto in riferimento al rigetto delle prove documentali offerte dal contribuente e rimaste incontestate nel merito dalla controparte; 2) malgoverno della giurisprudenza di legittimità successiva alla sentenza del Corte Costituzionale n. 228/2014, che ha posto fine alla presunzione legale che siano compensi professionali tassabili non solo i prelevamenti ma anche i versamenti su conti correnti bancari; 3) violazione del diritto del contribuente al contraddittorio ed alla difesa preventivi, garantiti non solo dall’art. 12 co. 7 legge 212/2000 ma anche da ripetute pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, soprattutto con riferimento all’omessa considerazione nella gravata procedura di accertamento delle giustificazioni offerte dal destinatario della verifica bancaria; 4) validità, utilizzabilità e credibilità come prova delle dichiarazioni rese da terzi nel processo tributario, con particolare riferimento all’idoneità della difesa di aver nel 2009 incassato restituzioni di prestiti che smentisce la peraltro illegittima presunzione di compensi non dichiarati; 5) sproporzione delle sanzioni irrogate e necessità della loro riduzione alla luce dei principi sanciti in varie pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; 6) accoglimento dell’appello con vittoria di spese ed onorari del doppio grado di giudizio.
Con controdeduzioni depositate il 24/6/2016 l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale 1 di Napoli resisteva all’appello, chiedendone il rigetto con vittoria di spese del giudizio, poiché: l’impugnato avviso di accertamento è legittimo ai sensi degli artt. 32 co. 1° n. 2) dpr 600/1973 e 51 co. 2° n. 2) dpr 633/1972, in quanto si fonda sulla presunzione legale che i versamenti e prelevamenti bancari diano la prova di compensi professionali non dichiarati al fisco; la C.T.P., in ossequio alla sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, ha già ridotto tale presunzione legale ai soli versamenti né è incorsa in difetto di motivazione nel rigettare le prove documentali offerte dal contribuente; a tali dichiarazioni di terzi l’ufficio finanziario non ha mai fatto alcuna acquiescenza ed anzi si insite a criticarne l’utilizzabilità e credibilità a causa della loro genericità, inverosimiglianza e non riscontrabilità; non vi è stata alcuna violazione del diritto al contraddittorio ed alla difesa preventivi del contribuente, che anzi dal 23/5/2013 ha beneficiato di numerosi incontri con l’ufficio accertatore ed ha potuto esibire qualunque prova a sua difesa.
All’odierna udienza del 23/5/2017 innanzi a questa Commissione comparivano entrambi le parti costituite che illustravano le rispettive argomentazioni e si riportavano alle contrapposte conclusioni già rassegnate in atti, chiedendone l’accoglimento con vittoria di spese, competenze ed onorari.
Motivi della decisione
L’appello è infondato e deve essere rigettato per i seguenti motivi, da ritenersi pregiudiziali ed assorbenti di ogni altra questione sollevata dalle parti. 1) Occorre innanzitutto premettere che nel corso del procedimento accertativo non si è verificata alcuna violazione del diritto del contribuente al contraddittorio ed alla difesa preventivi, né la giustamente sintetica motivazione della sentenza di primo grado ha omesso di prendere in seria considerazione le prove documentali che ha infine fondatamente rigettato. Ed invero prima dell’emissione dell’avviso di accertamento il contribuente è stato ritualmente invitato dall’ufficio finanziario a fornire tutte le sue giustificazioni, per contrastare la presunzione che i versamenti e prelevamenti bancari fossero frutto di compensi professionali non dichiarati. Il destinatario della verifica ha potuto così produrre le più volte indicate dichiarazioni di terzi, alle quali l’ufficio procedente non ha mai prestato acquiescenza tant’è che ha subito dopo emesso l’avviso di accertamento. Ugualmente la C.T.P. di Napoli, ben lungi dal ritenere invalide o inutilizzabili le prove documentali offerte dal ricorrente, le ha anzi valutate nel merito e le ha liberamente giudicate non credibili per la loro ·evidente genericità, inverosimiglianza e non riscontrabilità.
2) Non ha alcuna pregio la tesi in diritto dell’appellante secondo la quale: gli artt. 32 co. 1° n. 2) dpr 600/1973 e 51 co. 2 n .. 2) dpr 633/1972 non contemplerebbero alcuna inversione della prova a carico del contribuente ed a vantaggio della amministrazione finanziaria; la più recente giurisprudenza avrebbe inoltre posto fine alla presunzione legale che siano compensi professionali tassabili non solo i prelevamenti ma anche i versamenti su conti correnti bancari. Ed invero a tal proposito una recentissima massima della Corte di Cassazione recita: “In tema di , imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l’art. 32 co. 1° n. 2) dpr 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari del reddito d’impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32 co. 1° n. 2); tuttavia, a/l’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (Cass. sez. 5, sentenza n. 1519 del 20/1/2017, Rv. 642454-01)”.
3) Da quanto sopra detto si rileva la piena confermabilità della sentenza di primo grado, anche laddove ha ritenuto di dover rigettare le prove documentali offerte dal ricorrente a giustificazione dei versamenti operati nel 2009 sui suoi conti correnti bancari. Ed invero. tali documenti: essendo scritture private, non hanno data certa; parlano di prestiti elevati o debiti di gioco senza interessi; non precisano modalità e tempi di restituzione; non sono riscontrabili con altra documentazione; sono in contrasto con la capacità di reddito dei mutuatari. La documentazione in questione, anche a volerla ritenere valida ed utilizzabile nel processo tributario, non può insomma non essere rigettata nel merito a causa della sua non credibilità oggettiva ed evidente inverosimiglianza. La sentenza di primo grado deve dunque essere sul punto pienamente confermata in appello, mentre l’eccezione di sproporzione delle sanzioni irrogate nell’impugnato avviso di accertamento, non risultando specificamente proposta nell’originario ricorso iniziale, costituisce una domanda nuova ex art. 57 co. 1° d.lgs. 546/1992, cosicché essa è inammissibile e non può proprio essere valutata da questa C.T.R ..
Stante la manifesta infondatezza dell’appello, ai sensi dell’art. 15 d.lgs. 546/1992 e dell’art. 92 co. 2 cod. proc. civ. non sussistono evidenti motivi gravi ed eccezionali per ritenere interamente compensate fra le parti anche le spese del giudizio di secondo grado.
E’ inoltre pacifico, in mancanza di una disposizione espressa di segno contrario che limiti l’ambito applicativo della norma, avente generale finalità deflattiva, che l’art. 13, comma 1 quater T.U. Spese di Giustizia si applica anche al processo tributario e non solo al processo civile. In caso di rigetto integrale dell’impugnazione proposta dalla parte privata, quindi, a far data dall’entrata in vigore dell’art. 1, comma 17, L. n. 228/2012, anche nel processo tributario di merito, e non solo nel o giudizio di legittimità, per il quale vi era già il richiamo specifico dell’art. 261 TU Spese di Giustizia, sussistono i presupposti per condannare la parte soccombente al raddoppio del pagamento del contributo unificato.
P.Q.M.
la Commissione Tributaria Regionale della Campania Sezione 18^, definitivamente decidendo, così delibera: rigetta l’appello di che condanna al pagamento delle spese del grado che quantifica in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre accessori di legge se dovuti; sussistono i presupposti di legge per Il doppio del contributo unificato come in motivazione.
Depositato in segreteria il 06 giugno 2017.
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