COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Lazio sez. 1  sentenza n. 4103 depositata il 6 luglio 2017

PROFESSIONISTI – NOTAI – SOMME TRANSITATE SUL CONTO CORRENTE – ANCHE DELLA MOGLIE – RECUPERO A TASSAZIONE – RADDOPPIO DEI TERMINI PER L’ACCERTAMENTO – AMMISSIBILITA’ – ASSOLUZIONE IN SEDE PENALE CON FORMULA PIENA – RILEVANZA AI FINI TRIBUTARI – ESCLUSIONE

Fatto

La presente controversia ha come oggetto il ricorso con il quale il sig. MG – esercente l’attivita’di studi notarili – impugnava l’avviso d’accertamento n. X, con il quale, l’Ufficio, sulla base della verifica effettuata dalla Guardia di Finanza e condotta con, lo strumento delle indagini finanziarie.

L’Ufficio cosi’ determinava, in capo al notaio, ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. 600/73. degli artt. 4 e 25 del D.lgs. 446/97 e dell’art. 55 del D.P.R. 633/72, per l’anno d’imposta 2004, un maggior imposta Irpef pari ad euro 758.869,00, una maggiore Irap pari ad euro 71.671,00 e un’Iva a debito pari ad euro 337.275,00.

In particolare, l’Ufficio procedeva, ad esaminare singolarmente i conti correnti bancari intestati alla parte considerando la documentazione prodotta e, dopo aver opportunamente espunto i movimenti finanziari che la parte aveva giustificato e/o documentato quali riconducibili ad altri soggetti giuridici (associazioni professionali di cui il ricorrente faceva parte), riprendeva a tassazione (in quanto non giustificati): accreditamenti pari ad euro l.1686.376,09.

Con il ricorso introduttivo, il dott. M deduceva:

1) inesistenza di movimenti ascrivibili al notaio come persona fisica;

2) l’illegittimita’ dell’avviso d’accertamento per intervenuta decadenza del potere accertativo dell’Ufficio, non essendo al caso in esame, applicabile il raddoppio dei termini di cui all’art. 43, comma 3, del D.P.R. 600/73, per assoluta insussistenza dei pretesi reati come rilevato dal Tribunale di Roma, che aveva proceduto ad archiviare la denuncia penale de qua;

3) di aver ampiamente giustificato tutti, i movimenti in accredito in quanto relativi, per la maggior parte, alla “cassa cambiali” e, pertanto; irrilevanti.

Si costituiva in giudizio l?Ufficio, insistendo per la legittimita’ dell’atto impugnato.

Con la sentenza n. 9463/65/16 pronunciata il 09/02/2016, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso con condanna dell’Ufficio al pagamento delle spese di lite quantificate in euro 15.000,00.

Il primo Collegio ha accolto integralmente il ricorso, cosi’ motivando:

l’intervenuta assoluzione perche’ “il fatto non sussiste” fa venir meno proprio i fatti fiscalmente rilevanti posti a base del reddito omesso e accertato per il 2004.

E’ infine convincimento di questo Collegio che, anche il raddoppio dei termini, nel caso di specie, venuti meno i fatti che lo hanno giustificato in sede di formazione dell’accertamento, viene a cadere proprio perche’ la formula il fatto non sussiste travolge e fa cadere nel nulla il castello accusatorio posto a base del maggior reddito accertato per il 2004.

Avverso tale pronuncia propone appello l’Agenzia delle Entrate D.p. I di Roma, per chiederne riforma.

L’Ufficio censura la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale per aver questa ritenuto da un canto che l’accertata inesistenza di reati penali tributari esclude l’applicabilita’ del raddoppio dei termini e dall’altro canto, per quanto comunque, concerne il merito dell’accertamento, per aver integralmente condiviso l’infondatezza delle presunzioni operate dall’Agenzia delle Entrate facendo espressamente proprie le considerazioni svolte dal Tribunale Penale.

Si costituisce in giudizio il contribuente per chiedere, con le proprie controdeduzioni e memorie integrative, il rigetto del gravame.

La causa viene trattata in pubblica udienza, essendo stata presentata regolare istanza in tal senso.

All’udienza odierna sono presenti il difensore del contribuente e il rapp.

All’udienza del 16.05.2017, il Collegio ha riservato ogni decisione, ai sensi dell’art. 35 D.lgs, 546/1992.

Successivamente all’udienza del 20/06/2017 il Collegio, a scioglimento della riserva, ha emesso la seguente decisione.

Diritto

Questa Commissione ritiene che l’appello dell’Ufficio sia del tutto fondato e vada, pertanto, accolto.

Non puo’, infatti condividersi la pronuncia, qui impugnata, con la quale i giudici di prime cure hanno accolto il ricorso di parte ritenendo che e’ fuori discussione che l’intervenuta assoluzione perche’ il fatto non sussiste fa venire meno proprio i fatti fiscalmente rilevanti posti a base del reddito omesso e accertato per il 2004.

Tale, statuizione si pone in netto e palese contrasto con quanto disposto dal D.Lgs 74/2000, concernente i reati penali tributari, con il quale viene sancita l’autonomia tra il giudizio penale e quello tributario. Inoltre si pone in contrasto con la costante giurisprudenza di legittimita’.

Difatti, il giudice tributario, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, lo deve valutare con spirito critico e spiegare dovendo, in ogni caso, verificare e spiegare congruamente in motivazione le ragioni per cui ritiene che gli elementi concreti accertati dal giudice penale abbiano rilevanza per la soluzione del caso sottoposto al suo esame (Cass. n. 3564 del 2010)

In sostanza, vi e’, quindi, una precisa autonomia dei processi, atteso che il regime probatorio nei processi penali e’ diverso rispetto ai rapporti regolati dal diritto tributario, dove trovano ingresso anche le presunzioni (Cassazione, sentenza 19609/05).

Al riguardo, giova ricordare la sentenza della Cassazione di 27.03.2015 n. 6211, secondo la quale: nel processo tributario vi sono limiti in materia di prova e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per se’, inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perche’ il fatto non sussiste puo’ essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi insufficienti per un giudizio di responsabilita’ penale, ma adeguati fino a prova contraria, nel giudizio tributario.

Parimenti, secondo il convincimento di questo Collegio, non e’ condivisibile l’affermazione di cui alla decisione impugnata, che, anche il raddoppio dei termini non sarebbe applicabile nel caso di specie.

Non sembra inutile ricordare, in proposito, la sentenza n. 9974 del 2015, con la quale la Cassazione ha cosi’ statuito: … l’avvenuta archiviazione della denuncia presentata dalla Guardia di finanza non e’, di per se’ stessa, d’impedimento all’applicazione del termine raddoppiato per l’accertamento, proprio perche’ non rileva ne’ l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione ne’ la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario

Nel caso di specie, poi deve osservarsi che, l’importo di cui all’accertamento (diversamente dall’importo accertato dalla Guardia di Finanza e sottoposto all’attenzione del giudice penale) e’ inferiore ai due milioni di euro, con la conseguenza, che l’assoluzione in sede penale non puo’, trovare automatica efficacia nel giudizio tributario.

Tanto premesso, questo Collegio si e’ formato il convincimento della piena dpr 600/73 e 51 dpr 633/72.

E, invero, gli artt. 32 del D.P.R. n. 600/73 e 51 del D.P.R. 111. 633/72 prevedeno ampi poteri istruttori esercitabili dall’Amministrazione nello svolgimento dell’attivita’ di verifica e di accertamento.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate, il Corpo della Guardia di Finanza e le Commissioni Tributarie sono legittimati, tra l’altro, a invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a fornire dati o notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti e a fornire chiarimenti in merito ai dati ed elementi acquisiti, derivanti dai rapporti e dalle operazioni intercorsi con le banche, la societa’ Poste Italiane S.p.A. e gli altri intermediari finanziari.

I dati e gli elementi cosi’ acquisiti […] sono posti alla base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente, non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto, ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresi’ posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreche’ non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni art. 32, D.P.R. n. 600/73).

Dalla lettura delle previsioni normative contenute nel D.P.R. n. 600/73, appare subito evidente un dato fondamentale: tali disposizioni, regolanti la materia delle indagini, in deroga al segreto bancario, si fondano sul meccanismo dell’inversione dell’onere e della prova a carico del contribuente, che e’ tenuto a dimostrare che le operazioni risultanti dai rapporti finanziari soggetti ad indagine e dell’Amministrazione finanziaria, non sono rilevanti ai fini dell’accertamento; diversamente, operano le presunzioni legali fissate dai decreti presidenziali n. 600/73 e n. 633/72.

Ne consegue, che il contribuente e’ tenuto a fornire giustificazione dei movimenti di versamento e di prelievo, tenendo presente che tanto i versamenti quanto i prelievi (per i titolari di reddito d’impresa) non giustificati costituiscono ricavi/compensi non dichiarati ai fini delle imposte sui redditi.

Il legislatore, in sostanza, considera – fino a prova contraria – ricavi sia i prelevamenti sia i versamenti:, in quanto non ritiene che il contribuente evasore occulti in pari misura i ricavi ed i costi: anzi, la norma muove dal presupposto che il contribuente tenda ad occultare i ricavi, ma non i costi.

Posto che sussiste inversione dell’onere della prova: alla presunzione di legge va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice, ovvero una mera affermazione di carattere generale (Corte di Cass. sez. V, sent. n. 18016/2005c).

E, ancora, la Corte di Cassazione e’ sempre stata univoca nel ritenere che il contribuente deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non attengono ad operazioni imponibili fornendo a tal fine, una prova non generica ma analitica, con indicazione specifica della riferibilita’ di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia, estranea a fatti imponibili (Cass. ord. n. 9731 del 6 maggio 2014; Cass. n. 18081/2010, e n. 4589/2009).

Sul punto, deve osservarsi che il contribuente non ha offerto alcun concreto tipo di documentazione (della non imponibilita’) delle operazioni di cui alla pagina 16 del ricorso ammontanti ad euro 650.060,00.

Infatti, relativamente a tale importo, il contribuente si e’ limitato a sostenere che trattasi di versamenti extraconto e non su conti correnti riferiti al notaio, laddove, in realta’, il comma 7 dell’art. 32 del Dpr 600/73 dispone non solo, in ordine ai c/c bensi’ in ordine a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata con e presso gli istituti di credito e gli altri operatori finanziari.

Sostiene, altresi’, che i suddetti versamenti attengono a somme incassate dallo Studio Associato M per conto dei medesimi istituti e a questi riaccreditati a seguito dell’incasso dei titoli di credito consegnati per il protesto e per i quali, le stesse banche, avevano conferito incarico al notaio M.

Come sopra esplicato, il contribuente deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non attengono ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione, specifica della riferibilita’ di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili. Prova non fornita nel caso di specie.

Per cio’ che concerne il versamento di euro 370.000,00 (effettuato mediante 2 assegni circolari) sul c/c n. 49, si osserva che la giustificazione addotta dal contribuente – si riferirebbe alla quota parte, del piu? ampio corrispettivo relativo alla compravendita del 21/04/04 a rogito del notaio F , di un immobile di proprieta’ del notaio M – non puoì ritenersi valida in virtu’ della circostanza che l’importo di cui alla suddetta vendita differisce dalla somma in contestazione: l’importo ripreso a tassazione dall’Ufficio eì pari ad euro 370.000.00 ossia nettamente superiore al prezzo di euro 200.000,00 che l’acquirente avrebbe dovuto corrispondere al notaio per la vendita dell’immobile. Altresi’, la giustificazione addotta dall’odierno appellato collide con quanto attestato all’articolo 5 del contratto sopra citato: in relazione al prezzo pattuito per la vendita dell’immobile, pari ad euro 200.000,00, la parte venditrice dichiara di aver ricevuto la somma di euro 22.599,04 dalla parte acquirente … e, quanto ai rimanenti euro 177.400,96, la parte acquirente si accolla la quota di pari importo del mutuo concesso al venditore dalla Banca Popolare di Spoleto.

Pertanto, il versamento di euro 370.000,00 non puo’ essere giustificato dalla vendita di cui sopra, non solo perche’ il prezzo di quest’ultima di euro 200.000,00, e’ inferiore agli accrediti contestati, ma anche per le modalita’ con cui il medesimo importo e’ stato corrisposto: solo l’importo di euro 22.599,00 tramite assegno, il rimanente prezzo, fatto oggetto di accollo di mutuo da parte dell’acquirente.

L’Ufficio ha anche potuto dimostrare che, le stesse copie degli assegni – uno di euro 120.000,00 ed uno di euro 250.000,00 – prodotte dal contribuente per giustificare il versamento in esame non risultano avere nessun collegamento, con la vendita di cui sopra, non riportando nemmeno il nome del mittente dei medesimi in relazione alle somme che, secondo l’odierno appellato sono giustificate in quanto afferenti movimentazioni riconducibili a FC – corrisposte a seguito di una vicenda giudiziaria penale a, carico di tale soggetto che ha visto il notaio, recentemente assolto, imputato di concorso in truffa verso la Banca di Roma, -, s evidenzia che la parte ha prodotto unicamente assegni assolutamente non leggibili che, comunque, non possono assurgere a causali dei versamenti ripresi a tassazione in quanto non e’ stato documentato il collegamento dei medesimi alla vicenda giudiziaria in esame.

Anche l’importo di euro 12.000,00, versato in data 10/03/04, sul Banco di Brescia, non e’ sufficientemente giustificato: il contribuente sostiene che lo stesso si riferisce all’acconto del prezzo da parte del notaio R, quale, acquirente del terreno oggetto della compravendita stipulata in data 01/07/2004. Tuttavia, la parte, acquirente di tale contratto appare essere societa’ semplice Azienda Agricola X e non il notaio R; inoltre, il prezzo della vendita convenuto in euro 40.000,00, come si legge nel punto 3 del contratto, e’ stato corrisposto prima d’ora dall’acquirente, e pertanto non e’ stato provato che, in relazione a tale atto, sia stato pagato un acconto prezzo pari ad euro 12.000,00.

Per cio’ che concerne gli accrediti pari,ad euro 2.833,59, euro 5.000,00 e l.725,00 il contribuente sostiene che trattasi di operazioni aventi natura strettamente personale/finanziaria; ebbene, la giustificazione addotta potrebbe avere una ratio qualora si trattasse di spese/addebiti. Nel caso di specie, in realta’, trattasi di accrediti e, per l’effetto il contribuente e’ tenuto a dare prova che erano somme non imponibili. Prova in alcun modo fornita.

In relazione ai conti intestati alla moglie, lo stesso contribuente, si limita a sostenere genericamente di non aver su di essi alcun potere dispositivo.

Sul punto la Cassazione ha stabilito, con la sentenza 21420 del 30 novembre 2012, che gli articoli 32, n. 7, del Dpr 600/1973, e 51 del Dpr 633/1972 autorizzano l’ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere, anche attraverso elementi indiziari, connessi e inerenti al reddito del contribuente.

Nel caso di specie, devesi osservare che la moglie del contribuente non e’ percipiente alcun reddito, tanto, infatti da non presentare nemmeno la dichiarazione fiscale nell’anno d’imposta oggetto di contestazione.

Per cio’, che ne concerne, invece, il conto cointestato con la moglie – presso Banca Popolare di Ancona – in relazione alla somma pari ad euro 179.110,00, secondo la tesi del contribuente si tratterebbe di versamenti relativi ad operazioni immobiliari strettamente personali della moglie, tuttavia lo stesso non allega alcuna documentazione atta a comprovare quanto dallo stessa sostenuto ed a dimostrare che tali accrediti riguardassero effettivamente operazioni poste in essere dalla signora D.

In definitiva, appare evidente che, a fronte dell’esame analitico dei singoli conti effettuato dall’Ufficio, il contribuente non ha offerto la prova contraria capace di contestare l’assunto presuntivo dell’Amministrazione, allegando anche in questa sede, documentazione parziale e quindi, non sufficiente a dimostrare quanto dallo stesso eccepito.

Sulla base delle dedotte considerazioni, l’appello dell’Ufficio deve essere accolto, in quanto l’accertamento operato appare corretto e va esente da critiche e/o censure, con la conseguenza, che la sentenza impugnata, sia per cio’ che concerne il mancato riconoscimento del raddoppio dei termini che per la statuita non imponibilita’ delle somme di cui alle operazioni cointestate, deve essere riformata con declaratoria di legittimita’ dell’avviso di accertamento.

le spese di lite del presente giudizio, in applicazione del principio della soccombenza, vanno poste a carico della parte appellata e soccombente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Commissione tributaria regionale del Lazio – Sezione prima, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, cosi’ dispone:

Accoglie l’appello dell’Ufficio. Condanna il contribuente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 10.000,00.