Commissione Tributaria Regionale per la Sardegna, sezione n. 4, sentenza n. 69 depositata il 24 febbraio 2020
In tema di contenzioso tributario, l’annullamento parziale adottato dall’amministrazione in via di autotutela e, in genere, i provvedimenti che riducono la pretesa impositiva contenuta nell’atto divenuto definitivo, non sono impugnabili ex art 19, D. Lgs. 546/1992.
Sulla base di indagini sui conti correnti facenti capo a D. P., esercente la attività di impresa di agente e rappresentante di commercio, la Agenzia delle Entrate di Cagliari emise l’accertamento n. TW3010200811/2011, relativo ai redditi ed all’IVA per l’anno di imposta 2006, divenuto definitivo per mancata impugnazione.
A seguito della emissione della successiva cartella esattoriale, la contribuente presentò istanza di autotutela consegnando all’Ufficio, in data 8.6.2012, parte della documentazione giustificativa dei movimenti bancari e l’Ufficio emise provvedimento di autotutela parziale con cui annullò parzialmente l’avviso di accertamento n. TW3010200811/2011, rideterminando il reddito di impresa in euro 82.908,75, in luogo di euro 223.112,04 già accertate definitivamente.
Il provvedimento ai autotutela parziale fu impugnato dalla difesa di D. P. davanti a questa Commissione in data 10.1.2013 sostenendo che l’unica attività esercitata dalla contribuente nel 2006 era stata quella di agente di commercio con mandati conferiti da imprese produttrici di abbigliamento, consistenti in provvigioni regolarmente fatturate e dichiarate, mentre i conti correnti si riferivano alla attività del proprio coniuge che era stato da lei sovvenzionato con finanziamenti successivamente rimborsati parzialmente e/o totalmente e sulla cui attività era intervenuto analogo accertamento con conseguente duplicazione della imposta.
La Agenzia delle Entrate si costituì in giudizio deducendo la inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
Con sentenza depositata in data 1 aprile 2014 la Commissione Tributaria Provinciale di Cagliari dichiarò ammissibile ed accolse il ricorso ritenendo che il potere di autotutela tributaria potesse essere esercitato senza limiti, anche in presenza di atti divenuti definitivi e che la contribuente avesse dimostrato che i movimenti finanziari si riferivano a rapporti fra la stessa contribuente ed il proprio coniuge, fra l’altro non contestati dall’Ufficio. Compensò nel contempo fra le parti le spese del giudizio.
Contro la sentenza ha proposto appello la Agenzia delle Entrate, lamentando:
– Violazione dell’art. 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992, error in iudicando ed emesso esame di un fatto decisivo per il giudizio poiché l’atto impugnato era un provvedimento di autotutela parziale (e non un nuovo accertamento come pareva ipotizzare la sentenza impugnata) di cui era stata dedotta dall’Agenzia delle Entrate la non impugnabilità e su tale eccezione non si era pronunciata la sentenza impugnata, pur trattandosi di eccezione decisiva per il giudizio, sulla quale peraltro nulla aveva dedotto la ricorrente che si era limitata a sollevare eccezioni in merito alla ongmaria pretesa divenuta definitiva per mancata impugnazione dell’accertamento;
Il provvedimento di autotutela poteva eventualmente essere impugnato
esclusivamente per vizi propri di legittimità e non anche per vizi di merito, non costituendo la autotutela un mezzo di tutela del contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non erano stati esperiti, stante la esigenza di certezza del diritto che si fonda sul principio del ne bis in idem;
La ricorrente non aveva dedotto la illegittimità del provvedimento di autotutela parziale ma aveva solo contestato nel merito l’avviso di accertamento divenuto definitivo per omessa impugnazione;
in ogni caso e pur senza accettare il contraddittorio sul punto, in sede di autotutela parziale l’Ufficio aveva ben spiegato che aveva riconosciuto come giustificate le movimentazioni bancarie che avevano trovato corrispondenza nei conti correnti intestati al coniuge della contribuente, per cui si doveva escludere qualsiasi duplicazione di imposta ai sensi dell’art. 163 del TUIR e dell’art. 67 del DPR n. 600 del 1973.
La difesa della contribuente, nel costituirsi nel presente grado del giudizio, ha opposto che la sentenza di primo grado aveva espressamente ritenuto ammissibile il ricorso e che il provvedimento di autotutela, pur non rientrando fra quelli espressamente previsti dall’art.19 del D. Lgs. n. 546 del 1992, era stato peraltro riconosciuto come provvedimento impugnabile dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il che rendeva ineccepibile la pronuncia dei primi giudici. Anche le giustificazioni di merito dell’Ufficio erano infondate poiché il giudice di primo grado aveva posto a fondamento della decisione fatti non contestati dall’Ufficio ed in ogni caso venivano riproposte e trascritte le ragioni di merito esposte nel ricorso introduttivo del giudizio.
L’appello, su istanza dell’appellante, è stato discusso in udienza pubblica con la presenza di entrambe le parti e quindi la causa è stata tenuta a decisione sulle conclusioni sopra trascritte.
Come correttamente rilevato dalla appellante Agenzia delle Entrate, la sentenza impugnata applica principi giuridici erronei, in pieno contrasto con il diritto vivente derivante dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, per cui “In tema di contenzioso tributario, l’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione in via di autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un’autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa.” (v, per tutte, Sez. 5, Sentenza n. 7511 del 15/04/2016 Rv. 639628- 01; da ultimo, Cass. Sez. 5-, Ordinanza n. 29595 del16/11/2018 Rv. 651288- 01).
Erra quindi la sentenza impugnata laddove riconosce la ammissibilità dell’impugnazione della autotutela parziale, di cui non coglie le specifiche caratteristiche, ma anche laddove afferma apoditticamente che la autotutela tributaria deve essere esercitata senza limiti, occorrendo riconoscere al contribuente il diritto a non essere leso nella propria sfera patrimoniale per effetto di provvedimenti che impongono il pagamento di somme non dovute, poiché pure in tema di autotutela tributaria, in via generale, vige il diverso principio in virtù del quale la decisione dell’amministrazione sull’annullamento di un atto impositivo inoppugnabile è espressione di un potere discrezionale, il cui esercizio è funzionale alla soddisfazione di esigenze di rilevante interesse generale, e nella valutazione del quale deve essere considerata l’esigenza della certezza dei rapporti giuridici da bilanciare rispetto a quelle rappresentate dal contribuente, cosicchè il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente (v., da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 5332 del 22/02/2019 Rv. 652959- 01; Sez. 5-, Ordinanza n. 21146 del 24/08/2018 Rv. 650057- 01).
Nella specie è incontestato che l’accertamento n. TV3010200811/2011 relativo all’anno di imposta 2006 non era stato impugnato, divenendo definitivo, per cui il provvedimento di autotutela parziale adottato dall’Ufficio non rientrava fra gli atti impugnabili di cui all’art. 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992, ma, se pure si fosse trattato di diniego “non parziale” bensì “totale” di autotutela, il provvedimento non sarebbe stato impugnabile per interesse personale della contribuente la quale ha dedotto esclusivamente una duplicazione rispetto ai redditi accertati nei confronti del proprio coniuge. A parte il rilievo – pur ultroneo – che la sentenza impugnata applica erronei princìpi giuridici anche laddove sostiene che la Agenzia non avrebbe contestato il merito della pretesa della contribuente poiché fin dall’atto di autoannullamento parziale la Agenzia aveva escluso qualsiasi interferenza fra i redditi accertati a carico della contribuente e quelli accertati nei confronti del coniuge (v. provvedimento di autotutela, pagg. 3 -21, allegato n. 4 all’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio nel primo grado), mentre il principio di non contestazione, nel processo tributario, al contrario di quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, che ha sul punto recepito la tesi – erronea anche sotto tale profilo – della contribuente, nell’ipotesi di ricorso contro un atto tributario non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio (v, per tutte, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 19806 del 23/07/2019 Rv. 654953 – 01). Il principio di non contestazione opera infatti anche nel processo tributario, nell’ambito del quale, tuttavia, deve essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente non equivale étd ammissione dei fatti posti a fondamento di essi, né determina il restringimento del “thema decidendum” ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ente impositore, qualora le questioni da questo dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, tra tutte le possibili argomentazioni difensive rispetto ai motivi di opposizione (v. Cass. Sez. 5 -,Sentenza n. 7127 del13/03/2019 Rv. 653319-01). Nessun restringimento del thema decidendum poteva perciò derivare dalla conclusione della Agenzia nel giudizio di primo grado di dichiarare inammissibile il ricorso poiché l’atto impugnato aveva già escluso che la documentazione bancaria potesse determinare l’intero annullamento dell’avviso di accertamento.
In accoglimento dell’appello si deve pertanto dichiarare inammissibile il ricorso iniziale della contribuente, mentre, quanto alle spese dell’intero giudizio, si può procedere alla compensazione in considerazione dei contrasti all’interno della giurisprudenza di merito e della abbastanza recente formazione del diritto vivente nel senso sopra indicato.
P.Q.M.
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
In accoglimento dell’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 501/6/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Cagliari ed in riforma della detta sentenza, dichiara inammissibile il ricorso iniziale della contribuente; Spese del doppio grado compensate.