CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 ottobre 2017, n. 24626
Tributi – Accertamento induttivo per antieconomicità dell’esercizio dell’attività – Contraddittorio preventivo – Obbligo – Esclusivamente per i tributi “armonizzati” – Mancata esecuzione – Annullabilità dell’atto – Onere di enunciare in concreto le ragioni decisive e non un’opposizione meramente pretestuosa
Rilevato
che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380-bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione semplificata;
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che aveva respinto il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Foggia. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione di A.D. contro gli avvisi di accertamento riguardanti IRPEF e IVA, per l’anno 2008;
che, nella decisione impugnata, la CTR ha rilevato come lo scostamento dei ricavi, pari a circa il 6,3%, non avrebbe dimostrato le “gravi incongruenze”, idonee a legittimare l’accertamento; inoltre, anche per le verifiche “a tavolino”, il mancato rispetto dell’obbligo di preventivo contraddittorio avrebbe determinato l’annullabilità dell’atto di accertamento;
Considerato: che il ricorso è affidato a tre motivi;
che col primo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 12, L. n. 212/2000, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.: nel nostro ordinamento non esisterebbe un obbligo generalizzato di attivare il contraddittorio prima dell’emissione dell’atto, se ciò non sia espressamente previsto per legge, sicché la CTR avrebbe confuso i tributi armonizzati con quelli non armonizzati, mentre il contribuente non avrebbe assolto l’onere di dimostrare le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede amministrativa;
che, col secondo, si assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.: la sentenza impugnata sarebbe nulla per essersi limitata a riportare il ragionamento della parte, senza argomentare alcunché sulla questione controversa concernente l’antieconomicità dell’esercizio dell’attività: lo scostamento dei ricavi sarebbe stato solo un elemento, non l’unico, utilizzato dall’Ufficio per procedere alla ricostruzione del reddito;
che, col terzo, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: a fronte di un accertamento legittimo da parte dell’Ufficio, il contribuente non avrebbe addotto né documentato fatti realmente impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa fiscale;
che l’intimato si è costituito con controricorso;
che il primo motivo è fondato;
che, invero, è concettualmente erroneo cumulare in un’unica valutazione, IRPEF ed IVA, ai fini del contraddittorio preventivo, così come ha fatto la CTR pugliese;
che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati” (come l’IVA), mentre, per quelli “non armonizzati” (come l’IRPEF), non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Sez. U, n. 24823 del 09/12/2015);
che infatti, l’Amministrazione finanziaria è gravata del suddetto obbligo generale solo per i tributi “armonizzati”, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Sez. U, n. 24823 del 09/12/2015); che la società non risulta aver assolto l’onere di enunciare le ragioni concrete che avrebbe potuto far valere, ove il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato;
che il secondo motivo è inammissibile, posto che la ricorrente denuncia, attraverso il vizio di cui all’art. 360 n. 4 c.p.c., l’omesso esame di un fatto (l’antieconomicità dell’esercizio dell’attività), asseritamente decisivo per il giudizio, fra l’altro oggetto di discussione fra le parti;
che il terzo motivo è fondato;
che l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni (Sez. 6 – 5, n. 26036 del 30/12/2015);
che, in effetti, dalla lettura della sentenza impugnata non emerge che siano stati addotti elementi idonei a provare l’erroneità della pretesa fiscale;
che vanno dunque accolti il primo ed il terzo motivo di ricorso; che, pertanto, la sentenza va cassata ed il giudizio rinviato alla CTR Puglia, in diversa composizione, affinché si attenga ai principi sopra indicati, anche per le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il terzo motivo, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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