CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 dicembre 2017, n. 56321
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Bancarotta patrimoniale per distrazione – Responsabilità penale – Membri del consiglio di amministrazione – Condotte omissive di controllo che hanno consentito comportamenti illeciti del dominus
Ritenuto in fatto
La Corte d’Appello di Milano con la decisione impugnata, resa il 12 – 16.9.2016, ha parzialmente riformato – assoluzione di A.L. dal delitto di bancarotta per distrazione di € 426 mila – la sentenza di condanna in ordine a delitti di bancarotta emessa dal Tribunale di Milano a carico dei germani A. e P.E.L..
La Corte ambrosiana ha ritenuto adeguato il compendio probatorio assunto in atti a fondare la statuizione di penale responsabilità adottata nei confronti dei germani L. in ordine a delitti di bancarotta con relazione al fallimento della srl S., anche se con la limitazione sopra ricordata per A.L., che tuttavia non incideva sull’ammontare della pena applicata.
Ha interposto ricorso per cassazione il difensore fiduciario di P.E.R. L. ed A. R.L. portando avverso la decisione impugnata le seguenti puntuali critiche:
concorreva violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla ritenuta penale responsabilità degli odierni impugnanti poiché in effetto la Corte di merito ebbe a ritenere effettivo dominus della società fallita il padre degli imputati, i quali avevano solo formale funzione di consiglieri d’amministrazione, siccome dimostrato dalle prove orali raccolte in causa;
concorrevano i medesimi vizi di legittimità dianzi citati anche in relazione alla ritenuta penale responsabilità di A.R.L., benché ricoprisse solamente la funzione di membro del Consiglio d’Amministrazione senza delega, poiché la Corte di prossimità non ha indicato elemento fattuale lumeggiante il suo apporto apprezzabile alle condotte di bancarotta e, nemmeno, invero la sua consapevolezza delle situazioni significative di allarme, atte ad attivare i doveri di vigilanza insiti nella funzione ricoperta;
concorrevano i citati vizi di legittimità pure con riguardo alla mancata valorizzazione di sentenza irrevocabile penale, che assolveva gli impugnati dalla falsificazione dei verbali d’assemblea, in cui si dava atto della presenza dell’altro componente il Consiglio d’Amministrazione, l’imputato I., assolto in prime cure, poiché le ragioni che avevano portato all’assoluzione dell’I. erano estensibili anche ad A. R.L.;
concorreva vizio di motivazione anche in relazione ad altra sentenza, divenuta irrevocabile, emessa dal G.u.p. di Milano per fatto connesso poiché ritenuta l’ipotesi delittuosa di bancarotta per aver aggravato il dissesto, benché la versione difensiva corroborata dall’accertamento,fatto nel procedimento definito con la citata decisione,riguardante il tentativo di estorsione posto in essere da funzionario della C. – principale cliente della società fallita concorreva vizio motivazionale pure in ordine al delitto di bancarotta documentale poiché la statuizione di colpevolezza adottata senza adeguatamente valutare la tesi difensiva, corroborata dalle emergenze probatorie dibattimentali;
concorreva violazione di legge e vizio motivazionale con riguardo alla ritenuta colpevolezza di P.E.R. L. per il delitto di bancarotta per appropriazione della somma di € 426.000,00,in quanto la Corte di prossimità non aveva valutato che l’effettivo dominus della società era il padre dell’imputato e che l’operazione fu posta in essere a tre giorni dalla dichiarazione di fallimento;
concorreva violazione di legge quanto alla ritenuta distrazione di due presse poiché non configurata la condotta tipica prescritta dalla norma, risultando i beni detenuti in leasing sicché non poteva nemmeno in astratto configurarsi il danno per il ceto creditorio;
concorreva vizio per mancata assunzione di prova decisiva in quanto non s’era proceduto ad acquisire e sottoporre a perizia i moduli f24, ritenuti falsificati mediante fotomontaggio,per accertarne la alterazione, non altrimenti provata;
concorreva violazione di legge poiché la Corte ambrosiana,pur assolvendo A. R.L. da un fatto di bancarotta, tuttavia non aveva proceduto a ridurre la pena inflitta.
All’odierna udienza pubblica è intervenuto il difensore degl’imputati, che instava per l’accoglimento del ricorso, mentre il P.G. insisteva per il rigetto
Considerato in diritto
L’impugnazione mossa dai germani R.L. s’appalesa priva di fondamento e va rigettata.
Aspecifico risulta il primo mezzo d’impugnazione poiché la Corte ambrosiana ha, bensì, rilevato come il dominus della società fallita fosse il padre degli odierni imputati, ma ha pure puntualmente indicate le condotte, tenute dagli stessi, che ebbero a consentire al padre di perpetrare i fatti di bancarotta imputati.
Così la Corte di merito ha ricordato che il bonifico di € 426 mila fu materialmente confezionato da P.L. su richiesta del padre; ha sottolineato come era anche A.L. a tenere i rapporti con il commercialista; come l’azione estorsiva, posta in essere dal funzionario della C., fu rivolta significativamente nei riguardi i P.L. titolare della delega alla gestione dei rapporti con le banche; come fosse pacifica la sistematica omissione di ogni riunione del Consiglio con confezione di verbali posticci.
Inoltre i Giudici ambrosiani hanno ricordato le dichiarazioni testimoniali che collocavano i germani L. assiduamente presenti in azienda, I’ approvazione di bilanci dai quali anche profano poteva apprezzare chiari sintomi di sofferenza economica della società, specie per il vistosamente erratico andamento della posta di magazzino.
In particolare la Corte di prossimità ha analizzata la posizione di A.L. – Consigliere senza deleghe – e puntualmente messo in evidenza come plurimi erano i segnali di allarme palesatisi nel periodo ed ignorati volontariamente dall’imputato,quale la mancata effettiva riunione degli organi sociali e l’avvio di parallela nuova impresa societaria familiare, anche con utilizzo di beni già pertinenti la società fallita – le presse.
Segnali d’allarme evidenti, che l’imputato, per la carica formale che ricopriva e l’assidua presenza in azienda, doveva, ex art. 40 cod. pen., rilevare poiché l’organo di gestione della società ha proprio l’obbligo di impedire condotte pregiudizievoli per la società amministrata.
E la circostanza accertata che la gestione sociale fosse tenuta dal padre, non scrimina di certo la condotta del reo, poiché come visto assiduamente presente in azienda e coinvolto proprio nella gestione economica dell’impresa – contatti con il commercialista.
Anche il mezzo d’impugnazione centrato sull’assenza,in capo di A.L., dell’elemento psicologico, mutuando le ragioni utilizzate al primo Giudice per assolvere l’altro membro del Consiglio d’amministrazione senza deleghe G.I., è privo di pregio giuridico.
Difatti la Corte ambrosiana ha rilevato l’ininfluenza, circa la posizione dell’ impugnante A.L., della sentenza emessa circa la falsificazione dei verbali assembleari,poiché ha evidenziato come l’assoluzione dell’Insalaco derivasse dal convincimento del Tribunale che questi non avesse avuto consapevolezza d’essere stato nominato amministratore della società fallita.
Mentre la Corte di merito ha rimarcato come l’imputato ben sapeva del suo incarico e che,comunque,se l’assoluzione dell’Insalaco fosse frutto d’errore,ciò non portava a ritenere fondata la tesi difensiva dell’inconsapevolezza dell’odierno impugnante.
Quindi, non v’è alcuna comparabilità necessitata tra le posizioni dei due consiglieri considerati, sicché nemmeno si configura il vizio logico denunciato.
Il motivo di censura portato alla statuizione di condanna per il fatto di bancarotta afferente l’illecita sovravalutazione del magazzini nel 2005 per occultare le perdite, appare generico.
Difatti la Corte ambrosiana puntualmente argomenta circa l’assoluta inverosimilianza della giustificazione offerta in causa dagli imputati circa l’oggettiva manipolazione della voce di bilancio del valore di magazzino, senza apparente ragione drasticamente ridotta nel 2006 rispetto all’anno precedente.
Difatti i Giudici milanesi osservano come l’accadimento dedotto – mutamento del modello di elettrodomestico prodotto dalla C., sicché i pezzi immagazzinati non avevano più utilizzo – di sicuro di rilevante interesse per la vita sociale, non solo, non risulta riscontrato da alcun documento rinvenuto tra la documentazione sociale – nemmeno una nota C. per annunciare un tanto -,ma come di detta circostanza non vi sia menzione nella nota allegata al bilancio,pur portante cenno ad altre notizie di minor rilievo economico per la società.
Quindi l’osservazione critica che la Corte non ebbe a tenere in rilievo la sentenza di condanna per il fatto estorsivo a carico di funzionario C., appare slegata rispetto all’effettiva ragion esposta dalla Corte a sostegno della sua statuizione sul punto,poiché come visto la condotta dell’estorsore irrilevante a fronte dell’assenza di cenno alla giustificazione offerta in causa e nella documentazione aziendale e sopratutto nella nota di accompagnamento al bilancio 2006. Aspecifica s’appalesa pure la ragione di censura afferente la statuizione di condanna degli imputati in relazione alla bancarotta documentale.
Difatti con chiarezza la Corte ambrosiana ha ritenuto la colpevolezza degli imputati ricordando come, bensì, le scritture apparivano formalmente adeguatamente tenute ma che in effetto riportavano numerosi dati falsi.
In particolare i Giudici milanesi hanno ricordato l’annotazione di fatture false per acquisto macchinari mai effettuati od ancora la falsificazione di numerosi modelli di pagamento dei contributi sociali,tutta documentazione della quale il curatore ha accetta la falsità mediante apposito interpello delle apparenti contro parti. Quanto poi al libro di magazzino e degli inventari, la Corte di prossimità ha puntualmente richiamato le dichiarazioni rese dal curatore riguardo la loro inadeguatezza per consentirgli la ricostruzione dei movimenti e delle giacenze effettive di magazzino,nonché l’irrilevanza della sentenza resa in sede civili sul punto poiché la domanda risarcitoria relativa respinta per assenza di prova del conseguito evento dannoso.
A fronte di detta puntuale motivazione gl’impugnanti si limitano a richiamare nuovamente la sentenza civile loro favorevole sul punto ed asserire che le “discrepanze” presenti nel libro del magazzino non avevano impedito la ricostruzione dell’andamento economico della società o recato pregiudizio ai creditori sociali.
Come immediatamente s’apprezza, la difesa non si confronta con la complessiva motivazione esposta dai Giudici milanesi e contrappone sua ricostruzione alternativa a quella operata dal Collegio d’appello.
Quanto alla bancarotta patrimoniale per distrazione dell’importo di € 426 mila da parte di P.L., la censura portata non si confronta con la ragione posta dalla Corte territoriale alla base della sua statuizione sul punto.
Difatti i Giudici milanesi hanno ribadito l’irrilevanza dell’incidenza della distrazione sul verificarsi dello stato di insolvenza poiché comunque sottratto bene a garanzia del ceto creditorio e rilevato che non si versava in ipotesi di bancarotta preferenziale a favore dei crediti vantati dal padre per finanziamenti pregressi concessi alla società.
A fronte di detta puntuale argomentazione, la difesa ripropone la questione dell’incidenza sulla genesi della decozione – puntualmente confutata dalla sentenza di legittimità citata dalla Corte milanese se beninteso il principio di diritto affermato – e l’asserzione che venne restituito finanziamento effettuato dal padre, nonostante la Corte ambrosiana abbia ben posto in evidenza come concorreva assenza totale di traccia documentale di detto prestito, tanto che anche la domanda di insinuazione al passivo del padre per detto preteso credito venne rigettata dal Giudice civile.
Priva di fondamento è la cesura elevata contro la statuizione afferente la distrazione delle presse – poi ritrovate nell’azienda pertinente alla nuova società costituita dai L. – in quanto fondata sull’opinio iuris che i beni goduti in leasing non siano parte del patrimonio della società fallita.
A sostegno di detta tesi vengono citati arresti di legittimità di questa sezione, ma in effetto malamente intesi nel loro insegnamento effettivo.
Difatti dette sentenze postulavano in fatto che esistesse, bensì, contratto di leasing, ma che i beni oggetto dello stesso mai fossero stati consegnati al conduttore, poi fallito.
Nella specie è dato pacifico che le due presse fossero state consegnate alla società fallita e la Corte ambrosiana,al fine di evidenziare la concorrenza di effettivo pregiudizio per il ceto creditorio,ha puntualmente messo in rilievo come i due macchinari fossero di recente fabbricazione e pienamente funzionanti, e come la massa dei creditori abbia patito il pregiudizio dell’insinuazione della società concedente per tutti i canoni ancora da scadere a seguito del mancato reperimento dei beni in sede di rivendica.
Pertanto l’argomento critico svolto dagli impugnanti astratto e non attagliato rispetto all’argomento esposto dalla Corte di merito.
Patentemente priva di pregio s’appalesa,poi, la critica fondata sulla mancata ammissione di prova decisiva che parte impugnante individua in una perizia.
E’ costante insegnamento di questa Suprema Corte – Cass. SU n° 39746/17 rv 270936 – che la perizia, in quanto mezzo istruttorio neutro, non può mai assumere la connotazione di prova decisiva ex art. 606 lett. d) cod. proc. pen., specie se la richiesta assunzione in appello non anche accompagnata da elaborato tecnico predisposto dalla parte.
Nella specie poi la Corte ambrosiana ha partitamente illustrate le ragioni per le quali riteneva superflua l’invocata perizia sui modelli f 24 ritenuti falsificati mediante fotomontaggio e gl’impugnanti al riguardo si limitano a contrapporre propria ricostruzione a sostegno della genuinità dei modelli nonostante l’emissione di apposita cartella esattoriale di pagamento per il mancato versamento proprio dei contributi, cui afferivano detti modelli.
Infine la censura afferente la mancata riduzione della pena nonostante l’assoluzione di A.L. dal delitto di bancarotta patrimoniale afferente la somma di € 426 mila, s’appalesa patentemente infondata.
Difatti la Corte lombarda dà appositamente atto che non può esser operata alcuna diminuzione della pena inflitta a detto imputato per la pronunzia assolutoria,poiché la pena irrogata in effetto già quantificata nel minimo edittale. Detta argomento nemmeno viene considerato dalla difesa nell’esporre le ragioni della sua censura.
Al rigetto dei ricorsi proposti dai germani L. segue, ex art. 6161 cod. proc. pen.,la condanna di ciascuno d’essi al pagamento in afrore dell’Erario delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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