CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 novembre 2017, n. 28800
Pubblico impiego – Impugnativa stragiudiziale del licenziamento ex art. 6, L. n. 604/1966 – Termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione in forma scritta del licenziamento – Successiva impugnazione giudiziale – Dies a quo – Scadenza del sessantesimo giorno dalla comunicazione del licenziamento
1. Con sentenza depositata il 5.5.2016, la Corte di appello di Napoli, confermando la sentenza del Tribunale di Nola (che, a sua volta, in sede di opposizione ex art. 1, commi 51 e ss, legge n. 92 del 2012, aveva confermato l’ordinanza emessa nella fase a cognizione semplice) dichiarava la decadenza del diritto alla impugnativa giudiziale del licenziamento proposta da F.V. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate – Direzione regionale della Campania, considerato che la proposizione del ricorso giudiziale era stata effettuata oltre il termine di 180 giorni dalla spedizione dell’impugnativa stragiudiziale.
2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la V. con due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha depositato procura ed ha partecipato all’udienza.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1334 e 1335 cod. civ, nonché dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966, come modificato dalla L. n. 183 del 2010 e dall’art. 1, commi 38 e 39, della legge n. 92 del 2012.
Lamenta che la sentenza impugnata ha ritenuto che il dies a quo, ai fini del computo dei 180 giorni per il deposito del ricorso, debba decorrere dalla spedizione dell’impugnativa stragiudiziale di licenziamento, e non già dalla scadenza dei 60 giorni previsto dalla legge per impugnare il recesso, anche al fine di non penalizzare, in contrasto coi principi costituzionali in tema di tutela del lavoro, il lavoratore che si sia attivato più rapidamente per impugnare (stragiudizialmente) il licenziamento, rispetto a chi lo abbia fatto a ridosso del termine di 60 giorni di legge.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 nonché degli artt. 3 della legge n. 604 del 1966 e 68, comma 2, del c.c.n.l. settore Agenzie Fiscali. Rileva che, sino a successivo intervento normativo di armonizzazione, non si estendono ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni le modifiche apportate all’art. 18 della legge n. 300 del 1970 dalla legge n.92 del 2012.
3. Il primo motivo è infondato.
La L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1, (in “parte qua” confermato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1) stabilisce che “il licenziamento deve essere impugnato entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione (in forma scritta)”. L’art. 6, comma 2, novellato, stabilisce poi che “l’impugnazione non è efficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale…”.
La locuzione normativa sta ad indicare che, indipendentemente dal suo perfezionamento (e quindi dai tempi in cui lo stesso si realizzi con la ricezione dell’atto da parte del destinatario), il lavoratore deve attivarsi, nel termine indicato, per promuovere il giudizio. Il primo termine si avrà per rispettato ove l’impugnazione sia trasmessa entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione del licenziamento da parte del lavoratore (tenuto anche conto della già affermata sufficienza, ai fini della tempestività dell’impugnazione, della consegna dell’atto all’ufficio pubblico che cura la spedizione: Cass. Sez. U. n. 8830/2010), il quale lavoratore, quindi, da tale momento, avendo assolto alla prima delle incombenze di cui è onerato, è assoggettato a quella ulteriore, sempre imposta a pena di decadenza, di attivare la fase giudiziaria entro il termine prefissato. Pertanto, l’impugnazione, per essere in sé efficace e poter raggiungere il proprio scopo tipico (ferma ovviamente la sua ricezione da parte del datore di lavoro), richiede il rispetto di un doppio termine di decadenza, interamente rimesso al controllo dello stesso impugnante, trattandosi di fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali.
Sulla scorta di orientamento ormai consolidato (cfr. Cass. nn. 5717/2015, 21410/2015, 16899/2016, 19710/2016, 12352/2017, 13190/2017), cui si ritiene di dare continuità siccome condiviso, nulla autorizza a ritenere che il secondo termine di decadenza, oggettivamente congruo (pur dopo la sua riduzione a 180 giorni rispetto ai 270 giorni originariamente previsti dalla legge n. 183 del 2010) e diretto ad una maggiore certezza dei rapporti giuridici tra lavoratore e datore di lavoro, debba decorrere dalla scadenza del sessantesimo giorno dalla comunicazione del licenziamento in ogni ipotesi, ed in particolare anche laddove il lavoratore abbia provveduto, liberamente, ad impugnare il recesso con maggiore tempestività senza attendere il 60giorno dalla comunicazione del licenziamento. Nè è ammissibile l’esistenza di un doppio termine (in contrasto con le esigenze di certezza di cui sopra) per il deposito del ricorso giudiziario; nè è ravvisabile alcun trattamento deteriore per chi abbia impugnato (stragiudizialmente) il licenziamento rispetto al lavoratore che abbia atteso il 60 giorno. Per entrambi è necessario depositare il ricorso giudiziario entro 180 giorni dall’impugnativa del licenziamento, che ciascun lavoratore può valutare quando proporre.
Tale soluzione, oltre che con la lettera del testo normativo, è altresì coerente con la finalità acceleratoria che ha improntato la novella legislativa n. 92 del 2012 e non lede in alcun modo il diritto di difesa del lavoratore, che è anzi perfettamente in grado di conoscere il dies a quo per l’instaurazione della fase giudiziaria (egli essendo il soggetto che impugna giudizialmente il licenziamento, dopo averne fatto comunicazione di impugnazione stragiudiziale).
4. Il secondo motivo è assorbito dalla decadenza della ricorrente dall’impugnazione del licenziamento irrogato.
5. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in 2.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis.
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