CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 12661 depositata il 17 giugno 2016
CARTELLA DI PAGAMENTO – ISCRIZIONE A RUOLO A SEGUITO DI GIUDICATO TRIBUTARIO – MOTIVAZIONE – SEMPLICE RICHIAMO ALL’AVVISO DI ACCERTAMENTO PRODROMICO – LEGITTIMITA’
IN FATTO
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di F.G., A.L. ed A.C., quali eredi di A.O., (che resistono con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 2268/10/2014, depositata in data 13/11/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di una cartella di pagamento emessa (in esecuzione di un giudicato tributario con il quale, in sede di impugnazione degli avvisi di accertamento relativi a varie società ed ai soci, erano stati confermati solo gli accertamenti a carico della società A. e dei soci, F.G. ed O.A., quanto al loro reddito da partecipazione, senza applicazione delle sanzioni, intrasmissibili agli eredi, ed oltre gli interessi) per maggiore IRPEF dovuta in relazione all’anno d’imposta 1991 – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso dei contribuenti.
In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che la motivazione, poco comprensibile, sia della cartella di pagamento sia del successivo atto di sgravio parziale, emesso, nel giugno 2012, dall’Ufficio erariale, in autotutela, con riduzione dell’importo accertato originariamente, costituente “novazione’’ della pretesa impositiva, non aveva consentito agli eredi del defunto D’Onofrio di conoscere “gli obblighi tributari a loro carico” e più specificamente le modalità di calcolo impiegate dall’Ufficio per la determinazione del debito ereditario.
A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.
IN DIRITTO
1. L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 12 e 25 DPR 602/1973, nonché 7 commi 1 e 3 L. 212/2000 e 12 d.lg, n. 547/1997, non avendo i giudici della C.T.R. tenuto conto del fatto che, vertendosi in ipotesi di una cartella emessa su iscrizione a ruolo conseguente ad un avviso di accertamento divenuto definitivo a seguito di giudicato tributario, seppur parzialmente riformato nell’ammontare rideterminato in sede giudiziaria dal giudice tributario, l’esigenza di motivazione dell’atto impositivo è più limitata ed è sufficiente il solo richiamo all’avviso di accertamento in precedenza impugnato ed alla sentenza della Commissione Tributaria passata in giudicato.
Con il secondo motivo, la stessa ricorrente lamenta poi la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 2 quater d.l. 564/1994, conv. con modificazioni L. 656/1994 e D.M. 37/1997 in combinato disposto con l’art. 43 DPR 600/1973, avendo i giudici della C.T.R., qualificato l’atto di sgravio parziale come atto in autotutela in sostituzione del precedente atto impositivo, ritenuto che detto provvedimento fosse privo di motivazione, non avendo riportato gli elementi essenziali riferiti all’indicazione della cartella sgravata dell’importo originario, dell’importo residuo di debito e del motivo del recupero di detta parte residua a carico degli credi, laddove nella specie vi è stato esercizio del potere di annullamento parziale in autotutela, con revoca parziale e riduzione dell’originaria pretesa (in quanto l’accertamento originario era stato ritenuto legittimo solo con riferimento ad una delle tre società, originariamente oggetto di contestazione, e senza le sanzioni, intrasmissibili agli eredi), senza alcuna novazione della precedente pretesa fiscale, fissata nell’originario avviso di accertamento, come parzialmente annullato dal giudice tributario, con conseguente non necessità di una forma o motivazione particolari.
2. La prima censura è fondata.
Nella specie, risulta, dal ricorso dell’Agenzia, che la cartella, notificata a F.G. ed agli eredi di A.O., riportava soltanto gli estremi del pregresso avviso di accertamento impugnato, notificato nel 1997 dall’Ufficio di Bari, e della sentenza n. “30/6/2010” della C.T.R., che aveva definito il relativo giudizio.
Va premesso, in diritto, che, per la validità del ruolo e della cartella di pagamento, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 25, non è indispensabile l’indicazione degli estremi identificativi o della data di notificazione dell’accertamento precedentemente emesso nei confronti del contribuente ed al quale la riscossione faccia riferimento, essendo, al contrario, sufficiente l’indicazione di circostanze univoche ai fini dell’individuazione di quell’atto, così che resti soddisfatta l’esigenza del contribuente di controllare la legittimità della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti (Cass. 11466/2011), con l’ulteriore specificazione (Cass. 6672/2012) che, ai fini del contenuto minimo della cartella di pagamento, del D.M. n. 321 del 1999, artt. 1 e 6 richiedono l’indicazione “sintetica” degli elementi di iscrizione a ruolo, non occorrendo quindi, per la regolarità del documento esattoriale, una indicazione “analitica ‘ di quegli elementi (Cass. 26441/2014).
Ora, l’iscrizione a ruolo di cui alla cartella qui impugnata, stante il richiamo espresso ad un previo accertamento impugnato ed alla pronuncia giudiziale, divenuta definitiva, che lo aveva parzialmente confermato, costituiva un semplice atto di riscossione (Cass. ord. 7666/2015), cosicché la stessa cartella di pagamento deve considerarsi adeguatamente motivata a mezzo dell’indicazione del titolo da cui la pretesa si origina, titolo che è appunto l’atto impositivo originario, come parzialmente annullato dal giudice tributario.
Tanto si desume, per contrario, anche dall’insegnamento di questa Corte secondo cui: “la cartella esattoriale, che non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile, tale obbligo derivando dai principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo., dalla DL n. 241 del 1990, art. 3 e recepiti, per la materia tributaria, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7” (Cass. n. 26330/2009).
3. La seconda censura è ugualmente fondata.
In materia tributaria, il potere della pubblica amministrazione di provvedere in via di autotutela all’”annullamento d’ufficio” o alla “revoca”, anche in pendenza di giudizio o di non impugnabilità degli atti illegittimi od infondati, è espressamente riconosciuto dal D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 quater, comma 1, convertito, con modifiche, in L. 30 novembre 1994, n. 656 (Cass. n. 22827/2013).
Il ritiro di un precedente atto può avvenire in due diverse forme, quella del “contratto” (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione dei primo) o quella della “riforma” (l’atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso).
Entrambi sono caratterizzati dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico.
Accanto a tale tipizzato “rimedio demolitorio” la giurisprudenza di questa Corte ha, peraltro, riconosciuto estensivamente il potere di autotutela della Pubblica amministrazione in materia tributaria anche all’ipotesi di intervento “sostitutivo”, laddove, in particolare, viene esplicitamente distinto l’esercizio del potere di rinnovo da quello di integrazione dell’atto impositivo.
Come di recente ribadito da questa Corte (Cass. 3248/2016; Cass. n. 4029/2015), in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’avviso di accertamento emesso in sostituzione di un altro, precedentemente annullato, non si risolve in una mera integrazione di quest’ultimo, ma costituisce esercizio dell’ordinario potere di accertamento, non consumatosi attraverso l’emanazione dell’atto annullato, nonché del generale potere di autotutela, in ordine alla quale, peraltro, l’Amministrazione non gode di alcun margine di discrezionalità (diversamente da quanto accade ordinariamente), trattandosi di integrare le parti che hanno dato luogo all’invalidità dell’atto precedente. La sua emissione, pertanto, non presuppone la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, come prescritto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, ma può aver luogo anche sulla base di una diversa e più approfondita valutazione di quelli già in possesso dell’Ufficio. L’atto integrativo/sostitutivo è, in genere, un nuovo atto sul medesimo rapporto su cui è intervenuto quello precedente, perché in relazione ad un nuovo oggetto, non assunto a proprio elemento dal primo, dispone un nuovo contenuto (Cass. 937/2009).
Il potere di sostituzione dell’atto impositivo incontra i soli limiti del termine decadenziale, previsto per la notifica degli avvisi di accertamento, e del divieto od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull’atto viziato (Cass. n. 11114/2003; id. n. 24620/2006) nonché del diritto di difesa del contribuente (Cass. n. 7335/2010).
Ed ancora, nel senso della legittimità della cd. autotutela in malam partem, si è affermato che “in materia tributaria, il potere di autotutela è funzionale al soddisfacimento dell’interesse pubblico a reperire le entrate fiscali legalmente accertate, sicché è legittimo l’annullamento, in tale sede, di un atto favorevole al contribuente, non essendone preclusa l’adozione dal D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, art. 1 recando quest’ultimo un’elencazione non esaustiva delle ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria può procedere all’annullamento in autotutele” (cfr. Cass. 6398/2014 ed, in termini, Cass. 22827/2013; Cass. 2531/2002 e 3951/2002).
L’esercizio del potere di autotutela, dunque, può condurre alla mera eliminazione dal mondo giuridico del precedente atto o alla sua eliminazione e alla sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato.
Tuttavia, mentre l’integrazione o la modificazione in aumento dell’accertamento originario deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un nuovo avviso di accertamento – specificamente motivato a garanzia del contribuente che ne è destinatario – il quale si aggiunge a quello originario, ovvero lo sostituisce -, l’integrazione o la modificazione in diminuzione, non integrando una “nuova” pretesa tributaria, ma soltanto una pretesa “minore”, non necessita neppure di una forma o di una motivazione particolari (Cass. n. 12814/2000; Cass. 22019/2014; Cass. 22240/2015).
Nella specie, trattandosi di uno sgravio parziale di una cartella di pagamento, con riduzione della pretesa impositiva originariamente iscritta a ruolo (essendo stato ritenuto legittimo l’accertamento originario solo con riferimento ad una delle tre società participate dai soci e stante l’intrasmissibilità agli eredi degli stessi delle sanzioni), senza effetto novativo-sostitutivo ed esercizio di una nuova pretesa fiscale, lo stesso non necessitava di motivazione particolare.
4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. della Puglia, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia in diversa composizione.
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