CORTE DI CASSAZIONE- Ordinanza 03 febbraio 2022, n. 3466
Licenziamento intimato dal curatore fallimentare – Indennità sostitutiva di mancato preavviso – Domanda tardiva
Rilevato che
1. Il Tribunale di Palermo ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento I.A. Sicilia proposta da A. C. contro la declaratoria di inammissibilità della domanda tardiva ex art. 101 l.f. afferente l’indennità sostitutiva di mancato preavviso (a seguito di licenziamento intimato dal curatore fallimentare), in quanto depositata in data 17/10/2018, quando era ormai decorso il termine di un anno – senza sospensione feriale dei termini, trattandosi di credito di lavoro (Cass. Sez. U, 10944/2017) – dal deposito dello stato passivo delle domande tempestive (che includeva anche una precedente domanda tempestiva del ricorrente, derivante dal medesimo rapporto di lavoro), avvenuto in data 18/09/2017;
1.1. il giudice a quo ha escluso che fosse idonea a superare l’oggettivo rilievo di tardivita` della domanda la fissazione dell’adunanza dei creditori per l’esame dello stato passivo in data posteriore alla scadenza del termine ordinario di centoventi giorni dal deposito della sentenza di fallimento, nella quale non vi era invero espressa alcuna proroga del termine annuale per l’accertamento del passivo;
2. avverso detta decisione il C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui il Fallimento I.A. ha resistito con controricorso.
Considerato che:
3. il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 16, comma 1, n. 4), e 101, comma 1, l.fall. per non aver il tribunale valorizzato il fatto che l’adunanza dei creditori era stata fissata oltre il termine perentorio di centoventi giorni dal deposito della sentenza di fallimento (segnatamente, centoventidue giorni), con conseguente dichiarazione implicita della «particolare complessità della procedura», da cui deriverebbe, sempre implicitamente, la proroga sino a diciotto mesi del temine di dodici mesi previsto dall’art. 101 l.fall., essendosi appunto verificato il presupposto ivi previsto della particolare complessità della procedura, indirettamente confermata dall’autorizzazione data dal giudice delegato al curatore di procedete al deposito frazionato del progetto di stato passivo delle domande, sia tempestive che tardive; secondo il ricorrente, l’art. 16 l.fall. non prevede espressamente che il tribunale debba disporre la proroga a diciotto mesi del termine per la presentazione delle domande tardive di crediti al momento della dichiarazione di fallimento;
3.1. il motivo è infondato;
3.2. le norme di riferimento sono l’art. 16, comma 1, n. 4, l.fall. – per cui, con la sentenza di fallimento, il tribunale «stabilisce il luogo, il giorno e l’ora dell’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato passivo, entro il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal deposito della sentenza, ovvero centottanta giorni in caso di particolare complessità della procedura» – e l’art. 101, comma 1, l.fall., in base al quale «le domande di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, trasmesse al curatore oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo sono considerate tardive; in caso di particolare complessità della procedura, il tribunale, con la sentenza che dichiara il fallimento, può prorogare quest’ultimo termine fino a diciotto mesi»;
3.3. tali norme, pur disciplinando diversi momenti della procedura fallimentare – la prima riguardando l’impulso organizzativo impresso dal tribunale all’avvio dell’attività di «esame dello stato passivo», la seconda riguardando la fase successiva al «deposito del decreto di esecutività dello stato passivo» in vista della fissazione del termine finale per la presentazione delle domande tardive – esprimono una medesima esigenza ordinatoria/acceleratoria e, soprattutto, sono accomunate dalla chiara ed inequivocabile previsione di uno specifico onere motivazionale a carico del tribunale – da esercitare immediatamente nella sentenza dichiarativa di fallimento – circa la «particolare complessità della procedura» che, sola, può giustificare una dilatazione dei tempi di formazione dello stato passivo fallimentare;
3.4. ne consegue che alcuna proroga implicita dei termini previsti per l’ordinario (e tempestivo) svolgimento della procedura fallimentare è ammissibile, tanto meno in via di deduzione dal superamento, di fatto (e verosimilmente per via di un mero errore, nel caso di specie di due giorni), del termine “perentorio” previsto per la fissazione della data dell’adunanza dei creditori destinata all’esame delle domande tempestive, da cui vorrebbe altresì trarsi una sorta di corrispondenza biunivoca sulla proroga del termine per il deposito delle domande tardive, che il tribunale è invece parimenti tenuto ad esplicitare e motivare nella sentenza dichiarativa di fallimento;
3.5. applicando al primo comma dell’art. 101 l.fall. il principio «in claris non fit interpretatio» deve dunque concludersi che la proroga del termine sino a diciotto mesi, ivi prevista per la presentazione delle domande tardive, può essere disposta solo – ed espressamente – nella sentenza dichiarativa di fallimento, sulla base di un’esplicita motivazione circa la particolare complessità della procedura; in questi termini, del resto, si è di recente già espressa questa Corte in una serie di casi analoghi, originati dalla medesima procedura fallimentare (si vedano i plurimi precedenti specifici: Cass. nn. 16943-16946, nn. 16487-16488, nn. 28161 e 28741 del 2021);
4. il secondo mezzo lamenta la violazione dell’art. 92 c.p.c. in quanto «l’assoluta novità della questione trattata» avrebbe imposto la compensazione, parziale o integrale, delle spese di lite.
4.1. la censura è inammissibile, in base al consolidato orientamento di questa Corte per cui «il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare» (Cass. 26912/2020; conf. Cass. 3977/2020, 11329/2019, 4696/2019, 24502/2017, 8241/2017, 10009/2003); pertanto, la pronuncia di compensazione delle spese non può essere censurata in questa sede;
5. al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 100,00 ed accessori di legge. Ai sensi del d.P.R. 115/02, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.