CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2018, n. 17806
Tributi – Reddito d’impresa – Accertamento – Studi di settore – Scritture contabili – Litisconsorzio
Ritenuto in fatto
Con N.R.G. 20942/11, O.S., quale socio e amministratore della società Ing. O.S. s.n.c.; N.R.G. 20943/11, S.R., socia della società Ing. O.S.; N.R.G. 20944/11, Z.D., socia della società Ing. O.S.; N.R.G. 20945/11, S.L., socia della società Ing. O.S.; N.R.G. 20947/11, la società Ing. O.S., ricorrono per la cassazione delle sentenze della C.T.R. Abruzzo n. 112/2/10, n. 113/2/10, n. 114/2/10, n. 115/2/10 e n. 116/24/10, tutte depositate in data 11 ottobre 2010.
La società Ing. O.S. s.n.c., dal 2004 s.r.l., esercente attività di lavori di ingegneria civile, e i soci, appartenenti allo stesso nucleo familiare, ricevevano il 27 luglio 2006, a seguito di invito ad esibire le scritture contabili, analoghi avvisi di accertamento basati sugli studi di settore per l’anno 2003, poi annullati in autotutela e seguiti da altri avvisi di accertamento notificati l’otto dicembre 2006, ex art. 39 comma 1 d.P.R. 600/73 e 54 d.P.R. 633/72, per lo stesso d’imposta (2003). Con gli indicati atti impositivi veniva accertato un maggior reddito d’impresa ai fini Irap e Iva, da imputare ai soci ai fini Irpef in applicazione del principio di trasparenza. In particolare: maggiori ricavi e utili di bilancio; acquisti in nero a fronte di ricavi omessi o non dichiarati; disconosciuta una perdita dichiarata.
La Società (Ing. O.S.) et soci (S.O., S.L., S.R., Z.D.), ricorrevano alla C.T.P., che accoglieva i ricorsi (trattati nella medesima udienza). La C.T.R. dell’Abruzzo, in riforma delle sentenze di primo grado, ha accolto l’appello proposto dall’Ufficio in relazione ai ricorsi della società e dei soci, rilevando la legittimità dell’accertamento effettuato ex art. 39 comma 1, d.P.R. 600/73 in presenza di irregolarità contabili legittimanti il ricorso al metodo induttivo e preso atto della mancanza di prova contraria da parte dei contribuenti.
Gli indicati contribuenti ricorrono per la cassazione della indicata sentenza.
L’Agenzia delle entrate si costituisce con controricorso.
I contribuenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Considerato in diritto
1. Preliminarmente vanno riuniti al ricorso RGN 20942/11 i ricorsi: RGN 20943/11, RGN 20944/11, RGN 20945/11 e RGN 20947/11, data la sussistenza del litisconsorzio necessario fra società di persone e soci della stessa (art. 14 d.lgs. 546/92, art. 101 c.p.c., art. 111 Cost.).
2. Col primo motivo del ricorso si deduce nullità del giudizio, ex art. 360 n. 4 c.p.c., essendo la società Ing. O.S. all’epoca dei fatti una società di persone (s.n.c.), solo nel 2004 trasformata in società di capitali (s.r.l.), con conseguente violazione del litisconsorzio necessario fra società e soci.
Il motivo è infondato.
Come si evince dalla data di udienza delle sentenze impugnate (1 ottobre 2010), emesse dalla stessa sezione della C.T.R. dell’Abruzzo (sez. 2), i processi si sono svolti simultaneamente, ancorché non formalmente riuniti, (sentt. C.T.R. Abruzzo n. 112/2/10, 113/2/10, 114/2/10, n. 115/2/10 e n. 116/24/10), e con medesimo esito, e tutte le sentenze indicate, presenti in questa udienza, sono state impugnate per cassazione. Ciò è peraltro confermato dalla stessa esposizione del primo motivo dei ricorsi di tutti i ricorrenti.
Va pertanto applicata alla fattispecie la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui: nel processo di cassazione, in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) in violazione del principio del contraddittorio, ma va disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata da: (1) identità oggettiva quanto a “causa petendi” dei ricorsi; (2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; (3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito; (4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici. In tal caso, la ricomposizione dell’unicità della causa attua il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. Ili, secondo comma, Cost. e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), evitando che con la (altrimenti necessaria) declaratoria di nullità ed il conseguente rinvio al giudice di merito, si determini un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l’osservanza di formalità superflue, perché non giustificate dalla necessità di salvaguardare il rispetto effettivo del principio del contraddittorio (S.U. n. 14815 del 2008; Cass. n. 3830/2010; n. 17633/2014; n. 25300/2014; n. 21340/2015).
3. Col secondo motivo dei ricorsi si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione ai nn. 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c. e omessa pronuncia sul mancato invio dell’invito al contraddittorio, motivo dedotto sia in primo grado sia in appello. La C.T.R. non ha infatti esaminato il “rito” del ricorso, omettendo di pronunciarsi su un motivo preliminare e assorbente ai fini dell’accoglimento di esso.
4. Col terzo motivo si deduce, ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 10 comma 3 bis I. 146/98; dell’art. 10 I. 212/2000, dei principi costituzionali di cui all’art. 97 cost. e del principio europeo sul diritto al contraddittorio.
Il secondo e il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondati e vanno respinti.
Essi pretestuosamente deducono la mancata attivazione del contraddittorio, pur ammettendo che il primo avviso di accertamento, poi annullato, era stato preceduto da un invito a comparire, durante il quale erano state esibite dal contribuente, ed esaminate dall’Ufficio, le scritture contabili richieste. La notifica del secondo avviso di accertamento (a seguito dell’annullamento in autotutela del primo), non necessitava pertanto di un altro invito a comparire, dato che le attività preliminari erano state comunque svolte e la documentazione acquisita dall’Ufficio. Il contraddittorio c’è dunque stato – ed è irrilevante se in occasione di un accertamento poi annullato – e ne dà atto la C.T.R., con conseguente infondatezza dell’omessa pronuncia.
Non è nella fattispecie invocabile il diritto al contraddittorio preventivo, in quanto non obbligatorio, secondo la giurisprudenza di questa Corte (SU n. 24823 del 2015), per le imposte dirette in assenza di specifica disposizione di legge, e sussistente per i tributi armonizzati (IVA) – in diretta applicazione del diritto dell’Unione europea – solo ove il contribuente assolva all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere ove il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e che l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa. Situazione questa assente nel caso di specie.
5. Col quarto motivo si deduce violazione di legge (art. 39 primo comma lett. d) d.P.R. 600/73);
6. col quinto motivo si deduce falsa applicazione dell’art. 39 e dell’art. 54 dpr 633/72, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Secondo i contribuenti la C.T.R. avrebbe male interpretato le risultanze probatorie, con insufficiente motivazione e violazione di legge, per avere inquadrato arbitrariamente la fattispecie nel secondo comma dell’art. 39 del d.P.R. 600/73, invece che, come si trae dall’avviso impugnato, nel comma 1 lett. d);
7. col sesto motivo si denuncia omessa/contraddittoria motivazione e violazione dell’art. 115 c.p.c. su circostanze decisive allegate e non contestate, consistenti: a) irrilevanza della perdita del 2003, situazione isolata in cui non vi erano cantieri aperti per la crisi del settore e la documentata malattia dell’ing. S.; b) errata ricostruzione dei ricavi, a fronte di fatture coerenti con i lavori in corso di esecuzione; c) nessuna incongruenza sulle giornate lavorative rispetto agli studi di settore, essendo state indicate le giornate effettive; d) il conto corrente e la cassa erano utilizzati indifferentemente per i bisogni dei soci oltre che per le attività della società; e) il socio amministratore, Ing. S., non aveva una remunerazione per la carica ed operava per garantire la liquidità necessaria;
8. con l’ottavo motivo si denunzia violazione dell’art. 39 primo comma lett. d) d.P.R. 600/73 e dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la C.T.R. ignorato le presunzioni semplici, costituite dal “confine del tutto evanescente” fra patrimonio della società e dei soci, appartenenti allo stesso nucleo familiare, che hanno attinto dalla cassa della società le risorse necessarie ai bisogni della vita, quantitativamente compatibili con gli utili presumibilmente spettanti a ciascuno di essi a consuntivo.
Tutti gli indicati motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondati e vanno respinti.
La motivazione della C.T.R. è congrua, laddove ha fatto propria la tesi dell’Ufficio, basata sul p.v.c. della Guardia di finanza, circa i pagamenti ai fornitori, la liquidità di cassa, lo squilibrio fra perdite di esercizio e costi, il numero delle maestranze, i pagamenti effettuati sul conto cassa, gli acquisti senza fatture, gli ammortamenti dei beni strumentali, i 60 assegni stornati dal conto cassa per esigenze familiari. Va sul punto dato seguito alla giurisprudenza di questa Corte che ha statuito che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità, (cfr. Cass. 5024 del 28/03/2012). Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non può procedere a un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, né porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito (Cass. n. 91 del 07/01/2014). Con gli indicati motivi, peraltro, i contribuenti mirano ad ottenere una inammissibile revisione degli accertamenti di fatto compiuti, esclusa dal giudizio di legittimità, che è giudizio a critica vincolata, nel quale la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa.
9. Col settimo motivo si deduce violazione di legge (art. 60 TUIR) e omessa motivazione su un fatto decisivo, trattandosi di appalti pluriennali dai quali sono derivati ricavi che, sebbene insufficienti rispetto ai costi del 2003 sono stati riassorbiti nell’anno 2004.
Anche questo motivo va respinto, integrando una inammissibile riproposizione di questioni di fatto, esaminate e congruamente motivate dal giudice di appello, che come tali non trovano spazio in sede di legittimità (cfr. fra le altre Cass. n. 25332 del 28/11/2014).
10. In conclusione, previa riunione, i ricorsi vanno rigettati.
11. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi N.R.G. 20942/11, N.R.G. 20943/11, N.R.G. 20944/11, N.R.G. 20945/11, N.R.G. 20947/11, li rigetta.
Condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese, liquidate in €. 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.
depositato in cancelleria.
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