CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 novembre 2020, n. 24921
Sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata – Mansioni di badante – Denuncia di rapporto domestico resa all’autorità amministrativa – Ricostruzione fattuale
Rilevato che
1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 2545 del 2016, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa città, ha accolto per quanto di ragione la domanda presentata da D.T. nei confronti di B.F. diretta ad ottenere l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata intercorso tra le parti e concretizzatosi nello svolgimento delle mansioni di badante, da parte della ricorrente, di C.D.C., madre della B., e ha condannato quest’ultima al pagamento dell’importo di euro 8.434,65, a titolo di differenze retributive, ratei della tredicesima e TFR.
2. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure hanno ritenuto che: a) era ammissibile la produzione del contratto di assunzione nonché la denuncia di rapporto domestico, effettuata nel giudizio di appello, in quanto si trattava di documentazione indispensabile ai fini della decisione, b) dalla stessa memoria di costituzione in appello della B. emergevano effettive e sostanziali ammissioni in ordine al dedotto rapporto di lavoro, mentre nulla si rilevava circa l’integrale adempimento della correlata obbligazione retributiva; c) dal contratto e dalla memoria si desumevano tutte le componenti del rapporto di lavoro intercorso, con l’indicazione analitica delle mansioni e dell’orario di lavoro svolto; d) dalla quantificazione effettuata in prime cure nei conteggi depositati, non oggetto di specifica censura, andava esclusa unicamente la richiesta relativa alle ferie per carenza di prova sul punto.
3. Avverso tale decisione ha proposto appello F.B. affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso D.T..
4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 cpc, per l’inesistenza e/o la nullità della notifica del ricorso di primo grado nonché la violazione del diritto di difesa, in quanto l’atto introduttivo del giudizio era stato notificato in Roma, alla via (…), senza che ella fosse stata ivi mai residente e senza che vi fosse alcun collegamento con il luogo di notifica.
3. Con il secondo motivo si censura l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 n. 5 cpc, per avere la Corte di appello del tutto omesso di pronunciarsi sull’eccezione formulata da essa ricorrente sulla inammissibilità del ricorso di secondo grado per mancata specificazione dei motivi di appello, con richiesta anche di rilevabilità di ufficio della stessa.
4. Con il terzo motivo F. B. lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2094 cc, in relazione all’art. 2697 cc, ex art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, nonché la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, l’omesso, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio nonché il difetto di motivazione, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente, nel caso di specie, la subordinazione senza valutare l’esistenza, o meno, del requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, costituito dal vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il cui onere probatorio incombeva sulla lavoratrice.
5. Con il quarto motivo si deduce l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 n. 5 cpc, per avere la Corte di merito, con una illogica motivazione, ammesso la produzione del contratto di assunzione e la denuncia del rapporto domestico, ritenendola indispensabile ai fini del giudizio e, con ciò, discostandosi dall’orientamento consolidato affermatosi in sede di legittimità.
6. Il primo motivo è inammissibile.
7. Invero, su eventuali vizi della notifica del ricorso di primo grado, la B. avrebbe dovuto sottoporre le relative questioni alla Corte di appello, con le forme del gravame incidentale.
8. Sollevare la problematica in sede di legittimità, allorquando nulla era stato dedotto nel secondo grado di giudizio, è pertanto inammissibile essendosi formato sul punto un giudicato interno che preclude il suo riesame innanzi alla Corte di cassazione.
9. Né, del resto, è ipotizzabile alcuna lesione del diritto di difesa non essendo stata allegata alcuna circostanza indicativa di tale pregiudizio.
10. Il secondo motivo è infondato.
11. Anche a volere ritenere ammissibile la censura (nonostante l’indicazione erronea del parametro normativo del vizio denunciato – cfr. Cass. n. 16170 del 2018) e potendo questa Corte procedere in via diretta trattandosi di fatto processuale (Cass. n. 13609 del 2015; Cass n. 2313 del 2010); Cass. n. 11659 de 2012), va osservato che dalla lettura dell’atto di appello e dal confronto tra questo e la sentenza impugnata emerge la inconsistenza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso di secondo grado perché era individuabile in esso l’obiettivo della censura, in relazione ad una pronuncia che aveva ritenuto omesso l’obbligo di allegazione dei fatti costitutivi, mediante il richiamo alla documentazione prodotta, e perché erano state indicate le parti della sentenza di cui si chiedeva la modifica: il tutto in una situazione in cui era stata censurata altresì la mancata ammissione dei mezzi di prova articolati in prime cure.
12. Il terzo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
13. E’ inammissibile lì dove si censura il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione che -avendo riguardo alla nuova formulazione del vizio ex art. 360 n. 5 cpc ratione temporis applicabile- non è più proponibile in quanto attiene ad un “vizio sostanziale” della motivazione mentre ora è denunciabile solo il vizio specifico della mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, della motivazione apparente, del contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e della motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. n. 8053 del 2014; Cass. n. 2498 del 2015): ipotesi non ravvisabili nel caso di specie.
14. E’, invece, infondato nella parte in cui si censura la mancata valutazione, da parte della Corte di merito, della sussistenza dei requisiti della subordinazione perché tale accertamento è stato svolto dai giudici di seconde cure mediante l’esame dei documenti prodotti: in particolare dal contratto di lavoro, dalla denuncia di rapporto domestico resa all’autorità amministrativa e dalle stesse ammissioni della B., di cui alla memoria di costituzione in appello, in ordine al dedotto rapporto di lavoro. Da tutti questi elementi i giudici di seconde cure, con accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità perché adeguatamente e correttamente motivato, hanno dedotto le componenti del citato rapporto di lavoro con l’indicazione analitica delle mansioni della lavoratrice e dell’orario lavorativo.
15. Il quarto motivo è, infine, anche esso infondato.
16. A prescindere dai profili di inammissibilità della censura per il vizio denunciato (art. 360 n. 5 cpc), per i quali si richiama quanto già detto in ordine al terzo motivo, la doglianza è infondata anche in relazione ad una eventuale violazione dell’art. 345 cpc in tema di “indispensabilità” della prova documentale acquisita nel giudizio di appello.
17. Infatti, le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. n. 10790 del 2017) hanno specificato che, nel giudizio di appello, costituisce prova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 co. 3 cpc, nel testo previgente (applicabile nel caso in esame) rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012 conv. con modific. dalla legge n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio, oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado. Tale principio è stato ribadito anche nel rito del lavoro, con riguardo all’applicazione degli artt. 421 e 437 cpc (Cass. n. 21994 del 2018; Cass. n. 7883 del 2019).
18. Nella fattispecie, la Corte territoriale ha applicato correttamente tale principio in quanto ha ritenuto, con congrua motivazione, la produzione del contratto di lavoro e la denunzia all’autorità amministrativa del rapporto domestico indispensabile ai fini della decisione della causa perché i suddetti documenti erano dotati di un grado di decisività e di certezza tali che, da soli considerati, conducevano ad un esito necessario della controversia.
19. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
20. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.
21. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge, con distrazione in favore del Procuratore della ricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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