CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 giugno 2022, n. 18520

Dirigente – Accordo supplementare al contratto di lavoro – Tacita risoluzione consensuale – Violazione del vincolo fiduciario – Licenziamento per giusta causa – Legittimità

Rilevato che

1. la Corte di Appello di Trento, sez. dist. di Bolzano, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto solo parzialmente il ricorso proposto da M. R. nei confronti della A. Spa, rigettando – per quanto qui ancora rileva – sia la domanda volta al riconoscimento del diritto a percepire la retribuzione variabile stabilita dall’art. 7 dell’Accordo supplementare dell’8 gennaio 2008 intercorso tra le parti, sia l’impugnativa del licenziamento intimato al dirigente;

2. la Corte, circa il primo aspetto, ha ritenuto che all’accoglimento della pretesa ostassero plurimi argomenti: innanzitutto, dalla mancata proposizione di uno specifico motivo di appello rispetto all’accertamento, compiuto nella sentenza di primo grado, “di una intervenuta risoluzione consensuale, per fatti concludenti, dell’accordo in parte qua”, discendeva “il giudicato con riguardo a tale statuizione”; in secondo luogo, “a fronte della valorizzazione nel senso di indicatore della volontà risolutoria dell’atteggiamento inerte del dott. R. rispetto alla parte variabile”, questi non aveva offerto argomenti idonei a giustificare una diversa valutazione, sicché il Collegio ha ritenuto che, “in mancanza di una valida spiegazione alternativa, il disinteresse palesato dall’impugnante per un intero quinquennio rispetto a tale componente economica del proprio trattamento stipendiale, depone nel senso individuato dal giudice di prime cure”; in ogni caso, la Corte territoriale ha condiviso anche l’assunto del primo giudice in base al quale l’appellante non avrebbe assolto l’onere probatorio, sul medesimo incombente, per “omessa produzione dei bilanci consolidati afferenti gli esercizi sociali in esame, così rendendo impossibile la quantificazione degli emolumenti pretermessi”;

3. in merito al licenziamento, poi, la Corte ha ritenuto che la ricorrenza di taluni dei fatti contestati, “quand’anche ‘numericamente’ inferiore rispetto alla dovizia di quelli imputati al R. nell’ambito del procedimento disciplinare”, non privasse di ragione il recesso intimato perché questi aveva acquistato una quota di partecipazione azionaria in altra società in concorrenza con la datrice di lavoro e per la scorretta gestione da parte del dirigente dell’iter decisionale che aveva condotto a rifiutare la proposta di acquisto di una centrale idroelettrica, con la contestuale attività di facilitazione della medesima operazione in favore di un operatore terzo, facendo così comunque venire meno il peculiare vincolo fiduciario che connota il rapporto dirigenziale;

4. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M. R. con 4 motivi; ha resistito con controricorso la società, che ha comunicato memoria;

Considerato che

1. i primi tre motivi di ricorso possono essere sintetizzati secondo la prospettazione della stessa parte ricorrente: “Nullità della sentenza e del procedimento, nonché violazione o falsa applicazione di norme e omessa motivazione (artt. 324, 434 e 112 c.p.c.) ai sensi degli artt. 360 nn. 3), 4), 5) c.p.c., in relazione all’erroneo accertamento del formarsi del giudicato in merito alla pretesa risoluzione consensuale dell’Accordo integrativo del contratto di lavoro” (primo motivo); “violazione o falsa applicazione di norme (artt. 115, 116 e 132 c.p.c., nonché 1321, 1325 n. 1, 1326, comma 1, c.c.), ed omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione all’erroneo accertamento di una tacita risoluzione consensuale inter partes che avrebbe estinto l’Accordo supplementare al contratto di lavoro” (secondo motivo); “Violazione o falsa applicazione di norme (artt. 112, 115, 116 e 278 c.p.c.) ed omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c. in relazione alla decisione (i) di non ammettere l’ordine di esibizione richiesto, (ii) di ignorare il raggiungimento della prova parziale sul quantum della pretesa azionata e (iii) di rigettare le domande per l’asserita mancata prova sul quantum, negando la possibilità di una condanna generica” (terzo motivo);

2. i motivi possono essere congiuntamente esaminati in quanto hanno ad oggetto il capo della sentenza che ha confermato il rigetto della domanda avente ad oggetto il riconoscimento del diritto del R. a percepire la retribuzione variabile stabilita dall’art. 7 dell’Accordo supplementare intercorso tra le parti; essi non possono trovare accoglimento;

esaminando prioritariamente il secondo motivo, lo stesso contesta, nelle forme della violazione e falsa applicazione di legge oltre che della “omessa motivazione”, l’operato dei giudici del merito che concordemente hanno ritenuto l’esistenza di un accordo risolutorio tacito volto ad estinguere l’obbligazione contenuta nell’Accordo supplementare in contesa; orbene, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che appartiene al giudice al quale il merito è devoluto e non può essere rivisitato in sede di legittimità (v. Cass. n. 29781 del 2017; conf., tra le altre, Cass. n. 13660 del 2018; Cass. n. 13661 del 2018; Cass. n. 13958 del 2018; precedenti ai quali si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.); una volta che la statuizione in ordine all’esistenza di un accordo estintivo della pregressa pattuizione contratta tra le parti ha superato il vaglio di questa Corte, risultano inammissibili le doglianze contenute nel primo e nel terzo motivo, perché anche laddove accolte non potrebbero mai condurre alla cassazione della sentenza impugnata che si regge sull’autonoma ratio decidendi mal censurata;

infatti, qualora la sentenza impugnata sia basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di queste rationes agli appunti mossigli con l’impugnazione comporta che la decisione deve essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato privando in tal modo l’impugnazione dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr., in merito, ex multis, Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009);

3. il quarto motivo denuncia: “violazione o falsa applicazione di norme (artt. 2119 c.c., 8 CCNL dirigenti aziende industriali e 132, n. 4, c.p.c.), ed omessa e contraddittoria motivazione sul punto ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., in relazione all’erroneo accertamento di una giusta causa nonostante la pacifica prosecuzione provvisoria del rapporto di lavoro”; si sostiene che la provvisoria continuazione del rapporto di lavoro sarebbe “ontologicamente incompatibile” con la lesione del vincolo fiduciario e avrebbe dovuto condurre il giudice a quo a derubricare la giusta causa di licenziamento quanto meno in una mera “ingiustificatezza” del medesimo, e conseguente condanna della società alla liquidazione del preavviso maturato dal dirigente; la censura è inammissibile sia per il suo profilo di novità, non risultando affrontata detta questione nella sentenza impugnata e non avendo parte ricorrente specificato quando e come la medesima sia stata introdotta nel giudizio (cfr. Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004; più di recente: Cass. n. 32084 del 2019; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017), sia perché tende ad una rivalutazione di merito in ordine alla sussistenza o meno di una giusta causa di recesso dal rapporto di lavoro di natura dirigenziale;

4. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per spese, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.