CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 febbbraio 2019, n. 4061
Tributi – Importazioni – Dogana – Rettifica valore merci – Frode fiscale – Contenzioso tributario
Rilevato che
– la I. s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata il 20 settembre 2012, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di rettifica del valore delle merci dichiarato in dogana, in relazione ad importazioni dall’India di prodotti tessili effettuate nel 2006 dalla contribuente in rappresentanza indiretta dell’importatore;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’atto impositivo trae origine dall’accertamento di una frode fiscale commessa dall’importatrice, l’impresa individuale A. di B.A., mediante l’esibizione in dogana di fatture false recanti un valore delle merci importate inferiore rispetto a quello effettivamente corrisposto all’esportatore indiano;
– il ricorso è affidato a quattro motivi;
– resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
Considerato che
– con il primo motivo la ricorrente denuncia l’insufficiente motivazione della sentenza nella parte in cui ha ritenuto provata l’effettiva differenza del valore della merce importata rispetto a quello dichiarato;
– il motivo è infondato;
– il giudice di appello ha desunto l’infedeltà della dichiarazione, nella parte relativa all’indicazione del valore della merce, dalle risultanze della fattura ricevuta dall’esportatore estero, non rinvenuta nella contabilità dell’importatore e da cui emergeva un valore della merce notevolmente superiore rispetto a quello dichiarato, e dalle assicurazioni ricevute dalle autorità doganali indiane in ordine alla conformità alla genuinità della stessa;
– una siffatta motivazione appare sufficiente e adeguata, in quanto consente di individuare il percorso argomentativo seguito dal giudice e di apprezzarne la coerenza sotto il profilo logico-giuridico;
– con il secondo motivo la ricorrente deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso del giudizio, nella parte in cui la sentenza di secondo grado non riconosce la sussistenza dell’esimente della buona fede del dichiarante;
– il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella contestazione della valutazione effettuata dal giudice di appello delle emergenze fattuali che avrebbero dovuto condurre, secondo la parte, al riconoscimento della esimente invocata;
– con esso, dunque, si fa valere, nella sostanza, il vizio di mancata sussunzione della condotta della contribuente nel concetto di buona fede, il quale, attenendo alla qualificazione giuridica dei fatti materiali, rientra nella diversa ipotesi di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., venendo in rilievo un giudizio sull’interpretazione della legge (cfr. Cass. 31 maggio 2018, n. 13747);
– comunque, a seguito della modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., operata dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella I. 7 agosto 2012, n. 134, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione, ma solo per far valere l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (cfr. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053; vedi, poi, Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);
– il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà, dunque, luogo ad un vizio denunciabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (così, Cass. 10 giugno 2016, n. 11892);
– con il terzo motivo di ricorso la contribuente si duole della sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto sussistente la sua legittimazione passiva, rectius, la sua responsabilità per l’obbligazione doganale;
– il motivo è infondato;
– l’art. 201, par. 3, Reg. CE n. 2913/92 stabilisce, in tema di nascita dell’obbligazione doganale, che «Il debitore è il dichiarante. In caso di rappresentanza indiretta è parimenti debitrice la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione in dogana»;
– da ciò consegue che lo spedizioniere che abbia presentato merci in dogana per conto terzi, ma in nome proprio, risponde, in via solidale con il soggetto per conto del quale la merce medesima è stata presentata in dogana, di tutti i dazi, le imposte e gli accessori dovuti, a qualsiasi titolo, in relazione all’operazione commerciale, compresi gli interessi relativi, essendo tale figura di rappresentante indiretto, anche per la sua preparazione professionale, in grado di valutare la veridicità dei documenti trasmessigli, e dunque consapevole dell’irregolarità dell’introduzione delle merci nel territorio della Comunità (cfr. Cass. 23 aprile 2010, n. 9773; vedi anche, Cass. 27 marzo 2013, n. 7720);
– con l’ultimo motivo di ricorso si censura la decisione di appello per «erronea ed insufficiente motivazione in punto «mancato rispetto dell’art. 12 comma 7 legge n. 212/00» relativamente alla consegna del processo verbale di revisione e alla successiva notifica dell’avviso di rettifica, per difetto del decorso del termine di gg. 60»;
– il motivo, benché da qualificarsi in termini di vizio di violazione di legge, in considerazione del contenuto specifico della censura formulata, è infondato;
– questa, infatti, ha escluso che nel caso in esame ricorressero i presupposti per l’applicabilità della disposizione legislativa invocata, in difetto di un atto conclusivo di una verifica fiscale e, comunque, di un accesso in locali destinati allo svolgimento dell’attività della contribuente;
– in proposito, si osserva che, in tema di avvisi di rettifica in materia doganale, è inapplicabile l’invocato art. 12, settimo comma, l. n. 212 del 2000, operando in tale ambito il “jus speciale” di cui all’art. 11, d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, nel testo utilizzabile ratione temporis, preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento comunque anticipato rispetto all’impugnazione in giudizio del suddetto avviso (cfr. Cass. 2 luglio 2014, n. 15032; Cass. 5 aprile 2013, n. 8399);
– il rispetto del principio del contraddittorio nella fase amministrativa deriva, dunque, dall’art. 11, d.lgs. n. 374 del 1990, e costituisce, in ogni caso, un principio fondamentale del diritto dell’Unione, per cui ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione, quand’anche la normativa nazionale applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (cfr. Corte Giuste 3 luglio 2014, Kamino; tra la giurisprudenza domestica, cfr. Cass., ord., 23 maggio 2018, n. 12832);
– tuttavia, tale principio generale può soggiacere a restrizioni, in relazione al perseguimento di obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (v., altresì, Corte Giust., 9 novembre 2017, Ispas);
– è stato, in proposito, evidenziato, con riferimento alle decisioni delle autorità doganali, che l’interesse generale dell’Unione europea, e, in particolare, l’interesse a recuperare tempestivamente le entrate proprie, impone che i controlli possano essere realizzati prontamente ed efficacemente (cfr. Corte Giust., 18 dicembre 2008, Sopropé);
– conseguentemente, il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo prevede la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando all’art. 244 del Codice doganale comunitario, benché la proposizione di un ricorso amministrativo non sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato, dal momento che l’applicazione del secondo comma di tale articolo, da parte dell’autorità doganale non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato (così, Corte Giust., 20 dicembre 2017, Prequ);
– in ogni caso, in tema di tributi armonizzati, la violazione dell’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale comporta l’invalidità dell’atto solo nel caso in cui – non ricorrente nella specie – il contribuente assolva all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (cfr. Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823);
– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
– le spese processuali del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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