CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 luglio 2020, n. 14872
Tributi – Reddito di impresa – Costi iscritti in bilancio – Ammortamento del valore di avviamento derivato – Rettifica deducibilità – Valore reale
Fatti di causa
R.N.A. s.p.a. impugnò separatamente due avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate, con i quali venne esclusa l’indeducibilità di taluni costi iscritti in bilancio, con conseguente ripresa a tassazione ai fini IRPEG, IRAP e IVA, per gli anni d’imposta 2002 e 2003.
I ricorsi riuniti vennero parzialmente accolti in primo grado, limitatamente alla deducibilità dei costi infragruppo; proposto appello sia dalla R.N.A. s.p.a. che dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con sentenza depositata il giorno 25 novembre 2010, accolse entrambi i gravami, dichiarando quindi legittima la ripresa a tassazione fondata sulla indeducibilità dei costi infragruppo per il solo anno 2003 e illegittima quella fondata sulla indeducibilità della quota di ammortamento del valore di avviamento, come iscritto in bilancio, dell’azienda ceduta alla contribuente.
Avverso la detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, mentre non ha spiegato difese la R.N.A. s.p.a.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione dell’art. 2426, comma primo, n. 6, c.c., nonché dell’art. 68, comma 3, del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, poiché erroneamente la commissione tributaria regionale ha ritenuto deducibili i costi delle quote di ammortamento del valore dell’avviamento dell’azienda ceduta alla contribuente, nonostante il mancato consenso all’iscrizione in bilancio, almeno per l’anno 2002, espresso dal suo collegio sindacale.
2. Con il secondo motivo assume la violazione degli artt. 2423, 2426, comma primo, n. 6, c.c., nonché dell’art. 68, comma 3, del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, poiché il giudice di merito ha erroneamente ritenuto che la contribuente potesse iscrivere in bilancio un valore arbitrario dell’avviamento dell’azienda in precedenza ad essa ceduta dalla capogruppo.
2.1. I due motivi, chiaramente connessi per l’oggetto, meritano trattazione congiunta e sono fondati, nei limiti di cui si dirà.
Invero, in tema di bilancio societario questa Corte ha già affermato che l’art. 2426, primo comma, n. 6), c.c., consentendo l’iscrizione dell’avviamento derivato, cioè conseguito in caso di acquisto a titolo oneroso e nei limiti del costo per esso sostenuto, non esclude che, se anche il prezzo di cessione di azienda resta il frutto della libera contrattazione delle parti, la sua successiva ripartizione a fini contabili, tra le singole componenti, del corrispettivo unitario versato, possa essere sindacata dall’amministrazione finanziaria secondo il criterio della correttezza e veridicità del bilancio (Cass. 16/04/2008, n. 9950).
Ne consegue che, pure consentendo l’attuale art. 103, comma 3, (già art. 68, comma 3) del d.p.r. n. 917 del 1986, nella versione applicabile ratione temporis, l’ammortamento dell’avviamento «iscritto nell’attivo del bilancio» e quindi assumendo rilevanza il relativo valore di libro, resta ferma l’applicabilità del principio generale di derivazione civilistica codificato dall’art. 2423, comma secondo, c.c., a tenore del quale va sempre rispettato il criterio di veridicità e correttezza nella formazione del detto documento.
L’Amministrazione finanziaria, in sostanza, deve essere posta in condizione di verificare sempre la effettiva deducibilità dei costi iscritti in bilancio, in base al valore reale dei beni materiali o immateriali, nonostante siffatto documento sia stato regolarmente approvato dall’assemblea dei soci e abbia ottenuto il consenso del collegio sindacale.
Va allora affermato il seguente principio di diritto: «in tema di dichiarazione dei redditi di una società, quale che sia il loro valore di libro risultante dal suo bilancio regolarmente approvato dall’assembla dei soci con il consenso del collegio sindacale, l’amministrazione finanziaria può sempre sindacare la deducibilità dei relativi costi, ove dimostri che non il valore reale del bene materiale o immateriale è stato iscritto in bilancio, ma quello che risulta frutto della violazione dei principio fissato dall’art. 2423, comma secondo, c.c. in forza del quale l’imprenditore deve iscrivere tutte le poste in bilancio al loro valore reale, non potendo inserire poste inesistenti o sopravalutate».
2.2. Orbene, nella vicenda all’esame, non solo il collegio sindacale della contribuente aveva negato il proprio consenso – pure espressamente prescritto dall’art. 2426, comma primo, n. 6), c.c. – affinché venisse iscritto nel bilancio della contribuente per l’anno 2002, l’avviamento dell’azienda acquistata in base ai valori indicati dall’organo amministrativo, ma va vieppiù considerato che la cessione d’azienda di cui si tratta era intervenuta tra una società cedente che controllava – possedendone integralmente le sue azioni – quella cessionaria, id est all’interno di soggetti giuridici facenti parte del medesimo gruppo societario.
Ha errato, allora, la commissione tributaria regionale nel ritenere che il costo dell’avviamento indicato in bilancio fosse deducibile, nei limiti di cui all’art. 103, comma 3, del d.p.r. n. 917 del 1986, solo perché il bilancio del 2002 era stato comunque approvato dall’assemblea dei soci, ovvero in considerazione del consenso prestato dal medesimo collegio sindacale nell’anno successivo, senza considerare alcuno tra gli elementi indiziari offerti dall’amministrazione per dimostrare la non veridicità delle poste iscritte in bilancio.
3. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, per un nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
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