CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 aprile 2021, n. 9784
Tributi – Imposte sui redditi – Associazione culturale – Accertamento natura commerciale – Determinazione reddito d’impresa – Ricostruzione dei ricavi – Costi deducibili – Documentazione di prova
Considerato in fatto
1. L’Associazione culturale non riconosciuta <<S.>> proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Bolzano avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, all’esito di verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza, riconosciuta la natura commerciale dell’attività esercitata dall’ente, le contestava un reddito non dichiarato di € 145.163,87 per l’anno di imposta 2010 con recupero dell’Ires e dell’Irap non versati.
2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso rideterminando il reddito in € 15.030,84 tenendo conto dei costi documentati dalla contribuente.
3. La sentenza veniva impugnata dall’Agenzia Entrate e la Commissione Regionale Tributaria della Regione Trentino Alto-Adige accoglieva parzialmente l’appello innalzando il reddito imponibile, in conseguenza della non inclusione del novero dei costi della voce dei fitti passivi, per un importo di € 6.578,00. I giudici di seconde cure ritenevano utilizzabile la documentazione prodotta in giudizio dalla contribuente non applicandosi l’art. 32 comma 4 dPR 600/1973, e confermavano l’esistenza e la rilevanza dei costi portati in diminuzione del reddito desumibili dalla <<copiosa» produzione documentale.
4. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate – Riscossioni ha proposto ricorso per Cassazione sulla scorta due motivi. L’Associazione si è costituita depositando controricorso.
5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Ritenuto in diritto
1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt 32 e 33 dPR nr 600/73, in relazione all’art. 360 1° comma nr 3 cpc; si sostiene che la CTR non avrebbe potuto esaminare la documentazione prodotta in giudizio dalla contribuente non avendo la stessa ottemperato alla richiesta di esibizione di dati, notizie e documenti previsto dall’art. 32 dPR citato
1.1. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 109 dPR 917/1986 e del principio dell’onere della prova ex art 2697 cc in relazione all’art 360 1° comma nr. 3 cpc; si argomenta che la CTR avrebbe disatteso i principi giurisprudenziali secondo i quali i costi devono essere provati nella loro certezza, determinazione ed inerenza dal contribuente.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1 Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale <<In tema di accertamento fiscale, l’invito da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32,comma 4, a fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Tale inutilizzabilità consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio. Il contribuente può conseguire una deroga all’inutilizzabilità solo ove ricorrano le condizioni di cui al D.P.R. 29 settembre, n. 600, art. 32, comma 5” (cfr. tra le tante Sez. 5, n. 5734 del 2016).
2.2. Il principio sopra enunciato trova applicazione se la richiesta di notizie dati e documentazione proviene dagli Uffici delle imposte e non, come pacificamente avvenuto nella fattispecie in esame, quando il tentativo di interlocuzione sia avvenuto ad iniziativa della Guardia di Finanza nell’esercizio dei propri poteri investigativi previsti dall’art. 33 dPR 600/73.
2.3 A favore di tale interpretazione milita la formulazione letterale dell’art.32 comma 4 dPR a tenore del quale « le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta>>.
2.4 La disciplina della sanzione del contribuente per omesso riscontro alle richieste dell’Ufficio non viene contemplata nell’art 33 dPR cit che ha ad oggetto l’esercizio poteri di indagine della Guardia Finanzia né tale disposizione contiene un espresso richiamo all’art. 32 4° comma dPR cit. 3 n secondo motivo è, parimenti, infondato.
3.1 E’ pacifico che la ripresa fiscale Irpef ed Irap si riferisce ad un reddito non dichiarato e, quindi, oggetto di accertamento d’ufficio ex art. 41 1° comma dPR 600/73.
3.2 La giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dall’art. 75 (ora 109) del D.P.R. n. 917 del 1986, in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente>>.(cfr. Cass 13119/2019, 19192/2019 e 1506/2017) .
3.3 Lo stesso principio di valorizzazione dei costi si applica anche alle ipotesi di accertamento induttivo “puro”, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, quando trovano applicazione le presunzioni prive dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d ( cfr. Cass. Nr 26748/2018).
3.4 Per questa Corte, infatti, devono essere considerati i componenti negativi collegati allo svolgimento dell’attività, perché altrimenti si assoggetterebbe ad imposta il profitto lordo, anziché quello netto, in violazione dell’art. 53 Cost.
Viene, dunque, ribadito il principio per cui, nel caso di verifiche diverse da quelle analitiche, ed ai fini della ricostruzione del reddito, i costi non registrati devono essere riconosciuti anche nel caso in cui non siano stati annotati nelle scritture contabili ed anche quando sia stata omessa la dichiarazione dei redditi.
Va, dunque, applicata l’imposta sull’utile netto, ossia portando in deduzione i costi non registrati, sia pure forfetariamente stabiliti.
3.5 In effetti, nel caso di specie, l’ufficio impositore, pur sollecitato dall’organo investigativo ad una verifica circa l’esistenza di costi e/o spese deducibili, ha identificato il reddito imponibile a fini di II.DD. con i ricavi presunti incorrendo in un evidente salto logico, discendente dalla omessa considerazione che reddito imponibile ai fini delle imposte dirette non è tout court parificabile ai ricavi ma, ben diversamente, è la “risultante algebrica di costi e ricavi”.
3.6 Non è d’altro canto corretto il riferimento contenuto nel motivo di censura ai principi dell’onere della prova e alla disciplina contenuta nell’art. 109 Tuir applicabili nella diversa ipotesi, rispetto a quella oggetto della presente controversia, di una dichiarazione dei redditi, in cui una dichiarazione, ancorché infedele, sia comunque sussistente.
3.7 La CTR, dunque, nel computare, ai fini della determinazione del reddito netto, anche i costi determinandoli sulla base della documentazione fornita dal contribuente ha fatto buon governo dei principi giurisprudenziali sopra passati in rassegna.
4 Ne consegue il rigetto del ricorso.
5 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso
– Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in € 5.600,00 per compensi, € 200 per spese, oltre rimborso forfettario al 15% ed accessori di legge.
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