CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 marzo 2022, n. 8480
Tributi – Accertamento – Soci di società a ristretta base azionaria – Accertamento discendente da quello societario per operazioni oggettivamente inesistenti divenuto definitivo per omessa impugnazione – Eccezione di riconoscimento dei costi in deduzione – Esclusione
Fatti di causa
Sulla base delle risultanze del PVC redatto dalla Guardia di Finanza dell’Aquila in data 16/10/2008, l’Ufficio, con avviso n. 877030301893, relativamente all’anno d’imposta 2002, determinò nei confronti della società P.P. 88 s.r.l., esercente attività di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, un reddito d’impresa di euro 3.725.854, a fronte di quello dichiarato di euro 287.802.
L’Ufficio accertò che la società mediante artifici e raggiri, utilizzando sistemi di erogazione alterati, effettuava consegne di prodotti petroliferi in quantità inferiori rispetto a quelle dovute.
Il prodotto illecitamente sottratto, poi, veniva commercializzato in nero a clienti compiacenti con la realizzazione di proventi non assoggettati ad imposizione fiscale.
Parte del maggior reddito attribuito alla società venne riscontrato attraverso l’acquisizione di documentazione extracontabile, intercettazioni telefoniche e pagamenti per importi rilevanti in contante.
Il reddito d’impresa accertato a carico della società scaturiva dall’omessa contabilizzazione e dichiarazione di ricavi per euro 1.725.988, rinvenuti attraverso indagini finanziarie effettuate sui c/c bancari formalmente intestati a soggetti collegati alla società, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972; dall’indebita deduzione di costi relativi ad operazioni oggettivamente inesistenti derivanti dall’utilizzo delle fatture emesse dalla società D.P.P. s.r.l. di Roma per euro 1.712.064, ai sensi dell’art. 109, comma quinto, del Tuir.
La maggior parte del reddito in capo alla società era stato accertato tramite l’esame dei movimenti finanziari effettuati sui conti correnti personali dei soggetti ad essa collegati (tra cui P.M., P.F. e R.F.), movimenti dai quali l’Ufficio presumeva la distribuzione in nero di utili extrabilancio dell’importo complessivo di euro 2.934.501.
In particolare, avvalendosi della presunzione di distribuzione nelle società a ristretta base di capitale, l’Ufficio imputava il maggior reddito ai soci sulla base della rispettiva quota di partecipazione, depurandolo delle movimentazioni tracciate sui conti correnti dei soggetti formalmente estranei alla compagine sociale, in relazione ai quali era imputata a titolo di reddito la somma delle movimentazioni riscontrate sui rispettivi conti correnti.
In base agli indicati criteri, dunque, alla socia U.A., con avviso di accertamento n. 877010401901 veniva attribuito, ai sensi dell’art. 38, comma terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973, un reddito di capitale non dichiarato pari ad euro 1.077.525, originato dalla vendita in nero e quantificato ai sensi degli artt. 44 e 47 del d.P.R. n. 917 del 1986.
La contribuente impugnò l’avviso dinanzi alla CTP e nel processo fu chiamata, per quel che in questa sede rileva, la società, che si costituiva contestando l’avviso di accertamento ad essa notificato.
La CTP rigettò il ricorso, confermò l’avviso di accertamento emesso nei confronti della socia in quanto discendente direttamente dall’avviso di accertamento notificato alla società, che era divenuto definitivo per mancata tempestiva impugnazione ad opera di essa.
La società e P.F., nella qualità di erede di U.A., proposero appello dinanzi alla CTR.
Nel giudizio di appello intervennero anche P.M. e P.G. quali chiamati all’eredità di U.A., aderendo all’appello di P.F..
La CTR accolse in parte l’appello proposto da P.F. e dalla società P.P. 88 s.r.l.
Ricorre l’Agenzia delle Entrate sulla base di cinque motivi.
Resistono, nelle rispettive qualità, P.F., P.M., R.M., R.M., R.F.
È rimasta intimata la società.
Ragioni della decisione
1. Si deve premettere, per una migliore comprensione delle questioni agitate dal ricorso, che la sentenza impugnata è stata oggetto di correzione materiale là dove non specificava che P.F. era divenuto parte processuale quale erede della socia U.A.. Si tratta di una specificazione rilevante, in quanto il criterio di imputazione utilizzato dall’Ufficio per attribuire alle persone fisiche costituenti il gruppo familiare che gestiva la società il maggior reddito accertato come riveniente dall’attività sociale differisce a seconda che le dette persone fisiche fossero socie della società o estranee alla compagine sociale ma soggetti interposti, ex art. 37, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, dalla società nella percezione dei maggiori redditi.
1.1. In particolare, come ha spiegato l’Ufficio ricorrente, mentre ai soci è stata imputata una quota del maggior reddito della società “depurata” dalla somma delle movimentazioni riscontrate sui conti correnti dei soggetti estranei alla compagine sociale, a questi ultimi è stata imputata solo la somma dei prelevamenti e dei versamenti non altrimenti giustificati riscontrati sui conti correnti di loro rispettiva pertinenza.
Tale differenza si riflette anche sulla posizione processuale dei soggetti ai quali sono stati imputati i maggiori redditi della società: sui soggetti estranei alla compagine sociale, qualificabili come interposti dalla società, incombe l’onere di provare di non essere interposti e che i versamenti e i prelevamenti riscontrati sui loro conti correnti non siano riconducibili all’attività sociale; sui soci della P.P. 88 s.r.l., società familiare a ristretta base di capitale, incombe l’onere di provare che i maggiori utili accertati non siano stati distribuiti ma siano stati accantonati o reinvestiti (giurisprudenza consolidata: cfr. ex multis Cass., sez. 5, n. 32959/2018; Cass., sez. 6-5, n. 18042/2018; Cass., sez. 5, n. 27778/2017; Cass., sez. 5, n. 24534/2017).
Tanto premesso può passarsi ad esaminare i singoli motivi di ricorso.
2. Con il primo motivo, rubricato “Nullità della sentenza ex artt. 36, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c.”, l’Agenzia delle Entrate ha dedotto che la CTR non ha inquadrato correttamente la fattispecie sottoposta al suo giudizio, in quanto la motivazione della sentenza impugnata si riferirebbe ad un diverso contenzioso instaurato pressoché contestualmente da P.F. come soggetto estraneo alla compagine sociale e non, come nel caso che qui ci occupa, quale erede della socia U.A.
Per suffragare tale deduzione, che si concretizza in una censura di difetto assoluto di motivazione, l’Agenzia delle Entrate fa presente che a pag. 2 della sentenza impugnata si legge: “Osserva (P.F., n.d.e.) che la sentenza impugnata si basa sull’erronea qualificazione di socio dell’appellante nella complessa vicenda del presente giudizio…”, contestazione della qualità di socio che non potrebbe riguardare la posizione sostanziale e processuale di P.F. nel presente giudizio, in quanto pacificamente egli ha proseguito, come erede, il giudizio che era stato introdotto in primo grado da U.A.
Anche a pag. 3 della sentenza impugnata, rileva l’Agenzia, la CTR ha erroneamente qualificato P.F., nel presente giudizio, come “non socio” a differenza della U., socia, senza avvedersi che il primo, proseguendo come erede il giudizio incardinato dalla seconda, ne ha assunto le vesti sostanziali e processuali.
Ancora, a pag. 4 della sentenza impugnata si parla di P.F. come di un “non socio” e dei suoi conti correnti come intestati a “terzi”, ma nel giudizio si discuteva dei maggiori redditi imputati alla U. come socia, cui era subentrato P.F. quale erede.
Inoltre, la sentenza impugnata, anche nella parte in cui determina il reddito da imputare a P.F. sulla base della CTU disposta nel corso del giudizio di primo grado, fa riferimento al P. annoverandolo tra i soggetti “terzi” ed ascrivendo a lui, a titolo di maggio reddito imponibile, i versamenti tracciati sui conti correnti a lui riconducibili, con esclusione dei prelevamenti.
2.1. Il motivo è fondato.
2.2. I passi della sentenza impugnata indicati e trascritti dall’Agenzia delle Entrate dimostrano che la CTR non ha correttamente inquadrato la fattispecie di causa: qui P.F. non è stato attinto dall’avviso di accertamento di maggiori redditi provenienti dall’attività sociale come terzo interposto dall’ente societario (art. 37, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 600 del 1973), essendo egli subentrato nella stessa posizione sostanziale e processuale (quale erede) di U.A.
Ne consegue che, nella presente causa, onere della de cuius, e dunque del suo successore mortis causa, era quello (e solo quello) di dimostrare che gli utili extrabilancio della società non erano stati distribuiti, pro quota, alla U. in quanto socia.
3. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.”, l’Agenzia delle Entrate ha dedotto che essa, con l’avviso di accertamento impugnato in prime cure dalla contribuente, ha imputato al socio U.A. (alla quale è subentrato come erede P.F.) il maggior reddito imponibile accertato in capo alla società utilizzando la presunzione semplice, di matrice giurisprudenziale, di distribuzione degli utili non contabilizzati nelle società di capitale a ristretta base di capitale.
Sulla base di questa presunzione, dunque, si determina una inversione dell’onere della prova a carico del socio, con la conseguenza che egli deve provare di non aver ricevuto gli utili non contabilizzati, essendo stati gli stessi reinvestiti o accantonati.
Quanto al rapporto tra l’accertamento svolto nei confronti della società a ristretta base di capitale e quello svolto nei confronti del socio, l’Agenzia delle Entrate ha dedotto che il nesso di pregiudizialità esistente tra i due fa sì che, se l’avviso di accertamento nei confronti della società si sia consolidato per mancata impugnazione o in seguito ad un giudicato, il socio non possa contestarne i presupposti o l’ammontare, potendo solo dimostrare di non aver ricevuto la sua quota di utili extracontabili in base alla quota di partecipazione al capitale sociale.
4. Con il terzo motivo, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 del d.lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. – error in procedendo”, l’Agenzia delle Entrate ha dedotto che l’intervenuta definitività dell’avviso di accertamento a carico della società avrebbe impedito alla CTR di procedere ad una rideterminazione del maggior reddito da imputare alla socia U.A. e, in sua vece, all’erede P.F.
5. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. – error in procedendo”, l’Agenzia delle Entrate ha dedotto che la CTR ha violato l’art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992, perché non ha considerato che la società, chiamata a partecipare al giudizio di primo grado in una fattispecie non caratterizzata dal litisconsorzio necessario tra società e soci, non aveva impugnato l’avviso di accertamento ad essa notificato, con la conseguenza che quest’ultimo era divenuto definitivo e che tale definitività aveva precluso al socio la contestazione in merito all’an e al quantum del maggior reddito accertato in capo alla società, imputato alla socia U.A. pro quota, potendo quest’ultima allegare e provare che gli utili extracontabili non erano stati distribuiti.
5.1. Il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, che per la loro stretta connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.
Sebbene la giurisprudenza di questa Corte ritenga che tra la società di capitali a ristretta base e il socio che ricevano, la prima, un avviso di accertamento di maggiori utili extrabilancio conseguiti e, il secondo, un avviso di ricevimento di maggiori utili a lui distribuiti pro quota, non ricorra un caso di litisconsorzio necessario, si ammette tuttavia un rapporto di dipendenza tra le sorti dell’avviso di accertamento a carico della società e quello emesso a carico del socio, con la conseguenza che il giudicato nei confronti della società (o comunque l’irrevocabilità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società) non può non spiegare effetti riflessi nei confronti del socio (con riferimento agli effetti riflessi sul socio del giudicato nei confronti della società e alla necessità di coordinamento, tramite la sospensione ex art. 295 c.p.c., tra il giudizio avviato dal socio e quello avviato dalla società, cfr. Cass., sez. 5, n. 2214/2011; Cass., sez. 6-5, n. 1865/2012; Cass., sez. 5, n. 1574/2021; Cass., sez. 6-5, n. 23899/2015; Cass., sez. 6-5, n. 20507/2017).
Sicché U.A. e, in sua vece, P.F., a fronte della irrevocabilità dell’avviso di accertamento nei confronti della società, che non risulta essere stato da questa impugnato, avrebbero potuto solo dedurre e provare di non aver ricevuto gli utili extracontabili prodotti dall’attività sociale, in quanto (in tesi) gli stessi sarebbero stati accantonati o reinvestiti (ex coeteris, Cass., sez. 6-5, n. 18042/2018).
6. Con il quinto motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75 del Tuir previgente e dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.”, l’Agenzia delle Entrate ha dedotto che la CTR, affermando la non recuperabilità dei costi indebitamente dedotti dalla base imponibile (e dell’IVA indebitamente detratta) ad opera della società nella determinazione del maggior reddito imputato alla socia U.A. (cui è subentrato P.F.) ha, in primo luogo, illegittimamente rimesso in discussione l’accertamento notificato alla società nonostante che quest’ultima non l’avesse tempestivamente impugnato; in secondo luogo, ha male interpretato l’art. 8 del d.lgs. n. 16 del 2012, convertito in legge n. 44 del 2012, che ha modificato l’art. 14, comma 4 bis, della legge n. 537 del 1993, e che non consentirebbe la deducibilità di costi per operazioni oggettivamente inesistenti, a prescindere da eventuali connessioni con fattispecie di reato.
6.1. Il motivo è fondato per entrambi i profili di censura.
6.1.1. Quanto al primo profilo, si è detto, nell’esame del secondo, del terzo e del quarto motivo, che la CTR non poteva rimettere in discussione il disconoscimento dei costi operato dall’Ufficio ai fini della rideterminazione del reddito imponibile della società e della imputazione pro quota dei maggiori utili extracontabili alla U.A. quale socia, in assenza di una tempestiva impugnazione dell’avviso di accertamento da parte della società.
6.1.2. Quanto al secondo profilo, deve darsi seguito all’orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale “in tema di imposte sui redditi, giusta l’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537 del 1993, nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 44 del 2012, l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del d.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, mentre è esclusa la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti” (Cass., sez. 6-5, n. 25249/2016; Cass., sez. 5, n. 24426/2013).
7. In definitiva, il ricorso è fondato in tutti i motivi in cui è stato articolato.
8. La sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla CTR dell’Abruzzo che si pronuncerà in diversa composizione attenendosi ai principi di diritto stabiliti nella presente ordinanza.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione.
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