CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 ottobre 2018, n. 25790
Tributi – Accertamento – Accertamento cd. “a tavolino” – Obbligo di contraddittorio endoprocedimentale e rispetto del termine dilatorio per l’emissione dell’avviso di accertamento – Esclusione
Rilevato che
Con sentenza n. 2273/47/17 depositata in data 10 marzo 2017 la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto da M. F. avverso la sentenza n. 14937/38/16 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2011. La Commissione tributaria regionale, nella parte che qui rileva, osservava in particolare che nel caso di specie, trattandosi di un accertamento c.d. “a tavolino”, non sussisteva alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, quindi specificamente nemmeno di redazione del PVC e di osservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, L. 212/2000.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Il Ministero (dell’economia e) delle finanze non si è difeso.
Considerato che
In via preliminare va dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero (dell’economia e) delle finanze, trattandosi di organo privo di legittimazione processuale a seguito della riforma ex d.lgs. 300/1999, in quanto spettante la legittimazione stessa esclusivamente alle agenzie fiscali con tale riforma istituite.
Con il primo motivo e con il secondo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – la ricorrente lamenta rispettivamente la violazione/falsa applicazione dall’art. 12, comma 7, L. 212/2000 e 24, legge 4/1929, poiché la CTR ha affermato l’insussistenza nel caso di specie dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale ed in particolare altresì quelli della redazione del PVC e dell’emissione dell’atto impositivo decorsi 60 giorni dalla consegna di tale atto prodromico.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono inammissibili.
Ribadito infatti che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito» e che «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”» (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637605 – 01), non essendovi ragione alcuna per non dare seguito ai principi di diritto di cui a tali arresti giurisprudenziali, va dunque appunto affermata l’inammissibilità dei mezzi de quibus secondo l’ulteriore principio di diritto che «In tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, c.p.c., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”» (Sez. U, Sentenza n. 7155 del 21/03/2017, Rv. 643549 – 01).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.100 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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