CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 maggio 2018, n. 14202
Imposte dirette – IRPEF – Dichiarazioni dei redditi – Accertamento – Redditometro – Capacità reddituale
Con ricorso in Cassazione affidato a un motivo, nei cui confronti la parte contribuente ha resistito con controricorso, l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR della Toscana, in tema di accertamento redditometrico, per una maggiore capacità contributiva accertata dall’ufficio – per l’anno 2009 -in ragione del possesso di una serie di beni indice.
L’ufficio ricorrente, denuncia il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 38 commi 4, 5 e 6 del DPR n. 600/73, nonché dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 2727 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto, erroneamente, la CTR avrebbe ritenuto giustificata la capacità reddituale della ricorrente, sulla base di dichiarazione scritta del padre, ed avrebbe ricondotto le uscite contestatele dall’ufficio e pari a €. 50.100,00, non alla stessa ma al padre che avrebbe asseritamente operato sul conto corrente bancario della figlia, per la propria attività d’impresa, senza documentare tale assunto, neppure attraverso una delega di firma in favore dello stesso.
Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione in forma semplificata.
La censura appare fondata.
Secondo l’orientamento, di questa Corte “In tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.” (Cass. ord. n. 16912/16, 17487/16, 21142716).
Nel caso di specie, a fronte di una ricostruzione del reddito della contribuente, operata dall’ufficio, erroneamente, la CTR ha ritenuto di poter superare la presunzione legale a suo carico di maggiore capacità contributiva, pari all’importo delle uscite di €. 50.100,00 risultante nel periodo in contestazione dal suo conto corrente bancario, sulla base della mera dichiarazione del padre che era lui ad operare sul conto ai fini della propria attività d’impresa (in quanto tali dichiarazioni sono generiche e a fini propri), considerando come valido riscontro le rate impagate del mutuo, che avevano causato il pignoramento dell’abitazione acquistata col prestito acceso in banca, sull’assunto che se la provvista presente sul conto fosse stata a disposizione della contribuente, non sarebbe andata incontro alle conseguenze sfavorevoli relativamente alle azioni esecutive subite.
In buona sostanza, non sono chiari i rapporti economici tra l’attività imprenditoriale del padre (dichiarato fallito per sua stessa dichiarazione scritta) e la figlia titolare del conto corrente bancario oggetto d’accertamento, e come lo stesso padre potesse operare sul conto corrente bancario della figlia, in assenza di una delega di firma ovvero in altro modo pertanto, la contribuente non ha provato, che le disponibilità risultanti dal conto corrente bancario non fossero a lei riferibili ma al di lei padre.
La sentenza va, pertanto, cassata e la causa va rinviata alla Commissione tributaria regionale della Toscana, affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione.
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