CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 marzo 2019, n. 8298
Rapporto di lavoro – CCNL autoferrotranvieri – Mansioni di operatori di esercizio addetti alla conduzione di autobus – Attività al di fuori della residenza anagrafica
Rilevato
Che con distinti ricorsi, successivamente riuniti, D.N. e S.C. (cui poi succedeva quale erede A.Z.), dipendenti di ANM (azienda napoletana mobilità) con mansioni di operatori di esercizio addetti alla conduzione di autobus e con dedotta residenza di lavoro in Napoli presso il Deposito di Via N.P., chiedevano, nelle rispettive qualità, la corresponsione della diaria cd. ridotta al 9% per ogni giornata di effettiva presenza in servizio (con durata non inferiore a sei ore) ex art. 21 del c.c.n.l. autoferrotranvieri del 1976.
Resisteva l’ANM.
Che il Tribunale di Napoli accoglieva le domande con sentenza che veniva appellata da ANM eccependo, tra l’altro, la mancanza del reclamo gerarchico, del tentativo di conciliazione, la nullità del ricorso e la prescrizione dei crediti vantati dai lavoratori, oltre alla mancata produzione integrale del c.c.n.l., al difetto di prova dei presupposti necessari per l’accoglimento delle domande, in primo luogo con riferimento al concetto di residenza di lavoro ex artt. 20 e 21 c.c.n.l. 1976.
Con sentenza depositata il 1.4.14, la Corte d’appello di Napoli, respinte le eccezioni preliminari circa il difetto di reclamo gerarchico (per risultare prodotto) e l’esperimento del tentativo di conciliazione (non più rilevabile) accoglieva il gravame e respingeva le domande proposte, considerando che l’indennità in questione spetta quando il dipendente effettui la sua attività al di fuori della propria residenza anagrafica, da individuarsi nella “tratta” e cioè il percorso normalmente adottato presso la sede (nella specie il Deposito di Via N.P.), per un periodo non inferiore alle sei ore, circostanze di cui non era stata fornita alcuna prova.
Che per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso il N. e la Z., affidato a sei motivi, cui resiste la ANM con controricorso. Sono pervenute conclusioni scritte del P.M.
Considerato
Che i ricorrenti si dolgono: 1) della erronea valutazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 21 CCNL Autoferrotranvieri 1976; 2) della incoerente ed illogica interpretazione dell’art. 20 cit. in materia di residenza di lavoro, con specifico riferimento al personale viaggiante delle aziende autoferrotranviarie in genere ed al personale A.N.M. in particolare; 3) della evidente confusione terminologica tra residenza di lavoro e residenza anagrafica; 4) della erronea individuazione del concetto di tratta ed incoerente ed illogica confusione tra i concetti di tratta e di linea; 5) della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., in uno all’art.115 c.p.c. ed al principio di mancata contestazione; 6) dell’inopportuno richiamo ai precedenti della Cassazione indicati (sentenze nn. 9548/03, 1166/95, 5759/94, 9795/92).
Che il ricorso, essenzialmente fondato sulla censura che la residenza di lavoro dei conducenti di automezzi, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di merito, non poteva considerarsi la località in cui era ubicata la tratta della linea cui erano assegnati ma invece il deposito ove i lavoratori si recavano quotidianamente per prelevare gli automezzi, è teoricamente fondato, e tuttavia non può condurre alla cassazione della sentenza impugnata.
Ed invero questa Corte ha più volte affermato che non viola i criteri legali di ermeneutica contrattuale l’interpretazione dell’art. 20 (cui rinvia l’art. 21 ai fini della determinazione del diritto alla c.d. indennità di diaria ridotta) del c.c.n.l. per gli autoferrotranvieri del 23 luglio 1976 – che definisce quale residenza del dipendente la località in cui ha sede l’ufficio, la stazione, il deposito, l’impianto, la rimessa, l’officina, la tratta, ecc., cui l’agente appartiene -, in base alla quale deve considerarsi residenza (di lavoro) del dipendente non già la sede dell’intera struttura aziendale o l’intero territorio a cui si riferisce la concessione del servizio, ma la località geografica e amministrativa in cui ha sede l’ufficio o la stazione (o le altre articolazioni considerate dal cit. art. 20) cui il lavoratore appartiene secondo la propria qualifica e le proprie mansioni (Cass. n. 9548/03, n. 22075/07). Anche recentemente, nel regime sull’interpretazione diretta dei c.c.n.l. di cui al d.lgs n. 40/06, questa Corte (Cass. n. 2138/18), in identica fattispecie, ha confermato la sentenza impugnata che riconobbe la spettanza dell’indennità di diaria in misura ridotta di cui all’art. 21 c.c.n.l. del luglio 1976 sulla base di un accertamento di fatto (confortato dal richiamo a specifici precedenti di legittimità: Cass. n. 9548 del 2003 e n. 3921 del 1998), consistente nell’individuazione, sulla base della documentazione versata in atti, della residenza (ai sensi dell’art. 20 dello stesso c.c.n.I.) dei lavoratori ricorrenti, sempre in Napoli alla via N.P., collocandola, in sostanza, nel deposito ove i predetti si recavano quotidianamente per prelevare gli automezzi sui quali prestavano servizio e delle linee, alcune delle quali ricadenti per lunghi tratti in aree extraurbana, alle quali essi erano stati addetti, e quindi ritenendo che, anche a volere intendere in senso “elastico” la nozione contrattuale collettiva di residenza, in quanto relativa non solo alla sede o deposito, bensì anche alla tratta, deve comunque farsi riferimento all’ambito comunale (e, nel caso di specie, al territorio metropolitano della città di Napoli);
Che nel caso oggi in esame la Corte di merito ha tuttavia accertato la mancanza di qualunque prova circa lo svolgimento dei turni così come richiesti e tale accertamento non ha formato oggetto di adeguata contestazione da parte dei ricorrenti, che pur lamentando formalmente una violazione delle norme in tema di onere della prova e principio di non contestazione, non sviluppano adeguatamente tali argomenti in sede di ricorso, se non per un fugace e non autosufficiente accenno alla “documentazione estratta dal sito Internet di ANM” e ad altra documentazione versata in atti, di cui non è chiarito adeguatamente il contenuto, impedendo a questa Corte di valutarne la fondatezza. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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