CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 luglio 2022, n. 23619
Tributi – IRAP – Promotore finanziario – Aliquota applicabile – Maggiorazione per banche, assicurazioni e altre attività di intermediazione finanziaria – Art. 2, Legge della Regione Toscana n. 43 del 2002 – Esclusione
Ritenuto in fatto
1. P.G., quale promotore finanziario, proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Pisa avverso la cartella di pagamento emessa a seguito di un controllo automatizzato della dichiarazione modello Irap relativa all’anno 2011, con il quale era stato contestato il minor versamento della detta imposta conseguente all’applicazione dell’aliquota maggiorata del 5,12%, anziché di quella ordinaria del 3,90% in concreto utilizzata dal contribuente. Quest’ultimo chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato o, in subordine, la non debenza di sanzioni e interessi.
2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, evidenziando che, alla stregua dei lavori preparatori della legge finanziaria del 2007, l’aumento della aliquota dello 0,85% aveva riguardato solo le attività svolte dalle banche e dalle assicurazioni e le altre attività di intermediazione finanziaria che avevano già l’aliquota al 4,40% (laddove quella applicata ai promotori finanziari era del 3,90%).
3. Sull’appello dell’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, in parziale riforma della sentenza di primo grado, annullava l’atto impugnato limitatamente alle sanzioni, evidenziando che la l.r. n. 64/206 non aveva riferito la maggiorazione dello 0,85% alle categoria alle quali già si applicava l’aliquota del 4,40% in virtù del d.lgs. n. 446/1997 o della l.r. n. 43/2002, ma aveva individuato categorie, comprendenti senz’altro anche i promotori finanziari, alle quali applicarsi una aliquota maggiorata dello 0,85%, sul presupposto di fatto di una aliquota vigente al 4,40%. Quanto alle sanzioni, riteneva che la violazione fosse dipesa da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria.
4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione P.G. sulla base di due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale fondato su due motivi.
5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Ritenuto in diritto
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 l.r. n. 64/2006, della tabella riportata nell’all. A della detta l.r. e della nota (1) del detto allegato, per non aver la CTR considerato che, sulla base dell’art. 5 menzionato, la maggiorazione dello 0,85% era applicabile solo a quelle attività che, pur essendo comprese nei codici Ateco 2002 richiamati (65, 66 e 67), erano gravate dall’aliquota Irap del 4,40% al momento dell’entrata in vigore della suddetta legge regionale n. 64/2006.
2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 l.r. n. 43/2002 e 6 e 7 d.lgs. n. 446/1997, per non aver la CTR considerato che l’innalzamento dell’aliquota Irap dal 4,25% al 4,40% previsto dall’art. 2 citato si riferiva esclusivamente ai contribuenti rientranti nel novero dei soggetti espressamente indicati negli artt. 6 (“banche ed altri enti e società finanziari”) e 7 (“imprese di assicurazione”) del d.lgs. n. 446/1997.
3. I due motivi, da trattare congiuntamente, essendo strettamente connessi, sono fondati.
Va premesso che l’art. 2 – significativamente rubricato “Aumento dell’aliquota sull’imposta regionale sulle attività produttive per banche, altri enti e società finanziarie e imprese di assicurazione”, senza alcuna menzione dunque dei promotori finanziari – della legge della Regione Toscana n. 43 del 20 dicembre 2002 stabilisce che «a decorrere dal 10 gennaio 2003, per i soggetti di cui agli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) e successive modifiche, l’imposta regionale sulle attività produttive è determinata applicando al valore della produzione netta l’aliquota del 4,40 per cento». Parimenti, gli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 446 del 1997 non menzionano i promotori finanziari.
La Regione Toscana, quindi, con la legge regionale n. 43 del 2002, esercitando la facoltà di maggiorazione dell’aliquota Irap prevista dall’art. 16, co. 3, d.lgs. n. 446/1997, ha innalzato la detta aliquota dal 4,25% al 4,40% solo per determinate categorie di soggetti passivi. Riferendosi i detti artt. 6 e 7 alle banche, agli altri enti e società finanziari ed alle imprese di assicurazione, ai soggetti esercenti attività di promotore finanziario si applicava l’aliquota ordinaria Irap del 4,25% (anziché quella maggiorata del 4,40%), come da previsione generale contenuta nell’art. 16, co. 1, del d.lgs. n. 446/1997.
Pertanto, la Regione Toscana, allorquando con legge n. 64/2006 ha previsto, all’art. 5, che, a decorrere dall’1.1.2007, le aliquote Irap fossero soggette alle variazioni di incremento previste nell’allegato A, non poteva non tener presente le differenti aliquote in quel momento applicate a seconda della categoria di attività presa in considerazione. Da ciò consegue che, in assenza di una espressa previsione nel senso di un aumento generalizzato delle dette aliquote, il richiamo, operato nella nota (1) a corredo dell’allegato A, all’aliquota del 4,40% vigente fino al 31.12.2006 non poteva riferirsi ai promotori finanziari i quali, come detto, erano allora sottoposti all’aliquota Irap ordinaria del 4,25%.
D’altra parte, sempre in tema di Irap, questa sezione ha chiarito che la prestazione svolta dal promotore finanziario non è qualificabile automaticamente come attività di impresa, di per sé assoggettata ad imposta, ma, anche alla stregua dell’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con sentenza n. 156 del 2001, richiede una valutazione complessiva, da parte del giudice di merito, degli elementi di fatto offerti dalla fattispecie concreta, poiché essa, a norma dell’art. 31 del d.lgs. n. 58 del 1998, può essere svolta “in qualità di dipendente, agente o mandatario” e, quindi, può assumere connotati variabili tra la figura del lavoro subordinato dipendente, esente da imposta, quella del lavoro autonomo, assoggettabile ad imposta solo in presenza di un’autonoma organizzazione, e quella dell’attività d’impresa, pacificamente sottoposta ad imposizione (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22469 del 09/09/2019).
La lettura che precede è avvalorata dalla Relazione accompagnatoria alla l.r. n. 64/2006, la quale, avuto riguardo all’art. 5, chiarisce che <<[…] le attività delle banche, delle assicurazioni e delle altre attività di intermediazione finanziaria passano invece dall’attuale aliquota del 4,40% (disposta con legge regionale 20.12.2002, n. 43 “Legge finanziaria per l’ano 2003”) al 5,25%>>.
4. Con il primo motivo del ricorso incidentale l’Agenzia delle Entrate deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 56 d.lgs. n. 546/1992 e 112 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per aver la CTR annullato l’avviso di liquidazione impugnato con riferimento alle sanzioni irrogate, nonostante il contribuente non avesse riproposto la relativa domanda in sede di appello.
5. Con il secondo motivo l’Agenzia, in via subordinata, si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 10 d.lgs. n. 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per aver la CTR escluso le sanzioni nonostante l’assenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria.
6. I due motivi restano assorbiti nell’accoglimento del ricorso principale, presupponendo l’irrogazione delle sanzioni accessorie la validità dell’atto impositivo principale.
7. Il ricorso principale merita, pertanto, accoglimento. La sentenza impugnata va, per l’effetto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito con accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.
8. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono il principio della soccombenza mentre quelle dei gradi di merito vanno compensate tra le parti in ragione dei profili sostanziali della vicenda processuale.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente; compensa per intero tra le parti le spese relative ai gradi di merito e condanna la resistente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.400,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% dei compensi e agli accessori di legge.
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