CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 settembre 2019, n. 24359
Lavoro – Fallimento – Dimissioni con minaccia di licenziamento – Reintegra – Immotivata variazione della distribuzione temporale delle ferie – Demansionamento – Accertamento
Rilevato che
Con ricorso al Tribunale di Roma L.S. esponeva che aveva lavorato alle dipendenze di C.I. s.p.a. dal 2/10/2000 come analista, inquadrata al VII livello c.c.n.l. del settore metalmeccanico, nell’ambito del progetto “W.’ di W.; che da marzo 2001 aveva ricoperto l’incarico di team leader e di analista responsabile dell’analisi, nell’ambito del progetto number portability di B.;
che a seguito del fallimento della società committente B. era rimasta priva di incarichi ed inattiva da aprile ad ottobre 2002, nonostante l’esistenza di altre numerose commesse ove avrebbe potuto essere utilmente impiegata;
che, inoltre, l’incarico di redigere le schede di valutazione per l’attività da lei svolta negli anni 2001 e 2002 era stato affidato rispettivamente a D.P.R., sua collega ma con minori competenze professionali, e a G.E. il quale le aveva attribuito una valutazione ingiustamente bassa; che nel corso dell’anno 2002, avendo la società attivato una procedura di riduzione del personale ex L. n. 223/91, le era stato chiesto di rassegnare le dimissioni con minaccia di licenziamento; che avendo rifiutato di dimettersi era stata licenziata in data 31.10.2002; che con sentenza n. 518/2006 della Corte d’Appello di Roma aveva ottenuto l’accertamento dell’illegittimità del suo licenziamento e la condanna della società a reintegrarla nel posto di lavoro; che soltanto in data 21.10.06 la società aveva ottemperato all’ordine di reintegra, senza tuttavia assegnarle alcuna mansione o progetto fino ad ottobre 2007; che nonostante avesse ripreso servizio nel mese di luglio 2006 e fosse rimasta sostanzialmente inattiva, aveva ricevuto una valutazione negativa (5) per l’anno 2006, in violazione della prassi aziendale di escludere dalla valutazione i dipendenti che avessero preso servizio dopo il 10 giugno dell’anno oggetto di valutazione; che nel periodo da novembre 2007 al 15.1.08 era stata adibita a mansioni di analista nel processo operativo di gestione del servizio di operation management per il cliente W.;
che dal gennaio 2008 era rimasta nuovamente inattiva con invito ad imputare alcune ore di inattività ad una inesistente “partecipazione a corsi e seminari”;
che aveva subito una immotivata variazione della distribuzione temporale delle ferie richieste per il mese di agosto 2008, giustificata da inesistenti esigenze di progetto; che in data 20.10.08 aveva chiesto il tentativo obbligatorio di conciliazione per l’accertamento dello svolgimento di mansioni superiori di quadro nel periodo precedente il licenziamento; che subito dopo (10.12.08) era stata trasferita a La Spezia, trasferimento cui si era opposta; che nonostante avesse ottenuto dall’INPS l’accertamento del suo diritto ai permessi ex L. n. 104/92, le relative assenze le venivano disciplinarmente contestate dalla società, unitamente al mancato trasferimento nella sede di La Spezia; che veniva quindi licenziata il 14.7.09; che a causa di tali eventi aveva subito un danno patrimoniale e non patrimoniale alla salute.
Il Tribunale adito, nella resistenza della società, con sentenza non definitiva 18.9.12 dichiarava che la L. aveva subito un demansionamento da aprile ad ottobre 2002; dal luglio 2006 all’ottobre 2007 e dal gennaio 2008 al luglio 2009, condannando la società al risarcimento dei relativi danni patrimoniali pari ad €.98.340,46, rigettava la domanda dì risarcimento dei danni da mobbing e disponeva per il prosieguo ai finì dell’accertamento del danno biologico, che veniva poi quantificato dal nominato c.t.u. nella misura del 12% di invalidità permanente, sicché, con sentenza definitiva del 9.4.13, il Tribunale condannava la C. al risarcimento del relativo danno.
Tale sentenza veniva gravata dalla società; resisteva la L.
Con sentenza depositata il 21.10.16, la Corte d’appello di Roma rigettava l’impugnazione.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la C., affidato a quattro motivi, cui resiste la L. con controricorso.
Considerato che
Deve pregiudizialmente respingersi l’eccezione di nullità della notifica del ricorso, effettuata telematicamente, con conseguente richiesta di inammissibilità dello stesso per la mancanza di attestazione di conformità della procura alle liti.
Ed invero deve considerarsi che la nullità della notificazione è sanabile ex art. 291, comma 1, c.p.c. con la sua rinnovazione, oppure con l’intervenuta costituzione della parte destinataria, a mezzo del controricorso (in cui peraltro si è ampiamente difesa anche nel merito), secondo la regola generale dettata dall’art. 156, comma 2, c.p.c., applicabile anche al giudizio di legittimità, cfr. da ultimo Cass.ord. n. 24450/17, Cass. n. 15236/14.
Venendo pertanto al merito si osserva.
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e cioè il tentativo di conciliazione che la L. richiese solo dopo 40 mesi dal preteso demansionamento.
Il motivo è inammissibile per carenza di decisività del fatto. Sia sotto il profilo che il tentativo risulta chiesto con riferimento a tutt’altra questione (svolgimento di mansioni superiori di quadro nel periodo precedente il licenziamento del 2002), sia in quanto la richiesta non può certo rappresentare una presunta acquiescenza alle varie denunciate violazioni dell’art. 2103 c.c.
Con secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1460 e 2103 c.c. in relazione al rifiuto della L. di svolgimento delle mansioni ed incarichi che le vennero di volta in volta conferiti, come emergeva da vasta documentazione riprodotta in copia in ricorso, evidenziando che il lavoratore non può rendersi totalmente inadempiente sospendendo ogni attività lavorativa qualora il datore provveda ad adempiere agli obblighi contrattuali e segnatamente a quelli principali del pagamento della retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali.
Il motivo è sostanzialmente inammissibile in quanto diretto ad una rivalutazione dei fatti di causa, affidando peraltro le relative argomentazioni ad una copiosa serie di documenti, dalla stessa società ricorrente definiti di non facile lettura, demandando così a questa Corte di estrapolare da essi fatti e circostanze rilevanti ai fini del decidere ed in definitiva una esame di fatto non consentito al giudice di legittimità (cfr. per tutte Cass. 7 febbraio 2012 n. 1716).
Inoltre la società non chiarisce, attraverso una autonoma sintesi delle circostanze in questione e, per quanto qui interessa, le circostanze inerenti i vari periodi di inattività o demansionamento accertati dal giudice di merito.
3.- Con terzo motivo la società denuncia la violazione degli artt. 2103 c.c. e 115 c.p.c. Si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto, in contrasto con le risultanze istruttorie, provati sia il demansionamento che l’inattività della L.
Anche tale motivo risulta inammissibile, ex art. 360, co. 1. n. 5, c.p.c., essendo diretto ad una nuova valutazione dei fatti di causa che la Corte di merito ha congruamente esaminato alla luce delle emergenze istruttorie.
4.- Con quarto motivo la società denuncia la violazione dell’art. 1227 c.c. In sostanza, nella sintetica pagina di ricorso, si lamenta che la sentenza impugnata non tenne conto del fatto che la L. attese circa 40 mesi prima di avanzare domande in tema di demansionamento.
Il motivo, sostanzialmente esaminato sub 1), è come visto infondato e non può che subire la medesima sorte della prima doglianza. Va peraltro rammentato che la L. nella richiesta del tentativo di conciliazione risulta aver rivendicato una superiore qualifica (quadro) pel periodo ante 2002 e dunque questione diversa da quelle per cui è ora causa.
5.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, debbono distrarsi in favore del difensore della L. dichiaratosi anticipante.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. G.S. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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