Corte di Cassazione ordinanza n. 12854 depositata il 22 aprile 2022
accertamento parziale – presupposti – accertamento integrativo
Rilevato che:
1. L’Agenzia delle Entrate ricorre, con due motivi, contro la S.G. Costruzioni r. l., che resiste con controricorso, avverso la sentenza con la quale la C.t. r. della Campania, sezione staccata di Salerno, ha accolto l’appello proposto dalla contribuente contro la decisione della C.t.p. di Salerno che aveva rigettato il ricorso proposto dalla medesima avverso l’avviso di accertamento, n. TF9031301110/2013, anno d’imposta 2008, con il quale erano stati recuperati a tassazione ulteriori ricavi per € 663.702,00, con relative imposte, a seguito di processo verbale di contestazione della Guardia di Finanza che aveva accertato ricavi non contabilizzati per l’attività di «lavori generali di costruzione». L’accertamento era seguito ad indagini sui rapporti tra la contribuente e la consorella, Società A.M. BLS, dalle quali era emerso che, la S.G. Costruzioni aveva registrato operazioni finanziarie sotto la voce «prestiti alla società BLS» con il fine di non dichiarare i ricavi per lavori eseguiti, così avvalendosi della posizione di impresa agricola di quest’ultima.
2. In particolare, la C.t.r., rilevato che l’accertamento impugnato aveva vagliato la medesima annualità (2008), già esaminata in sede di un primo accertamento fermatosi al marzo 2008, riteneva che, sebbene quest’ultimo fosse stato emesso ai sensi degli art. 39 e 41 d.P.R. 29/settembre/1973 600, senza pregiudizio di un ulteriore accertamento, il secondo, avendo ad oggetto la medesima annualità, avrebbe dovuto fondarsi su elementi nuovi sulla cui esistenza, invece, l’ente impositore, gravato del relativo onere, non aveva motivato; che, infatti, già in sede di primo accertamento erano stati esaminati i rapporti tra la contribuente e la società A.M. BLS e che gli stessi non erano apparsi sintomatici delle anomalie denunciate nel secondo accertamento. Rilevava, altresì, che, pur sussistendo autonomia tra il procedimento penale e quello tributario non poteva prescindersi dagli elementi fattuali valutati nel giudizio penale, idonei a contraddire il giudizio presuntivo sotteso all’accertamento o a ridurne la capacità dimostrativa.
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denunzia, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione degli art. 39 e 41 del d.P.R. n. 600 del 1973. In particolare, il motivo si articola in due autonomi profili con i quali si censura la sentenza impugnata:
1) per avere erroneamente ritenuto che il secondo accertamento, essendo relativo alla medesima annualità del primo, esaminata sino al marzo 2008, dovesse fondarsi su elementi impositivi nuovi, sebbene avesse dato atto che il primo accertamento fosse stato emesso ai sensi degli artt. 39 e 41 d.P.R. 600 del 1973, senza pregiudizio di un’ulteriore azione accertatrice; 2) per aver erroneamente affermato che il conto di mastro in contestazione fosse stato già «totalmente» esaminato in vista del primo accertamento, mentre, come rilevabile dal processo verbale, non sussisteva alcuna sovrapposizione di dati contabili tra le due verifiche, in quanto la prima aveva accertato i maggiori ricavi per il primo trimestre 2008 e la seconda i maggiori ricavi per il periodo dall’0l luglio 2008 al 31 dicembre 2008, e sebbene la contribuente si fosse limitata ad affermare la natura finanziaria delle operazioni contestate, qualificate come «prestiti reciproci», senza chiarire le circostanze in cui i medesimi erano stati erogati e senza fornire alcuna prova delle reciproche restituzioni o della corrispondenza tra operazioni in uscita o in entrata.
2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denunzia, in relazione all’art.360, primo comma, 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 654 cod. proc.pen., dell’art. 7 d.lgs. 31/dicembre/1992 n. 546, degli artt. 39 e 41 del d.P.R. n. 600 del 1973. In particolare, osserva che l’esito del giudizio penale non si estende automaticamente al giudizio tributario, anche ove i fatti appurati in sede penale siano gli stessi posti a fondamento dell’avviso di accertamento, e che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, può essere riconosciuto debitore del fisco qualora l’atto impositivo si fondi su meccanismi presuntivi sconosciuti al giudice penale, ma in grado di giustificare una pronuncia di condanna in sede fiscale.
3. La prima censura di cui al primo motivo è infondata.
3.1 Questa Corte ha affermato che l’accertamento parziale di cui all’ 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 «non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole» (cfr. Cass., 04/12/ 2020 n. 27788, Cass., 28/10/2015, n. 21984, Cass., 7/11/2019, n. 28681; Cass., 1/10/2018, n. 23685; Cass., 4/4/2018, n. 8406). Tale accertamento differisce da quello ordinario in ragione della disponibilità, in capo all’Amministrazione, di elementi (non necessariamente provenienti da segnalazione di soggetti ad essa estranei, ben potendo derivare anche da fonti interne) idonei a dare contezza della sussistenza, a qualsiasi titolo, di attendibili posizioni debitorie, senza richiedere, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di un ufficio valutativo ulteriore rispetto a quello che si risolve nel recepire e fare proprio il contenuto della segnalazione o lo svolgimento di ulteriori attività di approfondimento (appannaggio di accertamenti più complessi), valendosi di una «sorta di automatismo argomentativo» indotto da quelle fonti di conoscenza, per modo che il confezionamento dell’atto risulta possibile sulla base della sola segnalazione senza necessità di ulteriore approfondimento (cfr. Cass., 27788/2020 Cass., 23/12/2014, n. 27323; Cass., 10/2/2016, n. 2633).
3.2 E’ pacifico che l’art artt. 41-bis P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui fa salva l’ulteriore azione di accertamento nei termini di decadenza previsti, fa riferimento a pretese dell’Ufficio fondate su fonti diverse da quelle prese a base dall’accertamento parziale o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell’Ente impositore, sia sopravvenuta all’accertamento, tali essendo anche quelli noti ad un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’atto al momento dell’adozione dello stesso, senza che rilevi in senso contrario l’art. 33 del medesimo decreto, che pone solo un dovere di reciproca collaborazione tra uffici finanziari e Guardia di finanza, proprio in considerazione della finalità propria dello strumento dell’accertamento parziale, ossia quella di favorire la sollecita emersione della materia imponibile, che non preclude, pertanto, l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, anche ove definito con adesione (sul punto Cass. n. 27788/2020, Cass., 22/1/2018, n. 1542; Cass., 12/05/2006, n. 11057). Ciò, non in ragione dell’applicazione degli artt. 43, quarto comma, d.P.R. n. 600 del 1973, e 57, quarto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, in tema di accertamento integrativo, stante la non sovrapponibilità di tale istituto con quello dell’accertamento parziale, siccome dettati per diverse finalità e soggetti a differenti discipline (vedi Cass., 1/10/2018, n. 23685; Cass., 28/10/2015, n. 21992), bensì in applicazione del principio di tendenziale unicità che connota gli accertamenti, di cui i due strumenti previsti dagli artt. 41-bis e 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e 54, quinto comma, e 57, quarto comma, d.P.R. n. 633 del 1972 costituiscono deroga. Ne consegue che l’accertamento integrativo, susseguente a quello parziale, non può basarsi su atti o fatti acquisiti e già conosciuti dall’ente impositore fin dall’origine ma non contestati, in quanto ciò pregiudicherebbe il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva, a cui presidio si pone il predetto principio generale, ma deve necessariamente fondarsi su nuovi elementi atti.
4. Il primo motivo, quanto alla seconda censura, ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondati.
4.1 La C.t.r. ha spiegato le ragioni per le quali ha escluso la novità della fonte posta a base del secondo avviso di accertamento, evidenziando che era «incontestato che il conto di mastro intestato a “prestiti alla società BLS” era stato già esaminato ai fini dell’accertamento originario e le operazioni ivi contenute non vennero ritenute rappresentative di evasione se non nei limiti degli interessi applicabili alle somme concesse in prestito». La medesima, pertanto, non ha escluso la insussistenza dei presupposti di cui all’art. 41-bis d.P.R. n. 600 del 1973 in quanto il conto di mastro era stato «totalmente» esaminato, come erroneamente affermato nel ricorso per cassazione; piuttosto, ha motivato il rigetto evidenziando che l’operazione finanziaria sottesa alla voce «prestiti alla società BLS» era stata già esaminata in occasione del primo accertamento; che la stessa non era apparsa sintomatica delle anomalie denunciate con il secondo accertamento; che quest’ultimo non indicava quale fosse l’elemento ulteriore, successivamente emerso, sul quale si era fondata la presunzione di evasione sull’assunto che le operazioni riportate come prestiti fossero, in realtà, versamenti di somme incassate dalla SG per lavori. La C.t. r., infine, ha ulteriormente suffragato il proprio ragionamento affermando che gli elementi fattuali accertati nel giudizio penale erano idonei a vincere la prova presuntiva e che la documentazione in atti forniva la dimostrazione delle reciproche rimesse e restituzioni, come evincibile dallo stesso conto di mastro.
4.2 Il giudice tributario di appello ha fatto corretta applicazione delle norme in materia di oneri probatori e di valutazione delle prove indiziarie circa la natura delle operazioni oggetto delle riprese fiscali, esponendo argomenti rappresentativi di un ragionamento sufficientemente chiaro e conseguenziale. Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione di legge.
4.3 Quanto agli esiti del giudizio penale, va ribadito, come del resto affermato nella sentenza impugnata, che nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Ciò non esclude, tuttavia, che la medesima possa essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, è chiamato a verificarne la rilevanza (Cass., 27/06/2019, n. 17258). A tale principio si è attenuta la sentenza
4.4 In ultima analisi, le censure in esame, attraverso la deduzione di violazioni di legge, in realtà si traducono in una richiesta di revisione del giudizio di merito di secondo grado, pacificamente inibita a questa Corte, secondo il consolidato principio di diritto per cui «con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass. 17258/2019 e Cass. 07/04/2017 n. 9097).
5. In conclusione il ricorso va Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
6. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, P.R,, 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed accessori di legge.
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