Corte di Cassazione, ordinanza n. 20071 depositata il 13 luglio 2023
appello incidentale
RITENUTO CHE
1. La società P.M.E. s.r.l., esercente attività di costruzione, aveva chiesto, in data 20 marzo 2017, il rimborso del credito Iva generato nel triennio 2014 — 2016 sulla base dell’applicazione dell’aliquota media ai sensi dell’art. 30, comma 3, lett. a), del d.P.R. n. 633 del 1972. In sede d’istruttoria l’Ufficio aveva rilevato che la società aveva lavorato per la società appaltante Due Assi Immobiliare s.r.l., emettendo verso quest’ultima fatture con aliquota ridotta al 4%, pur avendo portato in detrazione fatture di acquisto con Iva al 22%. L’Ufficio, pertanto, aveva accertato che i fornitori della società P.E.C. s.r.l. avevano indebitamente applicato l’aliquota ordinaria del 22% e non già quella agevolata del 4% e, in data 7 novembre 2017, aveva emesso un provvedimento di rigetto parziale della richiesta di rimborso Iva per euro 5.512,61, riconoscendo il credito Iva nella minore somma di € 10.487,39. L’Ufficio, contestualmente aveva emesso un provvedimento di sospensione del minor credito di euro 10.487,39, poiché aveva rilevato la pendenza di debiti erariali in capo all’odierna ricorrente.
2. La Commissione tributaria provinciale di Torino, adita dalla società contribuente, con sentenza n. 1217/02/18, depositata il 10 dicembre 2018, aveva accolto parzialmente il ricorso, ritenendo che la presenza di rilevanti carichi fiscali non giustificava la sospensione del rimborso Iva, determinando la somma dovuta a titolo di rimborso in euro 10.487,39 e disponendo che il Fisco provvedesse al pagamento.
3. La Commissione tributaria regionale, adita da entrambe le parti, ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale presentato dalla società contribuente, poiché non proposto unitamente al precedente atto di controdeduzioni e ha accolto l’appello dell’Ufficio, rilevando che il Collegio di primo grado aveva deciso in base ad una interpretazione restrittiva dell’art. 38 bis del P.R. n. 633 del 1972, fornita dalla Corte di Cassazione con la pronuncia 31 ottobre 2018 n. 27784 e che, tuttavia, il provvedimento sospensivo impugnato era stato emesso ai sensi dell’art. 23 del decreto legislativo n. 472/1997 e non già ai sensi dell’art. 38 bis citato che normava la sospensione dei rimborsi all’interno del procedimento penale; i giudici di secondo grado, inoltre, hanno precisato che la pronuncia di legittimità afferiva a pretese tributarie ancora sub iudice mentre nella odierna fattispecie non vi erano dubbi circa la pendenza e la definitività del carico.
4. La società P.E.C. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.
5. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo mezzo deduce la violazione dell’art. 54 del decreto legislativo n. 546 del 1992. L’appello incidentale della società contribuente, spedito in data 29 giugno 2019, era ammissibile, poiché si trattava di appello incidentale tardivo (art. 334 cod. proc. civ.), in quanto la società appellante in via incidentale era stata rimessa in termini a seguito della presentazione dell’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate in data 10 maggio 2019.
2. Il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del decreto legislativo n. 546 del 1992. La Commissione tributaria regionale aveva errato in quanto aveva giudicato su una fattispecie basata su norme diverse da quelle che avevano generato la sospensione, e che erano state discusse in primo L’Agenzia delle Entrate, in sede di appello, aveva affermato che il provvedimento sospensivo era stato emesso ai sensi dell’art. 23 del decreto legislativo n. 472 del 1997. Le motivazioni della Commissione tributaria regionale, infatti, avevano testimoniato l’errore in cui erano incorsi i giudici di primo grado e, tuttavia, i giudici di secondo grado avevano omesso ogni motivazione sull’affermazione dei giudici di primo grado secondo cui «questo collegio non ravvisa nell’Art. 38/bis l’esistenza di carichi pendenti come un motivo ostativo al rimborso iva».
3. Il terzo motivo deduce l’omessa e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata. La Commissione tributaria regionale, relativamente ai carichi tributari pendenti citati da parte dell’Ufficio come motivazione della sospensione del rimborso, non era entrata nel merito e non aveva esaminato quanto dedotto dalla P.E.C. s.r.l. nell’appello incidentale e, prima ancora nel ricorso introduttivo, nel quale invocava la modifica apportata alla detrazione dell’IVA al 22%, invece che al 4%, sui beni finiti, citando l’art. 1, comma 935, dell’art. 1 della legge n. 205 del 2017, che aveva modificato l’art. 6, comma 6, del decreto legislativo n. 471 del 1997, stabilendo che «In caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente, fermo restando il diritto del cessionario alla detrazione ai sensi degli art. 19 e seg. del DPR 633/72, l’anzidetto cessionario è punito con una sanzione fra 250 e 10.000 euro». La Commissione tributaria regionale aveva asserito soltanto che «alla data odierna non vi sono dubbi circa la pendenza e definitività del carico».
4. Il primo motivo è fondato.
4.1 L’art. 54 del decreto legislativo 546 del 1992, rubricato «Controdeduzioni dell’appellato e appello incidentale» prevede al primo comma che «Le parti diverse dall’appellante debbono costituirsi nei modi e termini di cui all’art. 23 depositando apposito atto di controdeduzioni» e, al secondo comma, che «Nello stesso atto depositato nei modi e termini di cui al precedente comma può essere proposto, a pena d’inammissibilità, appello incidentale».
4.2 Questa Corte, sulla questione della proposizione dell’appello incidentale con atto distinto dalle controdeduzioni, richiamando le sentenze della Corte Costituzionale n. 189 del 2000 e delle Sezioni Unite n. 22601 del 2004, ha precisato che deve riconoscersi, nell’ordinamento processuale tributario, l’esistenza di un principio di tendenziale limitazione delle ipotesi d’inammissibilità e che, alla stregua della copiosa e annosa giurisprudenza di legittimità (concernente sia il processo civile che quello tributario e sia l’appello che il ricorso per Cassazione), pur dovendo il ricorso incidentale o l’appello incidentale essere proposti (rispettivamente a norma degli 371 e 343 cod. proc. civ. e, per il processo tributario, dell’art. 54 del decreto legislativo n. 546 del 1992) con l’atto contenente il controricorso, la comparsa di risposta o le controdeduzioni, tuttavia tali modalità non sono da considerarsi essenziali, onde le suddette impugnazioni incidentali possono ritenersi validamente proposte anche con atto a sé stante, indipendentemente dalla comparsa di risposta, le controdeduzioni o il controricorso (cfr. con specifico riferimento all’appello nel processo tributario, Cass., 5 dicembre 2005, n. 26391; Cass., 24 gennaio 2007, n. 1545; Cass., 16 luglio 2009, n. 16577).
Più in particolare, è stato affermato che «Nel processo tributario, la regola, posta dall’art. 54, comma secondo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo la quale l’appello incidentale può essere proposto, “a pena d’inammissibilità”, nell’atto di controdeduzioni, da depositare entro sessanta giorni dalla notifica dell’impugnazione principale, ha un’efficacia endoprocessuale – come l’analoga norma dettata in via generale dall’art. 343 cod. proc. civ. -, nel senso che dopo il deposito dell’atto di controdeduzioni – o della comparsa di risposta – non è più ammissibile la proposizione dell’impugnazione incidentale (salvo il caso previsto dal secondo comma dell’art. 343): ciò tuttavia non comporta, purché sia rispettato il termine prescritto per l’impugnazione incidentale, l’inammissibilità dell’appello erroneamente proposto in via principale da chi, essendo stata la sentenza già impugnata da un’altra parte, avrebbe potuto proporlo solo incidentalmente» (Cass., 19 maggio 2006, n. 11809).
Questa Corte, inoltre, ha precisato che l’appello incidentale nel processo tributario non può avere un contenuto diverso da quello civile, trovando applicazione nel processo tributario, giusta la norma di rinvio dell’art. 49 del decreto legislativo n. 546 del 1992, l’art. 334 cod. proc. civ. ed essendo, quindi, la verifica della tempestività dell’appello incidentale limitata al rispetto delle condizioni e dei termini derivanti dal combinato disposto degli artt. 54 e 23 del decreto legislativo n. 546/1992, vale a dire con la proposizione del gravame incidentale a mezzo del deposito delle controdeduzioni in appello nei sessanta giorni dalla notifica del ricorso dell’appello principale (Cass., 26 settembre 2018,n. 22836; Cass., 21 settembre 2021, n, 25454).
4.3 Orbene, nel caso in esame, il suddetto termine risulta rispettato, come si rileva dalla lettura della sentenza impugnata e del ricorso per cassazione (deposito della sentenza di primo grado in data 10 dicembre 2018; ricezione da parte del destinatario dell’appello principale dell’Amministrazione in data 10/13 maggio 2019; deposito dell’atto di controdeduzioni in data 1 luglio 2019; deposito dell’appello incidentale in data 4 luglio 2019).
4.4 Inoltre, va osservato che la norma di cui all’art. 54 del decreto legislativo n. 546 del 1992, diversamente da quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate, non prevede alcun obbligo di notifica del ricorso incidentale presentato con il deposito dell’atto.
4.5 Questa Corte, sul punto, ha affermato che nel processo tributario, ai sensi degli 53 e 54 del decreto legislativo n. 546 del 1992, solo l’appello principale, che è l’impugnazione proposta per prima, va notificato alle altre parti per poi essere depositato presso la segreteria della commissione tributaria adita nei trenta giorni successivi, mentre l’appello incidentale, vale a dire l’impugnazione proposta successivamente, va solo depositato insieme alle controdeduzioni (Cass., 18 aprile 2017, n. 9757; Cass., 13 ottobre 2006, n. 22023).
4.6 In ultimo, tenuto conto della non centralità della censura rispetto al contenuto del provvedimento impugnato, va osservato che nel processo tributario l’intempestività dell’appello incidentale, che deve essere proposto a pena d’inammissibilità entro 60 giorni dalla notificazione del gravame, è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass., 23 luglio 2007, 16285; Cass., 13 ottobre 2016, n. 22023).
4.7 Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile l’appello incidentale proposto dalla società contribuente, sulla base del seguente principio di diritto: «Nel processo tributario l’appello incidentale può essere proposto, dopo il deposito dell’atto di controdeduzioni, con atto autonomo, ed è ammissibile purché sia proposto nel rispetto dei termini derivanti dal combinato disposto degli artt. 54 e 23 del decreto legislativo n. 546/1992, vale a dire con la proposizione del gravame incidentale nei sessanta giorni dalla notifica del ricorso dell’appello principale».
5. Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili per difetto di interesse, in quanto i giudici di secondo grado, avendo dichiarato (erroneamente) l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dalla P.E.C. s.r.l., si sono spogliati della «potestas iudicandi» sul merito delle questioni e le relative argomentazioni sono del tutto irrilevanti ai fini della decisione.
Deve richiamarsi, al riguardo, il principio statuito da questa Corte secondo cui «Ove il giudice, dopo avere dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della “potestas iudicandi”, abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e, quindi, prive di effetti giuridici, di modo che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce la vera ragione della decisione» (Cass., Sez. U., 1 febbraio 2021, n. 2155; Cass., 19 settembre 2022, n. 27388).
5. Per le ragioni di cui sopra, va accolto il primo motivo di ricorso e vanno dichiarati inammissibili il secondo e il terzo motivo di ricorso; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili il secondo e il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di giustizia di secondo grado del Piemonte in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.