Corte di Cassazione ordinanza n. 22443 depositata il 15 luglio 2022
accertamenti standardizzati – studi di settore – art. 39, comma 1, lett. d) d.P.R. 29/09/1973 n. 600 (accertamento analitico induttivo) – notifica degli atti di imposizione tributaria – vizio di omessa pronuncia
RILEVATO CHE
1. Con avviso di accertamento TL703A300951/2009, per l’anno 2004, l’Ufficio rideterminava il reddito di impresa della società C. s.r.l., avendo rilevato maggiori ricavi sulla base dello scostamento degli indici risultanti dall’applicazione degli studi di
2. La società contribuente propose ricorso alla Commissione tributaria provinciale di La Spezia, deducendo l’illegittimità e l’erroneità dell’avviso, in quanto basato su di una serie di presunzioni e prove logiche infondate. La Commissione di primo grado accolse parzialmente il ricorso del contribuente, rideterminando in minus (da euro 971,00, oltre interessi e sanzioni, ad euro 70.000,00, oltre interessi e sanzioni) i maggiori ricavi di impresa.
3. La Commissione tributaria regionale della Liguria, respingeva l’appello della contribuente confermando integralmente la sentenza di primo grado.
4. La società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Commissione regionale di cui in epigrafe, affidandosi a quattro motivi di impugnazione.
5. L’Amministrazione erariale ha resistito con controricorso, deducendo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 proc. civ. e/o dell’art. 132, secondo comma, n. 4) cod. proc. civ., per omissione di pronuncia sulle questioni oggetto di appello riguardanti la motivazione dell’atto impugnato ed il corretto assolvimento dell’onere probatorio dei maggiori ricavi sollevate dalla società già in primo grado (terzo motivo di ricorso) e riproposte al giudice di appello.
1.2 Col secondo motivo, si deduce la violazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. 29/09/1973 n. 600 e/o degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., per non aver la CTR fondato la sua decisione sulla verifica di presunzioni gravi, precise e concordanti sulle quali, poi, avvalorare i parametri di cui agli studi di settore ma avendo basato la decisione su una presunzione di tipo semplice, quale il risultato dello scostamento dello studio di settore, nonché per aver mancato di verificare che l’Ufficio avesse offerto la prova dei fatti posti a fondamento della pretesa fiscale.
1.3 Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., l’omessa pronuncia sulla domanda riguardante la sanzione pecuniaria erroneamente correlata alla infedeltà della dichiarazione.
1.4 Con il quarto si deduce la violazione di legge e segnatamente dell’art. 3 l. 20/11/1982 n. 890 per aver ritenuto la validità della notifica dell’avviso di accertamento pur in assenza di relata (effettuata dall’Ufficio).
1.5 Con il quinto, si censura la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione dell’art. 10, comma 2, l. 08/05/1998 n. 146, che non richiede – come invece affermato dalla CTR – che l’anno oggetto di accertamento sia l’ultimo dei tre rispetto ai quali si è verificato lo scostamento.
2. L’esame del quarto motivo è pregiudiziale agli altri motivi, riguardando un vizio di notifica dell’avviso di accertamento che, se sussistente, travolgerebbe l’intera procedura.
2.1. Come è stato precisato (Cass., Sez. 5, 24/02/2020 n.2479), l’art. 29 del d.l. 31/05/2018 n. 78, conv. in l. 31/07/2010 n. 122, non ha per nulla modificato la disciplina della notificazione degli avvisi e degli altri atti da notificare al contribuente contenuta nell’art.14 l.20/11/1982 n. 890, sicché, anche a volere ritenere inesistente la notificazione dell’avviso di accertamento, in ogni caso la questione perde rilevanza per l’avvenuta sanatoria dell’eventuale nullità della notificazione, sanatoria derivante dalla tempestiva impugnazione dell’avviso di accertamento (circostanza, peraltro, già rilevata dal giudice di prime cure); ciò in quanto per costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le altre, Cass., 24/08/2018, n. 21071) in tema di atti di imposizione tributaria, la notificazione non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento, ma una condizione integrativa di efficacia, sicché la sua inesistenza o invalidità non determina in via automatica l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti inequivocamente la piena conoscenza da parte del contribuente, entro il termine di decadenza concesso per l’esercizio del potere all’Amministrazione finanziaria, su cui grava il relativo onere probatorio.
3. Venendo all’esame del primo motivo di ricorso – riguardante il vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione sull’eccezione di carenza di motivazione dell’avviso di accertamento – esso risulta inammissibile per genericità. La ricorrente ha assunto di aver dedotto fin dal ricorso introduttivo e, poi, ribadito nei motivi di appello, che l’Amministrazione non aveva dato alcuna risposta alle deduzioni difensive presentate in sede di preventivo contraddittorio e che l’avviso di accertamento non conteneva alcuna motivazione sul superamento di tali deduzioni riguardanti gli effettivi ricavi della società. Tuttavia, a fronte di tale contestazione, non ha assolto l’onere di riportare, né la motivazione dell’avviso di accertamento, né i rilievi del contribuente in fase di contraddittorio preventivo sì da consentire a questa Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass. 20/08/2015, n.17049; Cass. 15/03/2019, n.7536; Cass., 15/01/2020, n. 545 in motiv.).
4. Il secondo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente imputa alla CTR di aver basato la decisione di parziale conferma dell’accertamento su una presunzione di tipo semplice (il risultato dello studio di settore ridotto) non dotata dei requisiti della gravità precisione e concordanza espressamente richieste dall’articolo 39 del d.P.R. citato e in relazione all’articolo 2967 cod. civ., è infondato.
4.1 Va qui ribadito che:
- «la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame. […] L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito» (così, Cass., Sez. 5, 21/12/2021, 40936 che nel riportare i suddetti principi richiama Cass., Sez. U, 18/12/2009, n. 26635; Cass., Sez. 5, 21/05/2010, n. 12558; Cass., Sez. 6-5, 18/07/2012, n. 12428; Cass., Sez. 5, 14/12/2012, n. 23070; Cass., Sez. 6-5, 8/09/2016, n. 17787; Cass., Sez. 5, 19/04/2017, n. 9806; Cass., Sez. 5, 13/07/2017, n. 17289; Cass., Sez. 5, 17/07/2018, n. 18907; Cass., Sez. 5, 9/01/2019, n. 379).
- a norma del d.l. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3, convertito dalla legge n. 427 del 1993 – «gli accertamenti di cui al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), (…) e del d.P.R. 26 ottobre 1972, 633, art. 54, (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis, del presente decreto (ossia del d.l. n. 331 del 1993), nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente» (Cass., Sez. 5, 27/07/2011, n. 16430).
4.2 La CTR ha fatto buon governo di tali principi là dove ha confermato la riduzione dei ricavi operata dai primi giudici in base agli elementi indiziari offerti in controprova dal contribuente («[…] la documentazione prodotta dalla parte contribuente in relazione alla cessione per il corrispettivo di € 226.500 di un vecchio fabbricato costituente bene patrimonio dell’impresa, nonché alla locazione di due piccoli appezzamenti di terreno a destinazione deposito materiale, della superficie complessiva di metri quadri 2250 circa, per il canone totale di € 8.898, che ha fatto disporre dalla CTP una riduzione dei ricavi accertati dell’Ufficio fanno ritenere adeguatamente motivata la decisione di prime cure»). La statuizione dei secondi giudici è, dunque, corretta perché non si è esaurita nel mero rilievo dello scostamento dai parametri ma è stata integrata, sotto il profilo probatorio, con le ragioni sollevate dal contribuente, così emergendo la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria a carico del contribuente (cfr., Cass., Sez. 6 – 5, 18/12/2017, n. 30370).
5. Anche la censura di omessa pronuncia sulle sanzioni pecuniarie irrogate è infondata in virtù del costante indirizzo della Corte, al quale il Collegio ritiene di aderire, secondo cui: «Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.» (Cass. 13/10/2017, n. 24155).
5.1. Nella specie, il giudice di primo grado aveva ridotto il maggior reddito accertato ed il giudice di secondo grado aveva del tutto rigettato l’appello della parte contribuente, sul presupposto implicito che le sanzioni vanno applicate tenuto conto della riduzione dei ricavi operata dal giudice di merito.
6. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile in quanto deduce questioni di diritto del tutto fuori centro rispetto alla normativa che regola l’applicabilità degli studi di settore, in base alla quale non occorre affatto – come assunto dalla ricorrente – che l’anno di accertamento sia l’ultimo di un triennio nel quale un altro non sia congruo.
7. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della società ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nei confronti dell’Agenzia delle entrate che liquida in complessivi euro 3.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da partedella ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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