CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 24765 depositata il 17 agosto 2023
Perequazione aziendale pensioni – Regime previdenziale esclusivo – Somma una tantum – Capitalizzazione – Prestazione pensionistica complementare – Accoglimento
Fatti di causa
1.– Il presente giudizio s’innesta sulla complessa vicenda della perequazione aziendale delle pensioni spettanti al personale del Banco di Napoli. L’istituto di credito gestiva un regime previdenziale esclusivo dell’assicurazione generale obbligatoria, che inglobava anche un particolare sistema di perequazione, da ultimo sottoposto alle regole stabilite nella delibera del Consiglio di amministrazione del 17 gennaio 1983.
Di tale vicenda giova ripercorrere, nei suoi tratti salienti, l’evoluzione normativa e gli approdi della giurisprudenza di questa Corte.
1.1.– La legge 30 luglio 1990, n. 218, all’art. 3, comma 3, ha demandato al Governo il compito di adottare, «sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del settore creditizio, norme dirette a disciplinare, secondo le norme dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, il trattamento previdenziale dei dipendenti in servizio e in quiescenza degli enti pubblici creditizi esclusi o esonerati dall’obbligo dell’iscrizione alla data di entrata in vigore della presente legge in quanto disciplinati, rispettivamente, dall’allegato T all’articolo 39 della legge 8 agosto 1895, n. 486, e dalla legge 20 febbraio 1958, n. 55».
In attuazione della delega conferita con la legge n. 218 del 1990, è stato emanato il decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357.
A decorrere dal periodo di paga in corso al 1° gennaio 1991, l’art. 1, commi 1 e 2, del menzionato decreto legislativo ha ricondotto nell’alveo dell’assicurazione generale obbligatoria e, in particolare, in una gestione speciale dell’INPS i dipendenti, attuali, futuri e in quiescenza, degli enti pubblici creditizi, che un tempo beneficiavano dei regimi pensionistici esclusivi o esonerativi.
Alla descritta transizione verso il regime generale fa riscontro la soppressione dei regimi pensionistici esclusivi ed esonerativi (art. 5, comma 1), i primi contemplati dall’allegato T, «art. 39 della legge 8 agosto 1895, n. 486, relativi al personale del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia», i secondi «autorizzati per effetto della legge 20 febbraio 1958, n. 55, in favore del personale dell’Istituto bancario San Paolo di Torino, del Monte dei Paschi di Siena, della Cassa di risparmio delle province lombarde, della Cassa di risparmio Vittorio Emanuele per le province siciliane, della Cassa di risparmio di Torino, della Cassa di risparmio di Firenze, della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, della Cassa di risparmio di Asti».
L’art. 2 del d.lgs. n. 357 del 1990 ha disciplinato il regime pensionistico degl’iscritti in servizio alla data del 31 dicembre 1990.
Quanto al regime pensionistico degl’iscritti già pensionati, è regolato dall’art. 3 del d.lgs. n. 357 del 1990.
Il legislatore delegato ha sancito l’obbligo della gestione speciale dell’INPS di assumere «a proprio carico, per ciascun titolare di trattamento pensionistico in essere all’entrata in vigore della legge 30 luglio 1990, n. 218, una quota del trattamento stesso determinata secondo le misure percentuali indicate nella tabella allegata al presente decreto» (comma 2, primo periodo).
Il medesimo art. 3 del d.lgs. n. 357 del 1990 ha assoggettato le quote dei trattamenti pensionistici a carico della gestione speciale dell’INPS «alla disciplina per la perequazione automatica dell’assicurazione generale obbligatoria» (comma 3).
Ai «titolari di trattamenti pensionistici e di posizioni assicurative per prestazioni differibili» l’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 357 del 1990 ha garantito «il diritto al trattamento previdenziale complessivo di miglior favore previsto dalle forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti esclusive od esonerative di rispettiva iscrizione, secondo quanto disposto al successivo art. 4».
L’art. 4 del d.lgs. n. 357 del 1990 è intervenuto a salvaguardare il trattamento complessivo risultante dalle disposizioni dei regimi esclusivi o esonerativi soppressi in favore degl’iscritti in servizio alla data del 31 dicembre 1990 (art. 2) e degl’iscritti già pensionati (art. 3): «1. Per gli iscritti alla gestione speciale indicati negli articoli 2 e 3 è fatto salvo il diritto al trattamento previdenziale complessivo di miglior favore previsto dalle forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti esclusive od esonerative di rispettiva iscrizione, che agli effetti del richiamato diritto continuano ad operare. 2. La differenza tra il trattamento complessivo di cui al comma 1, tempo per tempo determinato, e la pensione o la quota di pensione a carico della gestione speciale ai sensi rispettivamente dell’art. 2 e dell’art. 3, incrementate per effetto della disciplina di perequazione automatica, è posta a carico dei fondi o casse di cui all’art. 5 ovvero direttamente dei datori di lavoro di cui all’art. 1».
1.2.– Questa disciplina ha ingenerato un cospicuo contenzioso.
Molti pensionati del Banco di Napoli hanno chiesto in giudizio l’accertamento del diritto di continuare a beneficiare della perequazione di fonte aziendale.
Con sentenza n. 17809 del 7 novembre 1994, confermata in sede di gravame con la sentenza n. 1957 del 1° aprile 1999, il Pretore di Napoli ha accolto la domanda e ha accertato il diritto dei ricorrenti, pensionati prima del 31 dicembre 1990, di mantenere il regime di perequazione aziendale antecedente all’entrata in vigore del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e, in particolare, dell’art. 9. Tale disposizione ha stabilito l’applicazione delle previsioni sulla perequazione automatica di cui all’art. 11 agli «iscritti alla gestione speciale di cui al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, relativamente alle pensioni o quote di esse a carico della gestione medesima» (comma 1) e ai «regimi aziendali integrativi ai quali è iscritto il personale di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357» (comma 2), in servizio alla data del 31 dicembre 1990.
Con sentenza del 3 luglio 2001, n. 9024, questa Corte, a sezioni unite, ha cassato la sentenza d’appello e ha riconosciuto il diritto di mantenere il regime perequativo aziendale solo per coloro che fossero in pensione alla data dal 31 dicembre 1990 e solo per il periodo dal 1° gennaio 1994 al 26 luglio 1996, data della definitiva soppressione della perequazione aziendale.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 30 aprile 2003 (n. 1521) che, in sede di rinvio, ha condannato la banca a corrispondere i correlativi aumenti di pensione per l’arco temporale dal 1° gennaio 1994 al 26 luglio 1996, S.I. s.p.a., che ha nel frattempo incorporato Banco di Napoli s.p.a., ha proposto ricorso per cassazione.
Questa Corte, con la sentenza n. 19937, depositata il 6 ottobre 2004, ha respinto il ricorso principale della banca e ha accolto il ricorso incidentale dei pensionati, condannando l’istituto di credito a corrispondere anche la rivalutazione monetaria, in cumulo con gl’interessi legali già riconosciuti.
2.– Questi sono gli antecedenti del giudizio che giunge oggi al vaglio di questa Corte, contraddistinto dal seguente oggetto.
I pensionati hanno chiamato in causa la banca, rivendicando le somme dovute in applicazione del regime perequativo aziendale istituito dalla delibera del 17 gennaio 1983.
Si deve rilevare che, in virtù dell’accordo collettivo del 27 luglio 2001, è stato istituito un “Fondo pensione complementare per il personale del Banco di Napoli”.
Il Fondo, in applicazione dell’art. 47, comma 1, dello Statuto, ha offerto agl’iscritti alla Sezione A, collocati in quiescenza in data anteriore al 31 dicembre 1990, la possibilità di trasformare il trattamento periodico integrativo in una somma una tantum, «con contestuale risoluzione di ogni rapporto con il “Fondo” e con il “Banco” avuto riguardo al trattamento integrativo».
Con sentenza n. 13229 del 2012, il Tribunale di Napoli ha accolto le domande dei pensionati che non avevano prescelto la capitalizzazione, reputando ininfluente la normativa d’interpretazione autentica dettata dall’art. 1, comma 55, della legge 23 agosto 2004, n. 243.
Quanto ai pensionati che avevano optato per la capitalizzazione (C., D.L., G., M. e R.), il Tribunale ha respinto le pretese dedotte con riferimento alle mensilità successive alla capitalizzazione.
3.– La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 6646 del 2016, depositata il 9 novembre 2016, ha respinto il gravame proposto da I.S. s.p.a. e ha accolto l’impugnazione dei pensionati C., D.L., G., M. e R., riformando sul punto la pronuncia di primo grado.
3.1.– La Corte territoriale ha condiviso la sentenza di primo grado, nella parte in cui ha affermato l’irrilevanza dello ius superveniens, inidoneo a incidere sulla lex specialis racchiusa nel giudicato.
3.2.– Quanto alla posizione dei pensionati che hanno accettato il versamento d’una somma una tantum, i giudici d’appello hanno evidenziato che tale adesione non implica «una chiara ed univoca rinuncia […] ad eventuali differenze sul trattamento pensionistico percepito e da percepirsi». Una rinuncia siffatta non potrebbe che essere manifestata in forma esplicita.
Tale conclusione è rafforzata dal fatto che, nel calcolo della capitalizzazione, non siano state incluse le somme dovute per effetto del giudicato e che alcuni dei pensionati abbiano anche formulato esplicita riserva, nell’esercitare l’opzione di cui si discute.
Per le ragioni esposte, la pronuncia di primo grado è stata riformata in parte qua.
4.– I.S. s.p.a., che ha incorporato S.I. s.p.a.,ricorre per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli.
5.– Resiste con controricorso P.G..
6.– R.C., G.D.L., M.M. e M.R. non hanno svolto in questa sede attività difensiva.
7.– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1., primo comma, cod. proc. civ., nella formulazione modificata dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149.
8.– Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.
9.– La parte ricorrente e la parte controricorrente hanno depositato memorie illustrative prima dell’adunanza.
10.– Il collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi al termine della camera di consiglio (art. 380-bis.1., secondo comma, cod. proc. civ.).
Ragioni della decisione
1.– Il ricorso per cassazione di I.S. s.p.a. procede per due motivi e concerne in via esclusiva la posizione di coloro che hanno aderito all’offerta di capitalizzazione della pensione integrativa.
1.1.– Con il primo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1197 e 1362 cod. civ.
Con l’esercizio dell’opzione nel luglio 2002 (pagine 10, 11 e 12 del ricorso), i pensionati avrebbero acconsentito all’adempimento della prestazione mensile mediante il versamento di un importo in somma capitale. La capitalizzazione, come modalità alternativa di adempimento della prestazione pensionistica, farebbe venir meno il diritto a tale prestazione e priverebbe di fondamento la pretesa alla perequazione, che si configurerebbe come componente di quella prestazione, in quanto varrebbe ad integrarla.
L’istituto di credito non avrebbe mai prospettato una volontà abdicativa dei pensionati, che, peraltro, si potrebbe configurare soltanto con riferimento a un diverso oggetto: i ratei di pensione integrativa antecedenti alla capitalizzazione. Né la controversia riguarderebbe la mancata considerazione delle differenze perequative nell’importo oggetto di capitalizzazione.
1.2.– Con la seconda censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1230 e 1362 cod. civ.
Anche a non volere ricondurre la fattispecie all’art. 1197 cod. civ., emergerebbe in maniera inequivocabile la volontà delle parti di sostituire l’originaria prestazione pensionistica mensile con una nuova obbligazione, avente ad oggetto l’erogazione di un importo in somma capitale. In virtù della novazione oggettiva, la prestazione pensionistica mensile sarebbe estinta e sarebbe dunque infondata ogni pretesa che si riconnetta all’obbligazione originaria.
2.– I motivi possono essere esaminati congiuntamente, per l’inscindibile connessione che li lega e per la comunanza dei temi sottoposti al vaglio di questa Corte, tutti incentrati sulle implicazioni dell’adesione alla proposta di capitalizzazione.
I motivi sono ammissibili.
2.1.– Lungi dal richiedere a questa Corte una rivalutazione delle risultanze istruttorie o dal porre questioni nuove, le censure vertono sulla qualificazione giuridica dei fatti accertati e, in particolare, sull’inquadramento e sull’efficacia preclusiva dell’adesione alla proposta di capitalizzazione.
I temi in esame sono stati ritualmente introdotti nel dibattito processuale e sono stati devoluti anche al giudice del gravame, al fine di suffragare la richiesta di riforma della sentenza di primo grado (cfr., su tali profili, anche la pagina 13 della memoria illustrativa di parte ricorrente).
2.2.– Le censure, sorrette da argomentazioni esaustive, individuano, inoltre, in modo univoco il tema controverso e si prefiggono di contestare in radice il percorso logico della sentenza impugnata, sulla scorta dell’adesione all’offerta di capitalizzazione che è stata puntualmente eccepita a sostegno del rigetto delle domande.
Nella loro essenza, le censure pongono l’accento sull’incidenza di tale adesione sullo specifico diritto rivendicato dai pensionati e si appuntano sull’interpretazione dell’accettazione della proposta formulata ai sensi dell’art. 47 dello Statuto del Fondo.
Articolate nel rispetto dei canoni di specificità, le doglianze soddisfano, pertanto, i requisiti prescritti dal codice di rito.
3.– Le critiche colgono nel segno, nei termini di seguito precisati.
3.1.– Occorre dare continuità ai principi da ultimo affermati, in giudizi in larga parte affini, da Cass., sez. VI-L, 8 giugno 2022, n. 18383 e n. 18384, che hanno provveduto a delimitare sia l’efficacia oggettiva del giudicato invocato dai controricorrenti sia l’odierno tema del decidere, in coerenza con le enunciazioni già espresse da Cass., sez. lav., 28 ottobre 2021, n. 30518, e 25 ottobre 2021, n. 29915.
Quanto al primo aspetto, si deve puntualizzare che il giudicato investe il meccanismo di determinazione della perequazione, che accede al trattamento pensionistico di natura integrativa.
Quanto alle domande formulate dai pensionati, questa Corte, nei precedenti menzionati, ha chiarito che esse hanno ad oggetto l’erogazione di una somma mensile, per un periodo successivo alla capitalizzazione.
Nel caso di specie, alla stregua delle circostanziate deduzioni della parte ricorrente, si controverte sul periodo che dal luglio 2006 si estende fino al giugno 2008 (pagina 12 del ricorso per cassazione e pagina 3 della memoria illustrativa), posteriore all’esercizio dell’opzione per il versamento di una somma una tantum.
Esulano dal presente giudizio, pertanto, le questioni inerenti al computo dei ratei di pensione integrativa, per il periodo antecedente alla capitalizzazione, e ai criteri che presiedono al calcolo della somma corrisposta a titolo di capitalizzazione.
A tale riguardo, le pretese dei pensionati rimangono impregiudicate e permane intatta l’autorità del giudicato, che non è sminuito come regola del caso concreto. L’autentica portata di tale regola, tuttavia, dev’essere rettamente intesa e dev’essere inquadrata nel contesto della decisione che la impartisce.
3.2.– Nella disamina delle censure, riveste rilievo cruciale la clausola contenuta nell’art. 47, comma 1, dello Statuto del Fondo, che prevede in favore dei percettori del trattamento pensionistico integrativo la facoltà di optare per la sua corresponsione in una somma capitale una tantum, «con contestuale risoluzione di ogni rapporto con il Fondo e con il Banco avuto riguardo al trattamento integrativo».
A tale riguardo, si deve ribadire che la Corte territoriale non ha interpretato il disposto negoziale, debitamente trascritto dalla parte ricorrente, in conformità ai canoni dell’art. 1362 cod. civ. e non ha adeguatamente ponderato la comune intenzione delle parti (ordinanza n. 29915 del 2021, cit.), esternata claris verbis nelle pattuizioni in esame.
Invero, «la richiesta di percepire il trattamento pensionistico in una somma capitale una tantum determina, con effetto dal momento della corresponsione del pattuito, l’effetto estintivo della prestazione pensionistica integrativa periodica (così Cass. n. 25215 del 2020, p.p. 14 ss. della parte motiva); pertanto, la sentenza impugnata, che ha accolto le pretese economiche degli intimati in relazione a periodi successivi al momento in cui ciascuno di essi aveva percepito la somma capitale una tantum, non si è attenuta al principio secondo cui, fermo restando il diritto del pensionato a mantenere il meccanismo di perequazione statuito dal giudicato formatosi tra le parti e i loro aventi causa anche successivamente all’entrata in vigore della legge n. 243 del 2004, art. 1, comma 55, il diritto a tale perequazione perdura sino al momento del computo della somma da liquidarsi in capitale e si estingue, unitamente a quello alla pensione integrativa a cui si correla, alla data in cui risulta percepita la somma in capitale una tantum di liquidazione dell’intero trattamento pensionistico integrativo» (ordinanza n. 18384 del 2022, cit.).
In termini analoghi si è pronunciata anche la giurisprudenza della sezione tributaria di questa Corte, «secondo la quale la prestazione di capitale che il Fondo di previdenza complementare per il personale del Banco di Napoli effettui, forfettariamente a saldo e stralcio, in favore di un ex dipendente, in forza di accordo (sostanzialmente transattivo e comunque) risolutivo di ogni rapporto inerente al trattamento pensionistico integrativo in godimento (comunemente denominato “zainetto”), costituisce, ai sensi dell’art. 6 T.U.I.R., comma 2, reddito della stessa categoria della “pensione integrativa”, cui il dipendente ha rinunciato e va, quindi, assoggettato al medesimo regime fiscale cui sarebbe stata sottoposta la predetta forma di pensione, posto che in realtà, con la liquidazione del cosiddetto “zainetto”, l’ex dipendente del Banco di Napoli, pur potendo beneficiare della pensione integrativa mensile, che sarebbe stata assoggettata a tassazione secondo l’aliquota marginale, opta per l’estinzione anticipata di ogni pretesa con il pagamento in un’unica soluzione di una somma concordata ed accettata (v. ex multis Cass. n. 11156 del 2010; n. 29614 del 2011; n. 16819 del 2017)» (ordinanza n. 18383 del 2022, cit.).
3.3.– La volontà delle parti si deve ricostruire nei termini appena enucleati, che, peraltro, collimano con le disposizioni dell’art. 7, lettera a), del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 (oggi abrogato per effetto del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252), «che prevedeva la facoltà del titolare del diritto di chiedere la liquidazione della prestazione pensionistica complementare, così evidentemente determinandosi l’estinzione della medesima prestazione unitamente al meccanismo di rivalutazione applicato» (ordinanza n. 29915 del 2021, cit.).
L’accettazione dell’importo capitale estingue dunque la prestazione originaria, dovuta con cadenza periodica, ed estingue per il futuro anche i suoi accessori, come la perequazione aziendale, che sono indissolubilmente legati alla prestazione principale e concorrono a integrare il sistema perequativo legale vigente, accrescendo l’importo degli assegni di pensione (in tal senso, la citata delibera del 1983).
È fondata, pertanto, la prospettazione del ricorso, che pone l’accento sul nesso che s’instaura tra la pensione integrativa e la perequazione di matrice aziendale.
Inoltre, l’art. 47 dello Statuto del Fondo è inequivocabile nel postulare, in conseguenza dell’accettazione della proposta, l’estinzione d’ogni pretesa attinente alla pensione integrativa nei rapporti che intercorrono tanto con il Fondo quanto con il Banco di Napoli, perciò nient’affatto estraneo al congegno prefigurato dallo Statuto.
A fronte d’un meccanismo estintivo di tal fatta, che scaturisce quale effetto tipico e indefettibile dall’accettazione della proposta di capitalizzazione e involge anche la perequazione, componente a tutti gli effetti della prestazione pensionistica, non hanno portata dirimente né le riserve espresse da taluni pensionati né la mancanza di un’espressa rinuncia, valorizzata dai giudici d’appello.
Quanto alle riserve, incidono su un diverso ambito, riguardante la controversia incardinata per ottenere l’accertamento del diritto alla perequazione, prima dell’opzione per la capitalizzazione (pagine 10 e 11 della memoria illustrativa di parte ricorrente), e comunque non possono alterare l’in idem placitum consensus che si è formato su un preciso assetto dei rapporti tra le parti.
Quanto alla mancata manifestazione di una volontà abdicativa, non elide un dato saliente: l’efficacia estintiva che è insita nell’accordo di capitalizzazione e investe tanto la pensione integrativa quanto i suoi accessori, per il periodo posteriore alla capitalizzazione.
Il giudicato che avvalora il diritto di fruire della perequazione aziendale non ne giustifica il trascinamento e la cristallizzazione anche negli anni successivi alla capitalizzazione della pensione, allorché risulta già estinta la prestazione principale cui la perequazione è giocoforza ancorata, e non può svincolare la perequazione dalla pensione integrativa, tramutando questa componente accessoria in un elemento irrelato e del tutto avulso dalla prestazione che implementa.
Per questa via, non solo la perequazione si configurerebbe come un elemento autonomo e a sé stante, dotato di un’ultrattività che gli consentirebbe di perpetuarsi anche dopo l’estinzione del trattamento integrativo, ma si giungerebbe a considerare tamquam non esset proprio quell’accordo di capitalizzazione, che racchiude, invece, in difetto di appropriate azioni volte a rimetterlo in discussione, l’autoregolamento d’interessi vincolante tra le parti.
Né tale ultrattività si potrebbe giustificare in base al rilievo, illustrato dai giudici d’appello, che nella somma oggetto di capitalizzazione non siano stati inseriti gl’importi successivamente accertati in forza del giudicato. A tale discrasia, che ha un diverso oggetto e una diversa origine ed esige correttivi differenti, non si può porre rimedio attribuendo la perequazione aziendale anche con riferimento a un periodo in cui la prestazione integrativa, cui la perequazione accede, risulta già estinta.
Peraltro, la rivendicazione di maggiori importi sul trattamento pensionistico erogato dopo la capitalizzazione pretermette un dato ulteriore, posto in risalto da questa Corte nei precedenti richiamati: tali ratei gravano sulla gestione speciale INPS, «da sempre caratterizzata dal meccanismo legale di perequazione», che differisce dalla perequazione aziendale rivendicata in questa sede e analizzata nel giudicato di cui qui si dibatte (ordinanza n. 18384 del 2022, cit.), componente strutturalmente legata al diverso trattamento della pensione integrativa originariamente corrisposta e quindi estinta.
Anche da questo punto di vista, che denota la commistione tra sistemi eterogenei di determinazione della prestazione principale attualmente dovuta e dei relativi accessori (perequazione), si rivela infondata l’azione, così come concretamente promossa.
3.4.– Ne consegue che presta il fianco alle censure della ricorrente la sentenza della Corte d’appello di Napoli, nella parte in cui ha accolto le pretese per un periodo successivo all’esercizio della capitalizzazione.
4.– La sentenza d’appello, pertanto, è cassata per quanto di ragione.
La causa è rinviata alla Corte d’appello di Napoli che, in diversa composizione, riesaminerà le domande a suo tempo proposte dagli originari ricorrenti alla luce dei rilievi svolti.
Al giudice di rinvio è rimessa, infine, anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.
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