Corte di Cassazione ordinanza n. 25226 depositata il 24 agosto 2022

imposta di registro – edificabilità di un area

RITENUTO CHE 

I contribuenti, in qualità di eredi di Luigi De Biase, deceduto in data 4/3/2008, con dichiarazione di successione presentata il 26/2/2009, impugnavano l’avviso di accertamento e liquidazione con cui era stato rettificato il valore di alcuni terreni, siti nel Comune di Pastorano, rientranti nell’asse ereditario, sulla base del certificato di destinazione urbanistica e tenuto conto dei prezzi di mercato praticati in zona per immobili similari.

Il giudice di primo grado ha parzialmente respinto il ricorso con sentenza appellata dai contribuenti.

La Commissione tributaria regionale della Campania ha respinto il gravame rilevando che “i fondi di cui si discute hanno nel Programma di Fabbricazione del Comune di Pastorano destinazione urbanistica a zona industriale di progetto”, che “tale destinazione è del resto confermata anche nella perizia di stima prodotta dai contribuenti” e che la precisazione, riportata nel certificato di destinazione urbanistica per cui “Le zone attualmente agricole vincolate per gli insediamenti industriali, conservano a tutti gli effetti i caratteri della zona agricola E fino all’insediamento degli impianti” non esclude “la destinazione urbanistica edificatoria impressa dallo strumento urbanistico”, donde la non incongruità “della valutazione di Euro 20,00 mq. operata dall’Ufficio, anche in considerazione del fatto che in una delle sentenze prodotte dagli appellanti per sostenere il loro assunto è stato ritenuto congruo il valore di Euro 21,00 al mq. attribuito ad un suolo ubicato nella stessa zona in un atto di vendita del 12.10.2006”.

Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti affidandosi a due motivi.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

CONSIDERATO  CHE 

Con il primo motivo del ricorso lamentano, a sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., la violazione dell’art. 2, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1992, nella parte in cui la decisione impugnata afferma che “per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi”, senza considerare che, nel caso di specie, “le zone attualmente agricole vincolate per gli insediamenti industriali, conservano a tutti gli effetti i caratteri della zona agricola E fino all’insediamento degli impianti” e che, in ogni caso, “esistono agli atti ben due perizie che qualificano la zona, la consistenza e l’appartenenza dei fondi oggetto di accertamento, agricoli e senza possibilità alcuna di edificazione, in mancanza di servizi quali strade, fogne, luce e/o quanto altro a rendere la zona appetibile”.

Con il secondo motivo lamentano, a sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione impugnata atteso che il giudice di appello non ha risolto la questione in maniera coerente avendo, in fatto, riconosciuto la vocazione agricola dei terreni oggetto di valutazione e ciò non di meno ritenuto applicabile “una valutazione parametrale di valori similari” fondata sui valori di mercato, scartando la soluzione alternativa proposta dal consulente di parte.

La prima censura è infondata.

La Commissione tributaria regionale non solo ha esposto adeguatamente le ragioni della decisione, ma si è anche uniformata ai principi di diritto reiteratamente enunciati da questa Corte di legittimità, sin dall’intervento nell’anno 2006 delle Sezioni Unite, le quali hanno affermato che in tema di imposta di registro, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 36, comma secondo, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha fornito l’interpretazione autentica del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’inapplicabilità del sistema di valutazione automatica previsto dall’art. 52, comma quarto, del d.P.R. n. 131 cit., dev’essere desunta dalla qualificazione ad esso attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi.

L’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica, infatti, è sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, senza che assumano alcun rilievo eventuali vicende successive incidenti sulla sua edificabilità, quali la mancata approvazione o la modificazione dello strumento urbanistico, in quanto la valutazione del bene dev’essere compiuta in riferimento al momento del suo trasferimento, che costituisce il fatto imponibile, avente carattere istantaneo.

L’impossibilità di distinguere, ai fini dell’inibizione del potere di accertamento, tra zone già urbanizzate e zone in cui l’edificabilità è condizionata all’adozione dei piani particolareggiati o dei piani di lottizzazione non impedisce, peraltro, di tener conto, nella determinazione del valore venale dell’immobile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione (Cass. sez. un n.  25505  e  n.  25506  del  2006;  Cass.  n.  11182/2014;  Cass.  n. 27077/2014; Cass. n. 18655/2016; Cass. n. 31048/2017; Cass. n. 27604/2018; Cass. n. 11427/2022).

La seconda censura è palesemente inammissibile.

La sentenza impugnata è stata pubblicata successivamente alla data (11/9/2012) di entrata in vigore della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dall’art. 54, d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif. dalla I. n. 134 del 2012, per cui, secondo la nuova formulazione della norma, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.” (tra le altre, Cass. n. 23940/2017).

I contribuenti, nel caso di specie, si limitano ad una critica del convincimento espresso motivatamente dal giudice di appello che, in esito dell’esame del materiale probatorio, ivi compreso quello prodotto dalla parte privata, ha attribuito rilievo decisivo, nella ricerca del valore venale di mercato, alla stima erariale in quanto corroborata dai dati ricavabili da una delle sentenze prodotte dagli allora appellanti per sostenere il proprio diverso assunto.

Si tratta di giudizi in punto di fatto di cui in questa sede non si può sollecitare la revisione.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso, e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.

Trovando applicazione l’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, segue la condanna dei ricorrenti al versamento, in favore dell’Erario, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.