CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 agosto 2019, n. 21080
Tributi – ICI – Aree edificabili – Nozione – Interpretazione autentica dell’art. 2, co. 1, lett. b), del D.Lgs. n. 504 del 1992 – Riferimento allo strumento urbanistico generale adottato – Necessità – Mancanza di approvazione del PRG – Irrilevanza – Ridotte dimensioni e/o particolare conformazione del lotto – Decadenza dei vincoli pre-espropriativi – Incidenza sulla natura edificabile dell’area – Esclusione – Incidenza sul valore venale
Fatti di causa
Con ricorso in data 24.3.2012 la N. s.r.l. impugnava dinanzi alla CTP di Roma tre avvisi di accertamento in rettifica relativi agli anni 2008-2009 e 2010 per insufficiente versamento dell’ICI e per l’anno 2008 anche per tardivo versamento relativamente ad un complesso immobiliare sito in località Torvajanica.
Secondo il certificato di destinazione urbanistica i terreni in questione erano inseriti nel PRG del Comune di Pomezia in zona M1 (servizi pubblici) soggetta a preventivo piano d’attuazione ed esterna al perimetro urbano, zona destinata ad attrezzature di servizio di varia tipologia la cui ripartizione doveva essere effettuata in sede di piano particolareggiato. Secondo la prospettazione della ricorrente tale previsione del PRG era decaduta, non essendo stato adottato il piano particolareggiato entro il quinquennio dall’introduzione del vincolo e di conseguenza i terreni dovevano essere considerati agricoli. Ad avviso del Comune di Pomezia, invece, l’area era edificabile e da ciò traevano origine gli avvisi di accertamento.
La CTP di Roma con sentenza n. 5490/2015, dopo aver rilevato che le zone urbanistiche interessate sono soggette alla disciplina delle c.d. zone bianche, riteneva che le stesse fossero comunque da considerarsi edificabili indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi, mentre riteneva fondata la doglianza relativa al valore commerciale dei terreni.
Avverso detta pronuncia proponevano separati appelli sia la società contribuente che il Comune di Pomezia.
All’esito la CTR del Lazio con sentenza in data 17.3.2016, in accoglimento dell’appello proposto dal Comune, ritenuta la natura edificabile del terreno, ne rideterminava tuttavia il valore venale facendo riferimento a quello stimato dall’Agenzia del Territorio.
Avverso detta sentenza la N. s.r.l. proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resisteva la controparte con controricorso.
Ricorreva altresì il Comune di Pomezia con ricorso notificato alla controparte in data 13.10.2016 articolato in un solo motivo cui resisteva la controparte con controricorso.
Ragioni della decisione
Per quanto attiene al ricorso proposto dalla N. s.r.I., con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.: violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 504 del 1992” parte ricorrente deduceva che, benché la CTR avesse affermato che il terreno di proprietà N. fosse incluso in una c.d. zona bianca, lo aveva tuttavia qualificato a fini impositivi come fabbricabile così considerando come base imponibile il valore venale e non vagliando neanche la dedotta questione della edificabilità di fatto.
Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione dell’art.11 quaterdecies comma 16 del d.lgs. n. 203 del 2005 convertito con modificazioni dalla I. n. 248 del 2005” parte ricorrente deduceva che l’art. 11 quaterdecies citato è una norma implicitamente abrogata prima dell’adozione degli avvisi di accertamento per cui è processo, essendo stato sostituito dall’art. 36 comma 2 , del decreto legge n. 223 del 2006 peraltro non applicabile alla vicenda di causa.
I due motivi, da valutarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.
Va premesso che “In tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 11-quaterdecies, comma 16, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e dell’art. 36, comma 2, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 1, lettera b), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi.
La natura edificabile non viene meno, trattandosi di evenienze incidenti sulla sola determinazione del valore venale dell’ area, né per le ridotte dimensioni e/o la particolare conformazione del lotto, che non incidono su tale qualità (salvo che siano espressamente considerate da detti strumenti attributive della stessa), essendo sempre possibile l’accorpamento con fondi vicini della medesima zona, ovvero l’asservimento urbanistico a fondo contiguo avente identica destinazione, né a seguito di decadenza del vincolo preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica, da cui deriva non una situazione di totale inedificabilità, ma l’applicazione della disciplina delle c.d. ” zone bianche” (nella specie quella di cui all’art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, applicabile “ratione temporis”), che, ferma restando l’utilizzabilità economica del fondo, in primo luogo a fini agricoli, configura pur sempre, anche se a titolo provvisorio, un limitato indice di edificabilità. (Cass., Sez. 5, n. 25676/2008).
Per quanto attiene alle c.d. zone bianche, il legislatore, nell’art. 9 t.u. edilizia prende in esame, come precisato, l’ipotesi di assenza di ogni pianificazione urbanistica, fattispecie che deve però potersi ritenere assimilabile all’ipotesi di caducazione totale delle previsioni del piano regolatore generale, e a fronte della quale la P.A. è comunque tenuta ad istruire tutte le procedure legali per addivenire alla formulazione di nuove previsioni fondamentali per l’assetto, il controllo e il governo del territorio, ai sensi della legge urbanistica n. 1150/42.
Ma nelle more dello svolgimento di tali procedure è ben possibile che si apra una fase per così dire “transitoria”, in cui le aree risultanti prive di specifiche previsioni, ad esse relative, vengono definite, con gergo tecnico, “zone bianche” (espressione convenzionale usata in passato, erroneamente, per indicare le zone agricole, e che deve invece indicare le zone “non pianificate”). In assenza di una qualsiasi destinazione di “piano”, perché caducata e quindi come se mai fosse esistita, e quindi anche in mancanza di ultrattività delle stesse norme tecniche di attuazione del PRG, non si può argomentare con certezza per la natura “agricola” dell’area ricadente in una “zona bianca”.
Pertanto correttamente la CTR ha ritenuto la natura edificabile di tali aree pur riconoscendo loro un ridotto indice di edificabilità.
Per quanto attiene al ricorso proposto dal Comune di Pomezia, con l’unico motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione dei principi generali che regolano il processo tributario. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 comma 5 del d.lgs. n. 504 del 1992” il Comune deduceva che il potere di disapplicazione non può giungere fino al punto da consentire al giudice tributario di sostituirsi alla pubblica amministrazione in scelte di merito.
Peraltro la CTR non poteva attribuire valenza ad elementi desunti da un procedimento distinto ed autonomo.
Il motivo è infondato.
Ed invero “Il processo tributario, pur introdotto mediante l’impugnazione di un atto ha ad oggetto il rapporto sostanziale posto a fondamento dello stesso, sicché il giudice, ove ritenga invalido l’atto impositivo per motivi non formali, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., senza che, da un lato, ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento e, da un altro, determini una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.”(Cass., Sez. 6-5, n. 25629/18; Cass, Sez. 5, n. 27574/2018).
Ne deriva che correttamente la CTR ha rideterminato la base imponibile ICI laddove la CTP si era limitata ad annullare l’avviso di accertamento facendo peraltro riferimento al valore stimato dall’Agenzia del Territorio.
Conclusivamente i ricorsi vanno rigettati.
Le spese del giudizio vanno compensate tra le parti in ragione della reciproca soccombenza.
Ricorrono le condizioni per l’applicazione ad entrambi i ricorrenti dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi;
compensa tra le parti le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di entrambi i ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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