Corte di Cassazione ordinanza n. 32900 depositata l’ 8 novembre 2022

anomala motivazione – motivazione dell’atto d’imposizione tributaria – ipotesi di “doppia conforme”

Rilevato che:

1. IMS S.r.l. (“IMS”) ricorre, con sedici motivi (suddivisi in tredici motivi e tre sottomotivi, di seguito indicati con i numeri cardinali da 1 a 16), contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Piemonte, indicata in epigrafe, che ha confermato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino (n. 21/09/2013) che, dopo averli riuniti, ha respinto i ricorsi della società contro gli avvisi di accertamento che riprendevano a tassazione — ai fini IRES, IVA, IRAP, per i periodi di imposta 2006, 2007 e 2008 — costi correlati a fatture passive per operazioni oggettivamente inesistenti e altri costi indeducibili/indetraibili perché non documentati o non inerenti;

2. in particolare, i giudici tributari di merito hanno condiviso la prospettazione dell’ufficio finanziario secondo cui i controlli effettuati presso gli stabilimenti della società sottoposta a verifica avevano messo in luce il seguente modus operandi: IMS, quale “utilizzatrice della frode”, individuava determinati macchinari (per lo più si trattava di presse industriali) tra quelli di sua proprietà, già ammortizzati o difficilmente tracciabili, e, quindi, emetteva l’ordine di acquisto nei confronti di CR Presse S.r.l. (o di altre imprese), la quale si rendeva disponibile a reperire sul mercato il bene con le preordinate caratteristiche; la contribuente acquistava quel bene direttamente dal venditore fittizio (per es.: CR Presse S.r.l., una società estera ad essa collegata, una “cartiera” italiana), oppure tramite una società di leasing (la quale, a sua volta, comprava lo stesso bene dal cedente fittizio), o, infine, da altra società di servizio (che agiva come intermediario), dando in pagamento cambiali che l’intermediario scontava per finanziare l’acquisto. Di fatto, però, non si verificava alcuna cessione  di  beni,  dal  momento  che  tutte  le  operazioni riguardavano macchinari che già erano di proprietà della contribuente;

Considerato che:

1. con il primo motivo di ricorso [«I Motivo. Nullità della sentenza, per violazione dell’art. 36, n. 4, del d.lgs. n. 546/1992 (art. 360, n. 4 c.p.c.)»], si censura la motivazione apparente, contraddittoria o incomprensibile, della sentenza impugnata, in relazione ai motivi di appello concernenti: (a) il vizio di motivazione degli atti impositivi, per omessa allegazione ad essi dell’intero p.v.c.; (b) l’assenza di dimostrazione, da parte dell’ufficio, della natura di cartiera della CR Presse S.r.l.; (c) l’assenza di alcun vantaggio fiscale derivante dalle operazioni di acquisizione delle presse; (d) l’esistenza delle operazioni (per es.: contratto di leasing Fineco relativo a tre presse meccaniche Polmac) che l’ufficio aveva ritenuto oggettivamente inesistenti;

2. con il secondo motivo [«II Motivo. Erroneità della sentenza impugnata, per violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 42, co. 3 del d.p.r. n. 600/1973 e 56, co. 5 del d.p.r. n. 633/1972, anche in relazione al disposto degli artt. 1, co. 1, 7 e 10 della l. n. 212/2000 (art. 360, n. 3 c.p.c.)»], si censura l’errore della sentenza impugnata che ha ritenuto legittimi gli avvisi nonostante l’allegazione di meri stralci degli atti istruttori riguardanti le imprese fornitrici delle presse (CR Presso S.r.l., Ares S.r.l., MGL), anziché di tutti quanti gli atti istruttori, come stigmatizzato dalla contribuente in uno specifico motivo di appello;

3. con il terzo motivo [«II Motivo bis. Nullità della sentenza impugnata, per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. (art. 360, n. 4 c.p.c.)»], si censura la nullità della sentenza che ha omesso di pronunciare sul motivo di appello secondo cui gli avvisi erano nulli in quanto il p.v.c. emesso nei confronti di Ares non era stato allegato nemmeno per stralcio;

4. con il quarto motivo [«III Motivo. Erroneità della sentenza impugnata, per violazione e falsa applicazione degli artt. 39, co. 1, lett. d) del d.p.r. n. 600/1973, 54 del d.p.r. n. 633/1972, avuto riguardo al principio di ripartizione dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che, errando sui criteri di riparto, tra il fisco e la società, dell’onere della prova circa l’inesistenza oggettiva delle operazioni descritte nelle fatture passive, ha ritenuto fondate le pretese fiscali sulla base di alcuni elementi presuntivi (natura di “cartiera” delle imprese che avrebbero fornito le presse; assenza di prova documentale degli acquisti e dei relativi pagamenti; rilievi fotografici compiuti presso lo stabilimento IMS, attestanti che la contribuente avrebbe acquistato, mediante le operazioni controverse, macchinari di cui già era in possesso, etc.), privi dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, perché meticolosamente contraddetti dalle risultanze istruttorie di segno contrario, puntualmente addotte dalla contribuente e trascurate dalla C.T.R.;

5. con il quinto motivo [«IV Motivo. Erroneità della sentenza di appello, per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5 c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che ha omesso di esaminare alcuni fatti decisivi per il giudizio, riprodotti nei motivi appello e supportati da documentazione e da una perizia di parte (“perizia Manzi”), e, segnatamente, la circostanza che, nonostante la contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti, nessun rilievo fiscale era stato mosso alle imprese che avevano fornito le presse o alle società di leasing e alle altre finanziarie che avevano intrattenuto rapporti con IMS, oppure il fatto che non fosse stata acquisita la prova che le società di leasing avessero retrocesso alla contribuente parte dei canoni versati da quest’ultima;

6. con il sesto motivo [«IV bis Motivo. Nullità della sentenza di appello, per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che (allo stesso modo della decisione di primo grado) ha omesso di pronunciare sull’eccepita violazione dell’art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione alla vendita di due presse (“Danly” 1600 tons e 650 tons) alla CR Presse Poland SP Z.O.O., alla quale non doveva essere applicata l’IVA, trattandosi di operazioni (inesistenti) non imponibili (o “esenti”) in quanto intracomunitarie;

7. con il settimo motivo [«V Motivo. Nullità della sentenza di appello, per violazione del cd. principio di non contestazione, di cui al disposto degli artt. 1, co. 2 del d.lgs. n. 546/1992 e 115, co. 1 c.p.c. (art. 360, n. 4 c.p.c.)»], in relazione al “punto N” della sentenza d’appello («maggiori ricavi relativi a omessa fatturazione di operazioni non imponibili avviso accertamento 2007 euro 26.407,41»), si censura la violazione del principio di non contestazione, in ragione del fatto che la C.T.R. ha ritenuto che la contribuente avesse occultato i ricavi derivanti dalla vendita di beni a Chausson Outillage SA, mentre la consegna di detti beni a quest’ultima società era avvenuta soltanto perché si procedesse ad alcune lavorazioni, come attestato da un accordo transattivo tra le due imprese, prodotto in giudizio e non contestato dall’Agenzia delle entrate;

8. con l’ottavo motivo [«VI Motivo. Erroneità della sentenza di appello, per violazione e falsa applicazione dell’art. 85 del t.u.i.r., in relazione all’art. 39, co. 1, lett. d) del d.p.r. n. 600/1973 ed al principio di cui all’art. 2697 c.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che, in relazione all’operazione di cui al settimo motivo, ha presunto l’esistenza di un contratto di vendita, senza considerare che l’appellante aveva prodotto in giudizio la proposta transattiva di Chausson Outillage del 18/10/2007 dalla quale risultava che i beni che essa deteneva erano di proprietà della contribuente;

9. con il nono motivo [«VII Motivo. Erroneità della sentenza di appello, per violazione dell’art. 109, co. 5 del t.u.i.r. (art. 360, n. 3 c.p.c.)»], in relazione al punto “O” della sentenza d’appello («interessi passivi indeducibili per euro 100.410,42 anno 2007»), la ricorrente censura la decisione della C.T.R. che ha confermato la ripresa a tassazione di interessi passivi per difetto di inerenza e per antieconomicità (si trattava degli interessi al tasso del 6,5 per cento corrisposti dalla contribuente a una cliente [ITCA S.p.a.], sul corrispettivo di una fornitura pagato in anticipo da quest’ultima), tralasciando che l’art. 109, comma 5, t.u.i.r., esclude chiaramente gli interessi passivi dal sindacato di inerenza;

10. con il decimo motivo [«VIII Motivo. Nullità della sentenza di appello, per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. (art. 360, n. 4 c.p.c.)»], la ricorrente deduce che la decisione della C.T.R., con riferimento ai costi non documentati (per euro 10.869,97) per “viaggi e trasferte dipendenti” del 2007, ha omesso di pronunciare sul motivo di appello con il quale si addebitava alla sentenza di primo grado di non avere esaminato la documentazione a supporto di tali esborsi (rapporti di spesa, pedaggi autostradali, etc.);

11. con l’undicesimo motivo [«IX Motivo. Erroneità della sentenza di appello, per violazione dell’art. 95, co. 3 del t.u.i.r. oltre che dell’art. 19 del d.p.r. n. 633/1972 (art. 360, n. 3 c.p.c.)»], in relazione al punto “Q” della sentenza d’appello («viaggi e trasferte euro 367,88 anno 2007»), la ricorrente censura la decisione della C.T.R. che non ha considerato che le fatture passive relative alle spese per vitto e alloggio erano regolarmente intestate alla società, rispettavano i limiti quantitativi dell’art. 95, comma 3, t.u.i.r., sicché gli stessi costi erano senz’altro deducibili/detraibili, ai fini delle imposte dirette e dell’IVA;

12. con il dodicesimo motivo [«X Motivo. Erroneità della sentenza di appello, per violazione e falsa applicazione dell’art. 19 bis 1, e) del d.p.r. n. 633/1972, nella formulazione vigente nel 2007 (art. 360, n. 3 c.p.c.)»], in relazione al punto “S” della sentenza d’appello («acquisti di buoni pasto IVA euro 15.371,33 su imponibile euro 384.283,13 anno 2007»), la ricorrente censura la decisione della C.T.R. che ha negato la detraibilità dell’IVA sull’acquisto dei buoni pasto destinati alla generalità dei dipendenti sul presupposto, errato, che si trattasse dell’acquisizione del diritto alla somministrazione di pasti e bevande, per la quale l’articolo 19-bis1., primo comma, lett. e), ratione temporis vigente, del d.P.R. n. 633 del 1972, esclude(va) la detraibilità dell’IVA;

13. con il tredicesimo motivo [«XI Motivo. Nullità della sentenza per violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.)»], in relazione al punto “T” della sentenza d’appello («energia elettrica – detrazione IVA 20% – euro 347,30 su imponibile di euro 563.472,96 superiore all’aliquota consentita del 10% anno 2007»), si deduce che la decisione impugnata ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato per non avere statuito nulla sull’eccezione della contribuente di illegittimità della ripresa IVA sulla fornitura di energia elettrica, che quest’ultima aveva detratto nella misura del 20 per cento, portata in fattura, anziché nella misura del 10 per cento, posto che l’articolo 19 non pone alcun limite legale alla corretta applicazione del tributo;

14. con il quattordicesimo motivo [«XII Motivo. In subordine: erroneità della sentenza di appello, per violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.p.r. n. 633/1972 (art. 360, n. 3 c.p.c.)»], gradatamente rispetto al precedente mezzo di impugnazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata che ha trascurato che, per il principio di neutralità dell’IVA, l’erronea applicazione della relativa aliquota (del 20 per cento anziché del 10 per cento), da parte del cedente o del prestatore di servizio, non pone alcuna limitazione all’esercizio del diritto alla detrazione spettante al cessionario, dato che soltanto il cedente/prestatore, quale soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto, può essere chiamato a rispondere della non corretta applicazione dell’aliquota IVA sulle operazioni che ha posto in essere;

15. con il quindicesimo motivo [«XIII Motivo. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, n. 4) del d.lgs. n. 546/1992 (art. 360, n. 4 c.p.c.)»], con riferimento al recupero a tassazione di costi riguardanti le spese di ricondizionamento (cd. refitting) di alcune presse e con riferimento ad alcuni contratti di leasing, la ricorrente censura la sentenza impugnata che, con una “pseudo-motivazione”, afferma che tali operazioni non erano documentate in un conto intestato a ciascuna lavorazione (quanto alle spese di refitting) o nel libro cespiti (quanto ai contratti di leasing), senza spiegare quali siano le fonti normative da cui discenderebbero tali “misteriosi obblighi contabili”;

16. con il sedicesimo motivo [«XIII bis In via subordinata: Erroneità della sentenza di appello, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2214 e 2421 c.c., dell’art. 16 d.P.R. 29.09.1973, n. 600, dell’art. 65 d.P.R. 22.12.1986, n. 917, dell’art. 2 d.P.R. 9.12.1996, n. 695, (art. 360, n. 3 c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che non ha considerato che le presse costituiscono beni strumentali (e non beni-merce), i quali sono annotati nel libro dei cespiti e sono iscritti in bilancio negli appositi conti dello stato patrimoniale (immobilizzazioni materiali e immateriali), suddivisi per categoria e per anno di acquisto; rimarca di avere sempre regolarmente tenuto tale registro e che, sul punto, l’ufficio non aveva sollevato alcuna contestazione;

17. il primo motivo non è fondato;

per giurisprudenza pacifica (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Sez. U. 31/12/2018, n. 33679; in termini, da ultimo, Cass. 23/09/2022, 27935) «nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione». Nel nostro caso, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, una motivazione esiste: il giudice tributario di appello spiega, nell’ordine, che gli atti allegati agli avvisi di accertamento consentono la difesa della contribuente; che non è in discussione la natura di cartiera della CR Presse S.r.l., impresa che ha fornito le presse; che gli accertamenti non poggiano sui vantaggi fiscali della contribuente, nella specie comunque sussistenti; le ragioni della ravvisata inesistenza delle operazioni sottese alle fatture passive contestate;

18. il secondo motivo non è fondato;

la decisione della C.T.R. è corretta in ragione del fatto che gli avvisi di accertamento riproducono il contenuto essenziale dell’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria. È sufficiente al riguardo rammentare la condivisibile giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 24/11/2017, 28060; in termini, ex multis, Cass. 28/09/2020, n. 20428; Cass. 09/08/2022, n. 24576) per la quale «In tema di motivazione dell’atto d’imposizione tributaria, l’onere dell’Ufficio di mettere in grado il contribuente di conoscere le ragioni della pretesa deve ritenersi assolto, con doppia motivazione “per relationem”, qualora il richiamato processo verbale di constatazione faccia a sua volta riferimento a documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente»;

19. il terzo motivo (cd. “II Motivo bis”) non è fondato;

in disparte il difetto di decisività della censura (per le stesse ragioni di cui al punto 18), si rileva che la sentenza, in risposta al dedotto difetto di allegazione dei p.v.c. riguardanti i fornitori, replica che (cfr. pag. 5 della decisione) «[d]all’esame degli atti risulta che è stato allegato quanto necessario al contribuente per procedere alla propria difesa»;

20. il quarto motivo è inammissibile;

per la giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34476), «È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito». Nella specie, il motivo di ricorso, pur rappresentando che il giudice tributario di merito abbia commesso un error in iudicando, in realtà, tende, in maniera con consentita, a proporre una diversa ricostruzione del merito della vicenda fiscale;

21. il quinto motivo è inammissibile;

si è chiarito (cfr. ex multis Cass. 06/05/2022, n. 14481, che menziona Cass. 13/01/2017, n. 743; 14/12/2018, n. 32436; 14/12/2018, n. 32437) che «Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.» (Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass. Sez. U. 21/09/2018, n. 22430). Nella specie, posto che il giudizio d’appello è iniziato in epoca successiva a quella sopra indicata, la doglianza è inammissibile poiché le decisioni dei gradi di merito, entrambe di rigetto (cd. “doppia conforme”), si fondano sulle medesime ragioni di fatto, e, del resto, la ricorrente non ha nemmeno sostenuto il contrario;

22. il sesto motivo è fondato;

la sentenza impugnata ha omesso di statuire sul motivo di appello (riportato nell’autosufficiente motivo di ricorso per cassazione) concernente l’illegittimità della ripresa a tassazione dell’IVA sulla cessione intracomunitaria della due presse sopra indicate (cfr. punto 6);

23. il settimo e l’ottavo motivo, che vanno esaminati insieme per connessione, sono inammissibili per le stesse ragioni esposte al punto 20;

in dettaglio, sulla premessa che si tratta della ripresa a tassazione di ricavi non dichiarati derivanti dalla cessione di merce a Chausson Outillage SA, innanzitutto è inconferente il riferimento (nel settimo motivo) al principio di non contestazione. Infatti, l’ufficio non ha mai rinunciato alla relativa pretesa, e ciò significa che ha contestato in radice la tesi della contribuente, secondo cui non si era trattato di una cessione di merce non fatturata, bensì dell’invio di merce a Chausson Outillage SA per determinate lavorazioni. L’ottavo motivo è inammissibile perché sollecita la Corte a compiere un nuovo apprezzamento del materiale istruttorio, già insindacabilmente scrutinato dal giudice tributario di merito;

24. il nono motivo è inammissibile;

per la ricorrente la C.T.R. avrebbe confermato la ripresa a tassazione di interessi passivi per difetto del requisito dell’inerenze. La censura non collima con il contenuto dello sviluppo argomentativo della sentenza impugnata riguardante tale ripresa, che viene confermata in quanto, a giudizio della Commissione regionale, dalla documentazione in atti non risulta la doppia veste di ITCA S.p.a., sia come “fornitore” (della provvista) che come “cliente”;

25. il decimo motivo non è fondato;

non si è in presenza di un’omessa pronuncia in quanto la sentenza impugnata spiega perché ritiene legittima la ripresa fiscale correlata a tale voce di spesa (punto P);

26. l’undicesimo motivo non è fondato;

con accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, la C.T.R. ha stabilito che le spese per viaggi e trasferte erano prive di riscontro documentale;

27. il dodicesimo motivo è fondato;

27.1 in primo luogo, al contrario di quanto assume l’ufficio, la censura non è inammissibile per novità della questione, in ragione del fatto che, come si evince dagli atti di causa, è stata fatta valere con il ricorso introduttivo. Ciò detto, dal punto di vista normativo, ai sensi del primo comma dell’art. 19-bis, d.P.R. n. 633 del 1972, nella versione ratione temporis vigente (anno 2007): «In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 19: […] e) salvo che formino oggetto dell’attività propria dell’impresa, non è ammessa in detrazione l’imposta relativa a […] somministrazioni di alimenti e bevande, con esclusione […] delle somministrazioni commesse da imprese che forniscono servizi sostitutivi di mense aziendali […]»;

27.2 in base a questa disposizione, pertanto, non opera alcuna deroga alla detraibilità dell’IVA, generalmente riconosciuta dall’articolo 19, per le prestazioni di servizi sostitutivi di mense aziendali, oggetto di contratti (anche di appalto), effettuate dalle aziende di ristorazione nei confronti dei datori di lavoro, mediante l’utilizzazione dei cd. buoni pasto o ticket-restaurant, soggette all’IVA con un’aliquota agevolata del 4 per cento. Più specificamente, i buoni pasto (o ticket-restaurant) sono documenti di legittimazione, aventi anche forma elettronica, i quali, ai sensi dell’art. 2002, cod. civ., attribuiscono al relativo titolare il diritto di ottenere, presso gli esercizi convenzionati, il servizio sostitutivo di mensa (id est la somministrazione di alimenti e bevande, nonché la cessione di prodotti alimentari pronti per il consumo), per un importo pari al valore facciale del documento. I buoni pasto vengono acquistati dal datore di lavoro presso una società emittente e poi distribuiti ai dipendenti che possono così ottenere la somministrazione di pasti presso i pubblici esercizi convenzionati con la società che li ha emessi;

27.3 tornando all’esame del dodicesimo motivo, erra il giudice tributario di appello che, discostandosi dal dato normativo sopra richiamato, nega alla contribuente la possibilità di detrarre l’IVA sull’acquisto dei buoni pasto, distribuiti ai propri dipendenti;

28. il tredicesimo motivo non è fondato;

non si tratta di un’omessa pronuncia in quanto la sentenza impugnata spiega che la contribuente è un’industria manifatturiera, sicché l’aliquota IVA da applicare è pari al 10 per cento e non al 20 per cento, come invece indicato in fattura, e ciò giustifica il recupero della parte dell’IVA indebitamente detratta;

29. il quattordicesimo motivo non è fondata;

la decisione del giudice tributario di appello è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che può essere sintetizzata nei seguenti princìpi di diritto:

«(1) In caso di operazione erroneamente assoggettata ad IVA (nella specie ad un’aliquota eccedente quella applicabile) non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata e fatturata atteso che, ai sensi dell’art. 19, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e in conformità dell’art. 17 della direttiva del Consiglio CEE del 15 maggio 1977, n. 77/388/CEE, e degli artt. 167 e 63 della successiva direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE (come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia), l’esercizio del relativo diritto presuppone l’effettiva realizzazione di un’operazione assoggettabile a tale imposta nella misura dovuta.

(2) Ne discende che, ove l’operazione sia stata erroneamente assoggettata all’IVA, per la misura non dovuta sono privi di fondamento: (i) il pagamento dell’imposta da parte del cedente (il quale ha diritto di chiedere all’Amministrazione il rimborso di quanto versato in eccesso); (ii) la rivalsa effettuata dal cedente nei confronti del cessionario (il quale ha diritto di chiedere al cedente la restituzione dell’IVA in via di rivalsa, nella parte erroneamente versata); (iii) la detrazione operata dal cessionario nella sua dichiarazione IVA, con conseguente potere-dovere dell’Amministrazione di escludere la detrazione dell’imposta così pagata in rivalsa»; (cfr., in termini, Cass. 15/05/2015,  n.  9942;  Cass.  13/06/2018,  n.  15536;  Cass. 24/05/2019,  n.  14179;  Cass.  03/12/2020,  n.  27649.  Per  una complessiva disamina della giurisprudenza nazionale e comunitaria, nonché dello ius superveniens, cfr. Cass. 16/03/2022, n. 8589, che in motivazione menziona le decisioni della Corte di giustizia, nonché Cass. 21/04/2021, n. 10439, la cui massima ufficiale recita: «In tema di IVA, in caso di detrazione indebita perché operata in misura superiore a quella dovuta per l’operazione posta in essere, l’art. 6, comma 6, d.lgs. n. 471 del 1997, nella formulazione successiva alla l. n. 205 del 2017, interpretato in senso conforme al diritto unionale, ha introdotto un regime sanzionatorio più mite, riconoscendo il diritto alla detrazione nei limiti del dovuto, ai sensi degli artt. 19 e ss. del citato decreto, e non per l’intero ammontare versato»);

30. il quindicesimo motivo non è fondato;

non si è in presenza di una “pseudo motivazione” in quanto la sentenza impugnata chiarisce che i costi di cd. refitting delle presse sono stati ripresi a tassazione perché privi di riscontro documentale;

31. il sedicesimo motivo è inammissibile;

sotto le sembianze dell’errore di diritto si chiede a questa Corte un giudizio sulle risultanze documentali, il cui vaglio è riservato al giudice tributario di merito;

32. ne consegue che, accolti il sesto e il dodicesimo motivo, e disattesi tutti gli altri motivi per le ragioni sopra illustrate, la sentenza è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio al giudice a quo, anche per le spese del giudizio di cassazione;

P.Q.M.

accolto il sesto e il dodicesimo motivo e disattesi gli altri motivi, nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata, limitatamente al sesto e al dodicesimo motivo, e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità;