CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 febbraio 2022, n. 3268
Tributi – Accertamento – Sostituzione dell’atto impositivo – Potere di autotutela – Esercizio in presenza di pronuncia giurisdizionale non ancora passata in giudicato – Legittimità
Fatti di causa
1. La società contribuente M. SRL ha impugnato un avviso di accertamento, notificato in data 2 aprile 2009, relativo al periodo di imposta 2005, con il quale, sulla base di una informativa trasmessa in data 11 giugno 2007 avente ad oggetto un procedimento penale, veniva disconosciuto il costo di una fattura di acquisto (fattura n. 3/2003) avente ad oggetto spese di impianto, così procedendosi al recupero di IRES e IRAP per la quota di costi pluriennali indeducibili. L’atto impositivo veniva emesso in sostituzione di un precedente atto impositivo, annullato in sede di autotutela.
2. La società contribuente ha censurato l’atto impositivo per difetto di motivazione per mancata allegazione degli atti istruttori presupposti, costituiti dalle indagini eseguite a carico della società emittente e per carenza di prova della pretesa impositiva. La società contribuente ha, inoltre, rilevato l’illegittimo esercizio del potere di autotutela in relazione al precedente atto impositivo e l’esistenza del giudicato in relazione al caso deciso con precedente sentenza della CTP di Salerno n. 561/16/17.
3. La CTP di Salerno ha rigettato il ricorso.
4. La CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno, con sentenza in data 2 maggio 2013, ha rigettato l’appello della società contribuente. Il giudice di appello, per quanto qui rileva, ha ritenuto legittimo l’esercizio del potere di autotutela, ritenendo irrilevante la decisione giurisdizionale della precedente causa proposta in relazione al precedente avviso annullato dall’Ufficio, avente ad oggetto altra imposta, confermando la legittimità dell’accertamento nel merito mediante rinvio per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado.
5. Ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a tredici motivi, cui ha resistito con controricorso l’Ufficio.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 324 cod. proc. civ., 2-quater d.l. 30 settembre 1994, n. 564, 68 d.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, nonché del d.m. 11 febbraio 1997, n. 37, nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato l’eccezione di non corretto esercizio dell’autotutela da parte dell’Ufficio in costanza della sentenza del giudice di prime cure che aveva annullato giudizialmente un precedente atto impositivo, poi annullato in sede amministrativa. Osserva il ricorrente come la statuizione del giudice di appello – secondo cui la controversia decisa dal precedente giudice di primo grado fosse differente da quella oggetto dell’avviso sostitutivo – sia errata, trattandosi della medesima vicenda fondata sul medesimo corredo istruttorio dell’atto oggetto della precedente controversia, circostanza in relazione alla quale sarebbe irrilevante la circostanza che si tratti di «altro tipo di imposta», come dedotto nella sentenza impugnata, traendo entrambi gli avvisi (quello annullato in sede giudiziale e poi amministrativa e quello oggetto del presente giudizio) dal medesimo presupposto di fatto ed essendo fondati sul medesimo corredo probatorio, essendo stata la nota della GdF sulla quale è stato fondato l’atto impositivo oggetto di giudizio già prodotta in sede giudiziale nel precedente giudizio relativo all’avviso oggetto di autotutela. Deduce, pertanto, la cristallizzazione dell’accertamento giudiziale di cui alla menzionata sentenza della CTP della Campania, Sez. staccata di Salerno e invoca il giudicato esterno ivi formatosi nel presente giudizio. Conclude, pertanto, il ricorrente che la nuova emissione di un atto impositivo sostitutivo del precedente atto annullato in sede di autotutela sia elusivo del suddetto giudicato, trattandosi di atti aventi la medesima struttura.
1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che non sarebbe stata prodotta la documentazione relativa al giudizio conclusosi con la sentenza della «CTP di Salerno n. 561/16/2007», ove il riferimento deve intendersi alla sentenza di primo grado che aveva deciso favorevolmente al contribuente la controversia relativa all’atto poi annullato. Osserva il ricorrente che con memoria depositata in data 26 ottobre 2010 erano stati depositati i «vecchi» avvisi di accertamento e le memorie prodotte dall’Ufficio, documentazione idonea, ad avviso del ricorrente, ad esaminare l’eccezione di giudicato esterno posta ad oggetto del superiore motivo di censura.
1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, costituito dal fatto che l’oggetto dei due giudizi era il medesimo, stante l’identità del materiale probatorio posto a corredo degli atti impositivi emessi in sostituzione. Osserva il ricorrente come l’identità del fatto si sarebbe, comunque, evincere dall’esame e dalla valutazione della menzionata sentenza della CTP di Salerno n. 561 dell’8 ottobre 2008, prodotta un allegato alla memoria depositata in grado di appello.
1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 7, primo comma, l. 27 luglio 2000, n. 212 e 3, terzo comma, l. 7 agosto 1990, n. 241, per avere il giudice di appello ritenuto, nella sentenza impugnata, implicitamente rigettato l’eccezione di difetto di motivazione negli atti impositivi per mancata allegazione dei verbali redatti nei confronti di soggetti terzi rispetto alla società accertata. Osserva parte ricorrente come elemento fondante degli accertamenti per cui è causa è stato l’utilizzo di fatture di acquisto per operazioni inesistenti su fatture emesse dalla R. SRL, oggetto di atti istruttori riguardanti l’emittente e le sue imprese fornitrici, non sono allegati all’atto impositivo. Deduce parte ricorrente che da tali atti istruttori emergeva l’interposizione fittizia dell’emittente, per cui in mancanza dell’allegazione degli stessi la motivazione per relationem non potrebbe considerarsi esaustiva ove non venga allegato all’atto impositivo l’atto al quale lo stesso faccia rinvio, ove lo stesso non sia altrimenti conosciuto.
1.5. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un punto decisivo per il giudizio, nella parte in cui la CTR ha ritenuto assolto l’obbligo motivazionale degli atti impugnati per relationem, nonostante la mancata allegazione dei verbali redatti nei confronti di terzi, sulla base dei quali l’Ufficio aveva ritenuto la fittizietà delle fatture utilizzate dalla società contribuente.
1.6. Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione degli artt. 36, comma primo, n. 4, d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto fondato nel merito l’accertamento, in quanto acriticamente adesivo delle risultanze dell’Ufficio, avuto riguardo in particolare alle ragioni addotte dalla società contribuente circa l’effettiva realizzazione delle opere sottostanti l’emissione le fatture oggetto dell’avviso impugnato.
1.7. Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in ordine ai medesimi profili di cui al superiore motivo, osservando parte ricorrente come dalla documentazione prodotta – e, in particolare, dalla documentazione fotografica – fosse evincibile l’effettiva realizzazione dell’opificio cui facevano riferimento le fatture oggetto dell’avviso impugnato.
1.8. Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla congruità dei costi sopportati dalla società contribuente ad opera dell’emittente R. SRL in relazione a quelli mediamente praticati, comprovato da due relazioni tecniche, nelle quali si attestava sia la realizzazione delle opere, sia l’assenza di sovrafatturazione, nell’ambito di un programma di investimenti curato dall’allora Ministero dell’Industria. Il ricorrente deduce la decisività di tale fatto storico (realizzazione dell’opificio industriale a prezzi congrui), in quanto ove il giudice di appello la avesse presa in esame avrebbe concluso «che le prestazioni di servizio rese dalla R. s.r.l. non erano fittizie».
1.9. Con il nono motivo si deduce, a termini dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, con particolare riferimento alla circostanza che i controlli incrociati sui subappaltatori dell’emittente avallassero l’effettiva esistenza delle operazioni sottostanti le fatture oggetto dell’avviso impugnato, posto che tali controlli incrociati avrebbero evidenziato la regolarità della contabilità dell’emittente e dei subappaltatori, oltre che la regolarità dell’esecuzione dei pagamenti.
1.10. Con il decimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dal fatto che i prelevamenti dei soci dell’emittente ad asserita restituzione del corrispettivo versato dalla società contribuente odierna ricorrente sarebbero stati compensati dalla restituzione di tali importi da parte dei soci dell’emittente nei confronti di quest’ultima, circostanza decisiva ai fini della prova del fatto che l’emittente non avrebbe restituito alla odierna contribuente i corrispettivi fatturati, quale circostanza a sua volta considerata gravemente indiziaria dell’inesistenza oggettiva delle operazioni.
1.11. Con l’undicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per omessa pronuncia a termini dell’art. 112 cod. proc. civ., per non essersi il giudice di appello pronunciato sull’eccezione, sollevata in via subordinata dalla contribuente appellante, che le fatture si sarebbero potute considerare, al più, come soggettivamente inesistenti, in relazione ai quali si sarebbe potuta provare la deducibilità dei costi, stante l’intervenuta prova della realizzazione delle opere e la congruità dei costi di realizzazione. Parte ricorrente trascrive (nota 32) in parte qua l’atto di appello, ove tale eccezione sarebbe stata proposta. Ove, pertanto, l’emittente fosse stata un soggetto meramente interposto, «la positiva ricognizione dell’effettuazione delle prestazioni ed il pagamento dei corrispettivi avrebbero dovuto indurre a ritenere deducibili i costi sostenuti» (pagg. 117 – 118 ricorso).
1.12. Con il dodicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 8, commi 1 e 3, d.l. n. 16/2012, nella parte in cui il giudice di appello non ha fatto applicazione dello ius superveniens, con valenza retroattive, di cui alle citate disposizioni normative, con conseguente deducibilità dei costi per le suddette operazioni, in quanto soggettivamente inesistenti. Osserva il ricorrente che l’indeducibilità opera solo per i costi e le spese direttamente utilizzati per il compimento dei delitti, circostanza inapplicabile al caso delle operazioni soggettivamente inesistenti, come richiamato dalla stessa circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E del 3 agosto 2012.
1.13. Con il tredicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, d. lgs. n. 546/1992, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost., nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato la sentenza di primo grado, ove tale motivazione possa costituire autonoma ratio decidendi. Deduce il ricorrente che la motivazione per relationem è consentita a condizione che nel testo della sentenza di appello venga trascritto il contenuto della decisione del giudice di prime cure e in cui sia comprensibile il ragionamento che ha portato il giudice di appello a fare proprie le motivazioni poste a fondamento della decisione di primo grado.
2. Il primo, il secondo e il terzo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Il ricorrente si duole dell’illegittimo esercizio del potere di autotutela da parte dell’Ufficio, quale effetto della violazione del giudicato esterno formatosi in relazione a precedenti atti dell’amministrazione finanziaria annullati in sede di autotutela, invocando il passaggio in giudicato della sentenza della CTP di Salerno n. 561 dell’8 ottobre 2008, allegata alla memoria depositata nel giudizio di primo grado (pagg. 4 testo e nota due, 34 e 55), riprodotta in appello (pagg. 24, 28, 34 e 55 ricorso), ma non allegata al presente giudizio. Lo stesso ricorrente deduce che il giudicato in relazione alla suddetta pronuncia si sarebbe formato medio tempore per effetto della mancata impugnazione della sentenza di primo grado in oggetto (pag. 29 ricorso) e non, pertanto, all’atto della notificazione dell’atto di annullamento in autotutela e di emissione del nuovo atto impositivo (2 aprile 2009). La deduzione di illegittimo esercizio del potere di autotutela viene, pertanto, formulata in relazione all’emissione di un atto di autotutela sostitutiva emesso dopo il deposito di una sentenza del giudice tributario (8 ottobre 2008), non ancora passata in giudicato all’atto della notificazione dell’atto sostitutivo (2 aprile 2009), bensì all’esito del termine lungo di impugnazione, avvenuto successivamente alla notificazione dell’atto sostitutivo dell’Ufficio. Né è stato dedotto che la sentenza sarebbe passata in giudicato per effetto del decorso del termine breve; né tale sentenza, munita dell’attestazione della cancelleria, è stata allegata al ricorso, al fine di consentire a questa Corte l’esame di un diverso momento del passaggio in giudicato della stessa (Cass., 22 novembre 2021, n. 35920). Le doglianze devono, pertanto, ritenersi formulate in relazione all’esercizio dell’autotutela al momento in cui una sentenza, non ancora passata in giudicato, aveva annullato la pretesa impositiva, in relazione alla quale l’Ufficio ha ritenuto di non impugnarla ma, in costanza del decorso dei termini di impugnazione della stessa, ha riemesso un nuovo atto impositivo annullando in via amministrativa quello precedente.
3. Va premesso, al riguardo, che l’art. 2-quater, comma 1 d.l. 30 settembre 1994, n. 564, conv. dalla l. 30 novembre 1994, n. 656, ha demandato a decreti del Ministro delle finanze i criteri sulla base dei quali si esercita il potere di annullamento di ufficio in autotutela dell’Amministrazione finanziaria («sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali [..] si abbandona l’attività dell’amministrazione»), anche in costanza di contenzioso giurisdizionale («anche in pendenza di giudizio»). Dispone, al riguardo, il d.m. 11 febbraio 1997, n. 37 in attuazione della suddetta disposizione legislativa che, quanto alla concorrenza del potere di annullamento di ufficio con la pendenza del procedimento giurisdizionale, che «Non si procede all’annullamento d’ufficio o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione». Tale norma viene interpretata dalla costante giurisprudenza di questa Corte nel senso che il potere di autotutela dell’Amministrazione, espressamente riconosciuto dall’art. 2-quater, comma 1, d.l. n. 564/1994, ha carattere generale e, pertanto, può essere legittimamente esercitato sino al momento in cui non si sia formato il giudicato sull’atto oggetto dello stesso e, al contempo, non sia decorso il termine di decadenza, fissato dalle singole leggi di imposta, per l’emissione dell’avviso di accertamento (Cass., Sez. V, 21 marzo 2018, n. 7033). E’ il solo giudicato esterno, formatosi in epoca precedente l’esercizio del potere di autotutela sull’atto successivamente annullato che costituisce limite all’esercizio del potere di autotutela, posto che il giudicato non rientra nella disponibilità delle parti (e neanche dell’Amministrazione finanziaria) e corrisponde ad un preciso interesse pubblico di eliminare l’incertezza delle situazioni giuridiche (Cass., Sez. V, 7 dicembre 2021, n. 38744; Cass., Sez. V„ 30 giugno 2021, n. 18446; Cass., Sez. V, 30 giugno 2021, n. 18388; Cass., Sez. V, 23 giugno 2021, n. 17924; Cass., Sez. II, 28 ottobre 2019, n. 27481; Cass., Sez. II, 31 maggio 2017, n. 24994; Cass., Sez. III, 7 aprile 2009, n. 8379). Formatosi tale giudicato in epoca precedente l’emissione dell’atto di annullamento, il relativo potere dell’Amministrazione finanziaria è precluso e, ove esercitato, è illegittimo (Cass., Sez. V, 31 ottobre 2017, n. 25893), non potendo l’Amministrazione né violare, né eludere tale giudicato (Cass., Sez. V, 28 novembre 2019, n. 31120; Cass., Sez. VI, 6 dicembre 2016, n. 25023; Cass., Sez. VI, 13 marzo 2013, n. 6329; Cass., Sez. V, 26 marzo 2010, n. 7335; Cass., Sez. V, 16 luglio 2003 n. 11114).
4. Ove, invero, non si sia formato il giudicato all’atto della notificazione del nuovo atto impositivo, l’esercizio del potere di autotutela è legittimo, in quanto attività doverosa dell’Amministrazione finanziaria, tale da onerare la stessa – in virtù del «principio di perennità», a sostituire l’atto annullato con un nuovo atto, ancorché di contenuto identico a quello annullato, privo dei vizi originari dello stesso (Cass., Sez. V, 16 giugno 2021, n. 16996; Cass., Sez. VI, 18 maggio 2021, n. 13407; Cass., Sez. VI, 30 settembre 2020, n. 20705; Cass., Sez. VI, 6 luglio 2020, n. 13807; 9 giugno 2020, n. 10981; Cass., Sez. VI, 18 febbraio 2020, n. 4153; Cass., Sez. V, 20 marzo 2019, n. 7751). Tale «principio di perennità», riferito in generale all’azione amministrativa e che trova fondamento nei principi espressi dagli artt. 53 e 97 Cost., consegue all’esigenza di continua e puntuale aderenza dell’azione amministrativa all’interesse pubblico, opposto al divieto del ne bis in idem che invece è proprio dell’azione giurisdizionale. In virtù di detto principio, il potere della Pubblica Amministrazione, come osservato in dottrina, sopravvive al suo esercizio e può essere nuovamente posto in essere, anche in relazione alla stessa fattispecie e persino in senso opposto alla precedente manifestazione del potere stesso. Ne consegue che – in assenza di specifica norma di legge che preveda un più limitato esercizio dell’autotutela (quale l’art. 21-novies l. 7 agosto 1990, n. 241, come in particolare modificato dall’art. 6 l. 7 agosto 2015, n. 124) – l’esercizio del potere di autotutela non implica la consumazione del potere impositivo, ancorché l’atto originario venga rimosso con effetti ex tunc, rinnovando doverosamente l’amministrazione un proprio atto viziato con l’emanazione di un altro, corretto dai vizi del precedente (Cass., Sez. V, 8 luglio 2015, n. 14219). La rinnovata emissione dell’atto amministrativo nel caso in cui l’Ufficio riscontri (a suo giudizio) l’esistenza di vizi dell’atto impositivo precedente, fa sì che l’annullamento dell’atto precedente si giustifichi quasi come un posterius doveroso, al fine di rispettare il divieto di plurime imposizioni di cui all’art. 67 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Cass., Sez. V, 23 ottobre 2019, n. 27091). Solo l’esistenza del giudicato, quale principio superiore dell’ordinamento, nonché, parimenti, l’intervenuta decadenza dalla potestà di accertamento che sorregge l’azione dell’Ufficio, precludono l’esercizio di questo doveroso potere-dovere dell’amministrazione.
5. Da tali premesse discende che, salva la formazione del giudicato (esterno) al momento della notificazione dell’atto sostitutivo emesso in esecuzione del potere-dovere di annullamento, l’esercizio di tale potere può essere esercitato anche ove sia stata resa pronuncia giurisdizionale, non ancora passata in giudicato e anche in pendenza di impugnazione della pronuncia avente ad oggetto l’atto originario (Cass., Sez. V, 8 ottobre 2019, n. 25055) e, conseguentemente, anche in pendenza dei termini per la proposizione dell’impugnazione, come nella specie. Nel qual caso, la pronuncia relativa all’atto successivamente annullato in via amministrativa viene caducata per effetto della cessazione della materia del contendere in relazione a tale precedente atto ed è inidonea ad acquisire efficacia di giudicato sostanziale, fatta eccezione per l’accertamento del venir meno dell’interesse alla prosecuzione dell’originario giudizio (Cass., Sez. V, 20 marzo 2015, n. 5641; Cass., Sez. V, 17 luglio 2014, n. 16324).
6. Nella specie, non risulta che la pronuncia della CTP di Salerno dell’8 ottobre 2008 fosse passata in giudicato al momento della notificazione dell’atto impositivo qui impugnato, per cui deve ritenersi legittimo l’esercizio del diritto di autotutela; né può essere invocato il giudicato esterno apparentemente formatosi per effetto del decorso del termine di impugnazione avverso la suddetta sentenza, essendo venuto meno l’oggetto del contendere in relazione al precedente atto impositivo. I primi quattro motivi di ricorso vanno, pertanto, rigettati.
7. I motivi sesto e undicesimo, i quali assumono ruolo pregiudiziale e possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati. La CTR ha aderito alla posizione dell’Ufficio, secondo il quale le prestazioni rese dall’emittente R. SRL sarebbero meramente cartolari, senza un adeguato percorso argomentativo, limitandosi a una generica e immotivata confutazione delle allegazioni di parte contribuente («le argomentazioni difensive presentate in opposizione all’atto impositivo, in quanto prive di elementi di prova certa validi a confutare quanto documentati dai militi verbalizzanti e fatto proprio dell’Ufficio, non rivestendo in alcun modo un crisma di infondatezza alla realtà accertata devono ritenersi inconsistenti e, in quanto tali, non possono avere alcuna valenza di dimostrazione della paventata illegittimità dell’operato sia della Guardia di Finanza che dell’Agenzia delle Entrate»). L’assoluta carenza di motivazione si è, poi, tradotta in un altrettanto incomprensibile rigetto delle difese della società contribuente, secondo cui tali operazioni sarebbero state effettivamente realizzate, benché da soggetti diversi dall’emittente, questione dedotta dal contribuente sin dalla proposizione del ricorso e in ordine alla quale non è stata data alcuna spiegazione del percorso argomentativo di rigetto.
8. La totale carenza di motivazione nel merito comporta l’accoglimento dei suddetti motivi, con assorbimento degli ulteriori motivi dal quarto al decimo e del tredicesimo. Il giudice del rinvio valuterà, in caso di accertamento di operazioni soggettivamente inesistenti, lo ius superveniens di cui al dodicesimo motivo, nonché provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta i motivi dal primo al terzo, accoglie il sesto e l’undicesimo motivo, dichiara assorbiti gli ulteriori motivi; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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