CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 giugno 2018, n. 16030
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Prova dell’impossibilità di repéchage – Requisito di legittimità del recesso
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 20436/2016, questa Corte, decidendo sul ricorso di R.D., dopo aver dato atto che l’intimata K. s.r.l. non aveva svolto attività difensiva, cassava la sentenza della Corte d’appello di Palermo nella parte in cui, decidendo sulla legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato dalla società al D., aveva statuito che il lavoratore non avesse assolto agli oneri di collaborazione nell’accertamento di un possibile repéchage, e rinviava alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione affinché, nel riesaminare la questione, e disponendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione, applicasse il seguente principio di diritto: in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repéchage del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale, senza che sul lavoratore incomba alcun onere di allegazione dei posti assegnabili.
2. Di tale sentenza la K. s.r.l. domanda la revocazione.
3. R.D. è rimasto intimato.
4. Non sono state depositate memorie.
Ragioni della decisione
1.1. Con l’unico motivo la società ricorrente denuncia l’errore di fatto ai sensi degli artt. 391 bis cod. proc. civ. e 395, n. 4, cod. proc. civ. in relazione alla circostanza che il ricorso introduttivo del giudizio di legittimità azionato da R.A., contrariamente a quanto evidenziato nella decisione di questa Corte n. 20436/2016, non era stato notificato all’avv. S.R. quale difensore costituito nel giudizio di appello per conto e nell’interesse della controparte K. s.r.I.
1.2. Il motivo è fondato.
Effettivamente la sentenza n. 20436 dell’11 ottobre 2016 di questa Corte, quanto alla valutazione preliminare della situazione processuale, è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti della causa, poiché la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto – notificazione dell’originario ricorso per cassazione alla società – che è smentito dagli atti di causa.
Ed infatti la K. s.r.I., come si evince dalla stessa sentenza della Corte di appello di Palermo n. 1616/2013 oltre che dalla memoria difensiva e di costituzione con appello incidentale di detta società del 6/6/2013, era rappresentata e difesa dall’avv. S.R. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in Palermo, viale L..
L’originale del ricorso per cassazione proposto da R.D. reca in calce una relata di notifica da cui si evince che lo stesso è stato, invece, notificato ad altro difensore (avv. S.F., Palermo, viale L.).
Per pacifica giurisprudenza di questa Corte tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (per tutte Cass., Sez. U, 12 giugno 1997, n. 5303; Cass. 30 marzo 1998, n. 3317; Cass. 12 gennaio 1999, n. 226; Cass., Sez. U, 18 dicembre 2001, n. 15979); pertanto l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa.
Nella specie ha detti caratteri l’errore di percezione denunciato nel ricorso per revocazione in quanto la sentenza impugnata ha dichiarato che la K. s.r.l. era rimasta intimata, sul presupposto (erroneo) dell’avvenuta notifica a quest’ultima del ricorso per cassazione R.G.N. n. 6976/2014 laddove di tale ricorso al difensore della società, quale risultante dalla decisione della Corte di appello di Palermo e dagli atti di tale giudizio di secondo grado, non era stata effettuata alcuna notifica.
La notifica del suddetto ricorso per cassazione era stata infatti effettuata all’avv. S.F., Palermo, viale L. che, come si evince dagli atti, era stato difensore della società nel giudizio di primo grado.
Ed allora va ricordato che l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità (v. Cass. Sez. U, 20 luglio 2016, n. 14916).
Tanto induce a ritenere che quella effettuata in favore di un difensore rispetto al quale vi era stato comunque un collegamento con il destinatario dell’atto fosse una notificazione nulla e come tale rinnovabile (v. anche Cass. 23 febbraio 2012, n. 2759; Cass. 21 marzo 2011, n. 6470; Cass. 29 luglio 2011, n. 16759).
Deve quindi essere disposta la revocazione della sentenza di cui in premessa, e, con separata ordinanza, disposta la prosecuzione della causa.
La regolamentazione delle spese processuali va rimessa al definitivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per revocazione e revoca la sentenza di questa Corte n. 20436/2016; decide sulla prosecuzione della causa come da separata ordinanza; spese al definitivo.
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