CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 ottobre 2021, n. 29692
Tributi – Contenzioso tributario – Appello – Sentenza – Erronea motivazione su questione di diritto – Esatta soluzione del problema giuridico – Correzione della motivazione dal parte della Corte di Cassazione – Legittimità
Fatti di causa
1. Dalla narrativa della sentenza impugnata risulta che, nel 1997, M.T. presentò congiuntamente alla moglie R.R. dichiarazione dei redditi per il 1996 e che, nel 2002, gli venne notificato un avviso di accertamento che egli impugnò davanti alla Commissione tributaria provinciale (“C.T.P.”) di Arezzo. Il processo, nel quale intervenne R.R. dopo la morte del coniuge, si concluse, nei gradi di merito, con il rigetto della domanda.
2. Successivamente vennero emesse una prima cartella di pagamento per il recupero di 1/3 del credito erariale e una seconda cartella, per 2/3 del credito (euro 362.104,98), oggetto di questo giudizio, impugnata dalla signora R. con ricorso dinanzi alla C.T.P. di Arezzo che respinse il ricorso.
3. La Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Toscana, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da P.T., in qualità di erede di R.R., avverso la pronuncia di primo grado, rilevando, in primo luogo, l’inammissibilità del motivo di appello concernente la nullità della prima decisione per omessa discussione della causa in pubblica udienza sebbene la pubblica udienza fosse stata richiesta dalla ricorrente. Inoltre, la Commissione regionale ha dichiarato inammissibili, per novità delle questioni sollevate, i rimanenti motivi di appello, attinenti alla mancata acquisizione della dichiarazione dei redditi del 1996, al disconoscimento, da parte della signora R., della sottoscrizione della dichiarazione, e alla rinuncia di quest’ultima all’eredità del coniuge, laddove in primo grado essa aveva dedotto l’irregolarità degli importi iscritti a ruolo, l’assenza di provvedimenti di sgravio della prima cartella di pagamento e un conflitto reale di giudicati.
4. Il contribuente ha proposto ricorso con quattro motivi, e l’Agenzia resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso [«1) Nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, 1. co., n. 4 c.p.c.: error in procedendo nel processo di primo grado non censurato nel giudizio di appello.»], il ricorrente si duole che la sentenza impugnata non abbia dichiarato la nullità della pronuncia di primo grado, con conseguente retrocessione del processo dinanzi al giudice inferiore, in ragione del fatto che la causa era stata trattata in camera di consiglio malgrado la ricorrente ne avesse chiesta la trattazione in pubblica udienza.
2. Con il secondo motivo [«2) Ricorrenza del vizio di cui all’art. 360, n. 4 c.p.c. per error in procedendo derivante da erronea applicazione dell’art. 57 d.lgs. 546/92.»], il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere dichiarato inammissibili i motivi di appello per novità delle questioni dedotte trascurando che nel processo tributario il divieto di ius novorum riguarda il mutamento della domanda, ossia del petitum e della causa petendi, mentre nella specie i motivi di gravame contenevano soltanto l’allegazione di nuovi elementi di fatto a supporto dell’iniziale e unica domanda di caducazione della cartella di pagamento.
3. Con il terzo motivo [«3) Ricorrenza del vizio di cui all’art. 360, n. 4 c.p.c. per error in procedendo derivante da erroneo richiamo del principio del ne bis in idem sostanziale (di cui agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.).»], il ricorrente premette che la complessa vicenda tributaria ha generato tre distinti processi: il primo riguardante l’impugnazione dell’avviso di accertamento notificato (il 19/12/2002) a M.T. per l’anno d’imposta 1996; il secondo riguardante l’impugnazione, da parte di R.R., della prima cartella di pagamento per un 1/3 della pretesa erariale; il terzo (ovverosia il presente giudizio) avente ad oggetto l’impugnazione, da parte della contribuente, della seconda cartella di pagamento per 2/3 della pretesa erariale. Addebita quindi alla C.T.R. di avere erroneamente affermato l’inammissibilità dei (nuovi) motivi di appello, per violazione del principio di ne bis in idem sostanziale, in ragione del fatto che le medesime questioni erano già state dedotte e decise nei giudizi d’impugnazione dell’avviso e della prima cartella, senza tenere conto dell’inoperatività del detto divieto in quanto le altre due cause erano ancora pendenti e non coperte da giudicato.
4. Con il quarto motivo [«4) Erronea motivazione in punto di merito: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (violazione dell’art. 2697 c.c.).»], il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere affermato che il processo riguardava soltanto la cartella, senza affrontare una questione di merito fondamentale, vale a dire che l’Ente impositore non aveva prodotto in giudizio la presunta dichiarazione dei redditi, per il 1996, dei genitori del ricorrente, sottoscritta in forma congiunta, e che perciò mancava la prova del credito erariale.
5. Il primo motivo è infondato.
La C.T.R., esaminati la sentenza di primo grado (che dava atto dello svolgimento dell’udienza di discussione) ed il verbale di trattazione della causa («ove figura la dicitura “in camera di consiglio”», così testualmente è scritto a pag. 4 della sentenza impugnata), ha escluso che vi fosse prova che il processo si era svolto in camera di consiglio anziché in pubblica udienza. Ed ha soggiunto che l’eventuale fondatezza del motivo d’appello non avrebbe comunque determinato la retrocessione del processo al primo grado.
5.1. Tale statuizione è coerente con la giurisprudenza di questa Corte che ha chiarito che «la trattazione del ricorso in camera di consiglio invece che alla pubblica udienza, in presenza di un’istanza in tal senso di una delle parti ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, costituisce una nullità processuale che, pur travolgendo la sentenza successiva per violazione del diritto di difesa, non determina, una volta dedotta e rilevata in appello, la retrocessione del processo al primo grado, non rientrando tale ipotesi tra quelle tassativamente previste dall’art. 59 del d.lgs. n. 546 cit., e costituendo l’appello, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia» (Cass. n. 3559 del 16/02/2010, consolidata da Cass. 24/07/2018, n. 19579). Sempre nella scia dell’orientamento sezionale (Cass. n. 19579/2018, in connessione con Cass. 10/02/2006, n. 2948; 17/03/2008, n. 7108), si aggiunga che il ricorrente non ha indicato quali siano gli specifici aspetti che la discussione della causa in pubblica udienza avrebbe consentito di evidenziare o di approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi, tenuto conto del fatto che l’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo.
6. Il secondo, il terzo e il quarto motivo, suscettibili di esame congiunto per connessione, sono infondati.
I fatti allegati dall’appellante nel giudizio di gravame, diversamente da quanto opina la C.T.R., non incontrano l’ostacolo del divieto di domande nuove nel secondo grado del giudizio poiché in realtà importano soltanto un’emendatio libelli nel senso che meglio definiscono e puntualizzano i fatti costitutivi della domanda di annullamento della cartella di pagamento.
Ciò precisato, tuttavia, va data continuità al consueto indirizzo di legittimità per il quale l’erronea motivazione su questione di diritto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei princìpi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 cod. proc. civ., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass. Sez. U. 02/02/2017, n. 2731, menzionata da Cass. 24/05/2017, n. 13014, che richiama altresì Cass. n. 28663/2013 e n. 23989/2014).
Nella fattispecie concreta in esame, detto che trattandosi di cartella emessa sulla base di iscrizione a ruolo provvisoria, lo stesso atto era impugnabile soltanto per vizi propri, in ogni caso l’applicazione dei canoni giuridici sopra enunciati comporta che le questioni sollevate con i motivi d’appello (attinenti alla mancata acquisizione della dichiarazione dei redditi del 1996, al disconoscimento da parte della signora R. della sottoscrizione della dichiarazione ed alla rinuncia di quest’ultima all’eredità del coniuge), diversamente da quanto afferma la Commissione regionale con motivazione che in parte qua va corretta, non siano inammissibili per violazione del divieto di nova in appello; esse però si appalesano irrilevanti in rapporto al giudicato (si fa riferimento a Cass. 22/07/2021, n. 20996) che sancisce la legittimità dell’avviso di accertamento prodromico all’emissione della cartella qui impugnata. E tanto basta per disattendere il secondo motivo di ricorso. Inoltre, quello stesso giudicato per un verso priva di fondamento la critica (svolta nel terzo motivo di ricorso) di omesso esame, da parte della C.T.R., della questione cruciale attinente alla mancata produzione in giudizio, ad opera dell’A.F., della dichiarazione dei redditi per il 1996, la cui sottoscrizione era stata disconosciuta dalla signora R.; per altro verso risponde all’obiezione (enucleata nel terzo motivo di ricorso) per cui la sentenza avrebbe erroneamente evocato il ne bis in idem sostanziale benché fosse ancora pendente ed in assenza del giudicato sulla causa d’opposizione all’avviso di accertamento, propedeutico alla cartella di pagamento (di 2/3 della pretesa fiscale) qui impugnata.
7. Le spese del giudizio di legittimità sono regolate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.500,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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