CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 16455 depositata il 9 giugno 2023
Lavoro – Licenziamento – Indennità risarcitoria onnicomprensiva – Misure cautelari – Gravità delle condotte di maltrattamenti – Giusta causa di licenziamento – Giustificato motivo oggettivo – Insussistenza – Inammissibilità del ricorso – è inammissibile il ricorso per cassazione che non attinga tutte le rationes decidendi autonomamente idonee a supportare la decisione, giacché l’eventuale accoglimento del ricorso non potrebbe mai estendersi alle ragioni non sottoposte a gravame
Fatti di causa
1. Con sentenza del 17.7.2019, il Tribunale di Foggia, in parziale accoglimento dell’opposizione ex art. 1, comma 51, L. n. 92/2012, proposta dall’attore M.L. avverso l’ordinanza del medesimo Tribunale (che, nella fase sommaria, aveva respinto le sue richieste, relative al licenziamento irrogatogli con missiva del 22.11.2017 dalla E. s.p.a.), e in applicazione dell’art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 novellato, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso tra il M. e l’E. s.p.a. con effetto dalla data del licenziamento, condannando l’E. s.p.a. al pagamento in favore del M. di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali da computarsi sulle somme via via rivalutate dalla data di maturazione del credito al soddisfo; ed aveva compensato integralmente tra le parti le spese di lite.
2. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Bari rigettava sia il reclamo principale, proposto dal lavoratore contro la sentenza di primo grado, che il reclamo incidentale interposto dalla società, compensava le spese del secondo grado e dichiarava l’E. tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
3. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che il primo giudice della fase di opposizione aveva rilevato che la decisione datoriale di risoluzione del rapporto di lavoro in data 22.11.2017 poggiava su due circostanze: 1) il fatto che il M., nonostante fosse stato invitato con missiva di contestazione disciplinare del 6.10.2017 a fornire entro cinque giorni dal ricevimento della stessa giustificazioni in ordine ai motivi delle misure cautelari cui era stato (sottoposto (la custodia cautelare prima e gli arresti domiciliari dopo), non aveva inteso rendere alcun chiarimento; 2) la gravità delle condotte di maltrattamenti poste in essere in danno di sua moglie e di suo figlio di appena due anni, per le quali era stato arrestato in flagranza di reato, nei termini meglio specificati ed esposti nella suddetta nota datoriale.
Dato conto di quanto considerato dal giudice dell’opposizione, il quale aveva ritenuto la sussistenza dei fatti contestati al lavoratore, ma aveva escluso che essi costituissero giusta causa di licenziamento, e che aveva, altresì, escluso la sussistenza del giustificato motivo oggettivo dello stesso, e riferiti i termini dei contrapposti gravami contro la sentenza di primo grado, la Corte ha respinto il primo motivo del reclamo principale del M., con il quale egli censurava la pronuncia di prima istanza per aver violato l’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 5 L. 604/1966, ed, in specie, per aver ritenuto che i fatti contestati al lavoratore fossero sussistenti in base al mero rilievo della mancata specifica contestazione degli stessi da parte del lavoratore, e senza aver fatto corretta applicazione dei principi di ripartizione degli oneri probatori, in ragione dei quali spettava al datore di lavoro provare la sussistenza della c.d. giusta causa e/o del giustificato motivo. Ha disatteso, altresì, il motivo del reclamo incidentale dell’E. che avversava, invece, la decisione del giudice dell’opposizione per non aver stimato i fatti contestati al lavoratore giusta causa di licenziamento. Riteneva, perciò, che restavano assorbite le ulteriori doglianze.
4. Avverso tale decisione M.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5. Ha resistito l’intimata con controricorso.
6. Il P.G., con nota scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
7. Le parti private hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 5 L. 604/1966 e dell’art. 18, comma 4, L. 300/1970, in combinato disposto all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Vizio di motivazione”, per avere la Corte di appello di Bari errato nella sua pronuncia nella parte in cui ha ritenuto che fosse corretta da parte del giudice di primo grado l’applicazione del principio di non contestazione in ordine alla sussistenza del fatto contestato con conseguente applicazione della tutela risarcitoria in luogo di quella reintegratoria.
2. Con il secondo motivo, denuncia “Violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 18 L. n. 300/1970 in combinato disposto all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.”, con conseguente nullità della sentenza e/o del procedimento, per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sul secondo motivo di appello proposto dal M. riferito alle conseguenze sanzionatorie in relazione alla insussistenza del giustificato motivo oggettivo, ritenendole assorbite.
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in una duplice chiave.
3.1. Anzitutto, deve farsi applicazione nella specie del principio, assolutamente fermo nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione che non attinga tutte le rationes decidendi autonomamente idonee a supportare la decisione, giacché l’eventuale accoglimento del ricorso non potrebbe mai estendersi alle ragioni non sottoposte a gravame (come di recente confermato da Cass. civ., sez. un., 4.4.2022, n. 10852; id., sez. un., 4.4.2022, n. 10847).
3.2. Ebbene, il ricorrente non considera che la Corte territoriale, nel disattendere il primo motivo del suo reclamo, non solo aveva ritenuto che il Tribunale avesse fatto corretta applicazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. (cfr. pagg. 12-13 della sua sentenza), ma ha poi considerato che “altrettanto incontrovertibile è che, comunque sia, il datore di lavoro ha pienamente assolto al proprio onere probatorio avendo offerto piena prova di quei fatti, peraltro ‘aiutato’ in questo addirittura dallo stesso lavoratore”.
La stessa Corte, inoltre, ha fornito diffusa spiegazione di tale conclusione (cfr. pagg. 13-14 della stessa sentenza), in termini che prescindono del tutto dal pur confermato rilievo, già operato dal primo giudice, che il fatto addebitato non fosse stato contestato dall’attore. E si tratta, perciò, di un’autonoma ed ulteriore ratio decidendi, chiaramente espressa dalla Corte distrettuale, di per sé idonea a sorreggere la reiezione del motivo di reclamo ivi esaminato, appunto perché vi è esposto che, indipendentemente da tale mancata contestazione ex art. 115 c.p.c., la datrice di lavoro, sulla quale incombeva l’onere probatorio ex art. 5 L. n. 604/1966 (di cui pure il reclamante sosteneva, come ora in questa sede, la violazione), aveva in concreto assolto a tale onere.
3.3. In ogni caso, rispetto alla parte di motivazione unicamente aggredita nella censura in esame, quest’ultima difetta del requisito di specificità/autosufficienza ex art. 366, comma primo, n. 4) e 6), c.p.c., perché il ricorrente, nell’assumere che “sin dalla fase sommaria del giudizio di primo grado ha ampiamente contestato il fatto posto a base del provvedimento di licenziamento adottato dall’azienda per insussistenza del fatto”, non solo non trascrive i propri “scritti difensivi” cui genericamente accenna, ma neppure ne richiama i passi salienti dai quali poter desumere tale contestazione; piuttosto vorrebbe far leva sull’assunto che egli “non ha richiesto alcun rito speciale quali appunto il patteggiamento della pena o rito abbreviato” (cfr. pag. 14 del ricorso), alludendo, quindi, ad un dato, per giunta negativo (la mancata opzione di riti speciali in sede penale), del tutto estrinseco al contraddittorio nel giudizio civile d’impugnativa del licenziamento.
3.4. Solo per completezza si aggiunge che il “Vizio di motivazione”, cui si accenna nella sola rubrica del primo motivo, non è assolutamente specificato, prima che illustrato, anche nell’esposizione dello stesso motivo.
4. Parimenti è inammissibile il secondo motivo.
4.1. In proposito, occorre considerare che la Corte territoriale aveva rilevato che: “Il giudice dell’opposizione ha affrontato anche la questione della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, irrogato, in via subordinata, dall’E. spa con la medesima già menzionata missiva del 20/27.11.17” sull’assunto dell’ “assenza dal lavoro del M. dal lavoro, a causa del suo stato detentivo, di durata peraltro, non preventivabile …”, e che a riguardo lo stesso giudice “ha stimato la genericità della prova orale chiesta dalla società (cap 25-28-37) per dar prova della sussistenza del giustificato motivo oggettivo” (cfr. in extenso § 1.4. alle pagg. 4-5 della sua sentenza).
Ha, altresì, riferito che, con un secondo motivo, l’allora reclamante principale M. “ha censurato la statuizione di prime cure per non aver fatto buon governo del comma 4 dell’art. 18 stat. Lav., con particolare riferimento alla dichiarata insussistenza del giustificato motivo oggettivo”, riportando il contenuto di tale censura (cfr. § 2.3. a pag. 6 della sentenza) in termini corrispondenti a quelli che richiama l’attuale ricorrente (cfr. pag. 18 del ricorso).
Ha, inoltre, dato conto che l’allora reclamante incidentale E. s.p.a., pur non avendo essa formulato apposito motivo a riguardo, “in via ulteriormente subordinata e condizionata, ha invocato una pronuncia di accertamento della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo” (cfr. § 3.3. a pag. 9).
Ha osservato ancora che: “Ragioni di conseguenzialità logica suggeriscono alla Corte di passare ad esaminare il reclamo incidentale spiegato da E. spa, tralasciando – per ora e per i motivi che si espongono – il vaglio del secondo motivo di reclamo articolato dal M., afferente quella parte in cui la sentenza ha dichiarato l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo”, e che “L’analisi deve evidentemente rimanere incentrata sulla verifica della giusta causa di licenziamento, essendo secondario e solo subordinato a quella il vaglio della sussistenza o meno del giustificato motivo oggettivo e delle relative conseguenze” (cfr. in extenso § 6 alle pagg. 14-15 della sua sentenza).
Infine, dopo aver dato estesamente conto delle ragioni di reiezione delle principali censure proposte, rispettivamente, con il reclamo del lavoratore e con il reclamo incidentale della società, ha concluso: “6.3. Restano assorbite le ulteriori doglianze” (così a pag. 20).
4.2. Tanto premesso, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, ribadito anche a Sezioni Unite, la figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre domande, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Deriva da quanto precede, pertanto, che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa” (così Cass. civ., sez. un., 27.11.2019, n. 31022, che richiama precedenti in senso conforme, e, in seguito, in termini id., sez. I, 23.6.2022, n. 20235; id., sez. III, 14.3.2022, n. 8108; id., sez. VI, 3.2.2020, n. 2334).
Pertanto, il ricorrente per cassazione, per censurare ammissibilmente in sede di legittimità la correttezza della valutazione di assorbimento di motivi di gravame, espressa dal giudice di merito del grado precedente, deve lamentare un vizio di motivazione del tutto omessa, e non sollevare un vizio di omessa pronuncia (cfr. nella motivazione Cass. civ., sez. I, 12.11.2018, n. 28995, richiamata da Sez. Un. n. 31022/2019, già cit.).
4.3. Nel caso di specie, invece, a fronte di una pronuncia di assorbimento – come si è ora visto – espressa chiaramente nella parte motiva dell’impugnata sentenza, il ricorrente ha lamentato esclusivamente un vizio di omessa pronuncia sul suo secondo motivo d’appello, facendo, infatti, esplicito riferimento all’art. 112 c.p.c. quale norma asseritamente violata in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c.
Lo stesso ricorrente assume essere “evidente come la Corte di Appello di Bari nel pronunciarsi solo sulla giusta causa del licenziamento, considerando tale pronuncia assorbente, abbia totalmente omesso ogni considerazione sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo e sulle conseguenze risarcitorie previste dalla normativa sul licenziamento”.
Per tal modo, però, da un lato, non denuncia in modo ammissibile in questa sede di legittimità un’anomalia motivazionale a riguardo nella decisione gravata, dall’altro, neppure deduce perché la pronuncia di assorbimento come tale sarebbe errata nel caso di specie in relazione al precipuo quadro processuale su descritto.
Come si è visto, infatti, la Corte territoriale aveva senz’altro considerato che la sentenza di primo grado, circa l’insussistenza, ritenuta dal Tribunale, del giustificato motivo oggettivo solo in subordine posto a base del licenziamento dalla datrice di lavoro, fosse stata attinta sia dal secondo motivo del reclamo principale del lavoratore che dal reclamo incidentale dell’E., sia pure in via subordinata e condizionata.
Ma la stessa Corte, giudicando secondario tale tema, una volta disattesi i contrapposti motivi di reclamo relativi al licenziamento sub specie di giusta causa, ha reputato “assorbite le ulteriori doglianze”, così esprimendo precise valutazioni, la cui correttezza doveva essere puntualmente censurata, non in chiave di omessa pronuncia.
5. Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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