Corte di Cassazione sentenza n. 17197 depositata il 27 maggio 2022

IVA – distacco del personale

Fatti di causa

Il tema in discussione, in base a quanto emerge dalla sentenza impugnata, riguarda il trattamento fiscale da riservare, ai fini iva, ai contributi erogati dalla Regione siciliana alla s.p.a. R..

Secondo l’Agenzia si tratta del controvalore di operazioni di distacco di personale della società, di modo che ha recuperato l’iva corrispondente con avviso di accertamento, che la contribuente ha impugnato con successo, sia in primo, sia in secondo grado.

In particolare, il giudice d’appello ha considerato che l’art. 8, comma 35, della l. 67/88 ha introdotto un’eccezione al regime ordinario, prevedendo che il distacco di personale, che, pure, integrerebbe in astratto una prestazione di servizi imponibile ai fini dell’iva, non può essere considerato tale nel caso in cui il beneficiario rimborsi al cedente il solo costo del personale utilizzato. Sicché, ha rimarcato, l’onere della relativa prova incombeva sull’Agenzia, che non l’ha soddisfatto. Anzi, la società ha dimostrato che le operazioni hanno natura intrinsecamente pubblica, fuori da ogni logica di mercato o sinallagmatica..

Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate per   ottenerne la  cassazione, che affida a tre motivi, cui la contribuente reagisce con controricorso e ricorso incidentale, articolato in un motivo, che illustra con memoria.

Ragioni della decisione

1.- Sono infondate le eccezioni d’inammissibilità proposte dalla società:

  • lo è quella basata sull’affermata carenza di autosufficienza, in quanto l’Agenzia, nell’aggredire la statuizione del giudice d’appello sul riparto dell’onere della prova, ha individuato i fatti dei provare e il soggetto sul quale a suo avviso incombe la prova;
  • lo è quella fondata sulla carenza d’interesse, 1 iacché, a differenza di quanto obiettato in controricorso, il giudice d’appello non ha escluso in concreto la sinallagmaticità del rapporlto, ma l’ha fatto in astratto, attribuendo rilevanza alla natura pubblicistica di esso;
  • lo è, infine, quella proposta in memoria, perché, diversamente da quanto ivi obiettato, l’Agenzia ha aggredito la statuizione del giudice d’appello calibrata sull’inosservanza dell’onere della prova.

Le eccezioni sono respinte.

2.- Col terzo motivo del ricorso principale, da esaminare preliminarmente, perché di rilevanza prodromica rispetto agli altri, l’Agenzia lamenta la violazione dell’art. 2697 e seguenti del codice civile e dei principi sulla ripartizione dell’onere della prova, sostenendo che, a fronte della generale imponibilità delle prestazioni, compresa quella di distacco di personale, sarebbe dovuta essere la società l’operatività di una deroga alla regola, ossia la non assoggettabilità a iva dell’operazione in questione.

Obietta in memoria la contribuente che la regola dell’imponibilità nel caso in esame non è configurabile, perché l’utilizzo presso pubbliche amministrazioni del personale dipendente di R. non è riconducibile alla fattispecie di diritto privato configurante il distacco di personale. La società, specifica, è partecipata dall’ente pubblico economico regionale E.S.P.I., e ha preso in carico come dipendenti, in virtù di legge regionale, il personale dismesso da enti economici regionali, da cooperative agricole, da cantine sociali e da altri enti, nonché dipendenti prepensionati, retribuendolo e consentendone l’utilizzo ai soggetti pubblici individuati dal legislatore regionale.

Queste circostanze sono insignificanti per l’imponibilità ai fini iva, sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto quello oggettivo.

3.- Quanto al primo, occorre, ai fini dell’esclusione dall’ambito di applicazione dell’iva, che ci si trovi al cospetto di attivit 1 svolta da un ente pubblico, e che l’ente pubblico la eserciti in veste di pubblica autorità (tra varie, Corte giust. in causa C-174/14, Saudagor).

Nel caso in esame non sussiste alcuno dei due presupposti.

Non si configura il primo, perché la s.p.a. R. esercita la propria attività in modo indipendente, sopportandone il relativo rischio. L’art. 4 della sesta direttiva (dii tenore corrispondente all’art. 9 della direttiva iva, alla luce del quale va interpretato l’art. 4 del d.P.R. n. 633/72) stabilisce, al primo paragrafo, che «si considera soggetto passivo chiunque esercita in maniera indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al par. 2, indipendentemente dallo scopo e dai risultati di detta attività», e precisa, al quarto paragrafo,, che «l’espressione ‘in modo indipendente’ di cui al par. 1, esclude dall’imposizione i lavoratori dipendenti ed altre persone se essi sono vincolati al rispettivo datore di lavoro da un contratto di lavoro subordinato o da qualsiasi altro rapporto giuridico che introduca vincoli di subordinazione in relazione alle condizioni di lavoro e di retribuzione ed alla responsabilità del datore di lavoro». Sul punto, la Corte di giustizia ha chiarito che « ...un vincolo di subordinazione non sussiste qualora gli interessati sopportino il rischio della loro attività» (Corte giust. causa C -202/90, Ayuntamiento de Sevi/la, punto 13; Corte giust. causa C -355/06, Van der Steen, punto 24).

3.1.- Va difatti escluso che una società come la contribuente sia priva del requisito dell’indipendenza. In via generale, la società di capitali con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché gli enti pubblici ne posseggano le partecipazioni, in tutto o in parte: per le vicende della società non assume rilevanza alcuna la persona dell’azionista, dato che la società, quale persona g1iuridica privata, opera comunque nell’esercizio della propria autonomia negoziale.

Il rapporto tra la società e l’ente pubblico è, cioè, di sostanziale autonomia, al punto che non è consentito all’ente di incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo (e sull’attività dell’ente collettivo) mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali (così, da ultimo, Cass. n. 37951/21).

Si deve allora affermare la piena autonomia, ai fini iva, della s.p.a. R.: la nozione di «altri enti di diritto pubblico», che figura nell’art. 13, par. 1, della direttiva iva deroga alla regola generale in virtù della quale sono comprese nell’ambito applicativo dell’imposta tutte le prestazioni di servizi fornite a titolo oneroso, incluse quelle effettuate dagli enti di diritto pubblico. E, ai fini del diritto unionale, e, in particolare, dell’art. 2, par. 1, letlt. c), della direttiva iva, costituisce una prestazione di servizi fornita a titolo oneroso, soggetta all’iva in forza di tale disposizione, un’attività consistente nello svolgimento da parte di una società di cleterminati compiti pubblici in esecuzione di un contratto da essa stipulato, in quel caso con un Comune (Corte giust., causa C-182/17, Nagyszénàs Telepulésszolgéltatési Nonprofit Kft).

3.2.- Queste conclusioni non sono smentite, e neanche incrinate, dal precedente di questa Corte citato dalla società: di là dall’autonomia della nozione unionale di prestazione di servizio ai fini iva, con quel precedente (Cass. n. 4566/05), si è esclusa la sussistenza della fattispecie del distacco ai fini della modificazione del rapporto di lavoro intercorrente con la R., e in riferimento a un ambito normativo diverso, ossia a quello antecedente alla c.d. “privatizzazione” dell’organizzazione e gestione dei rapporti di lavoro pubblico, avviata dal d.lgs. n. 29/93, in cui il lavoratore subordinato privato (ossia quello dipendente da R.) inserito in una pubblica amministrazione (in quel caso, l’Università di Palermo) rimaneva assoggettato agli stessi poteri pubblicistici inerenti al rapporto di lavoro dei pubblici impiegati.

La ricostruzione della vicenda normativa operata da Cass. n. 4566/95 evidenzia, anzi, proprio che l’intervento legislativo regionale ha determinato il mantenimento in vita dei rapporti di lavoro alle dipendenze della società R., con utilizzazione dei lavoratori presso strutture pubbliche.

E, al riguardo, è irrilevante la circostanza che i contributi siano stati versati dalla Regione anche se alcuni dipendenti sono stati utilizzati presso altre strutture pubbliche: perché una prestazione di servizi possa dirsi effettuata «a titolo oneroso» a norma del diritto unionale non occorre, come emerge anche dall’art. 73 della direttiva iva, che il corrispettivo di essa sia versato direttamente dal destinatario di quest’ultima, potendo essere versato da un terzo (v., in tal senso, Corte giust., causa C-151/13, Le Rayon d’Or, punto 34; causa C-846/19, EQ, punto 40).

4.- Difetta, quindi, il secondo presupposto necessario ad escludere la soggettività passiva ai fini iva, ossia lo svolgimento dell’attività in veste di pubblica autorità.

E, al riguardo, è ininfluente la circostanza, su cui punta il giudice d’appello e che ribadisce la Procura generale, che le somme erogate  dalla  Regione  Siciliana  s’inquadrano  in  un  rapporto marcatamente pubblicistico.  

4.1.- Il fatto che l’attività persegua uno scopo d’interesse generale, anche nell’esercizio di funzioni conferite e regolamentate dalla legge, è irrilevante per valutare se tale attività si traduca in prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso (Corte giust. causa C-263/15, Lajvér, punto 42). Del resto, l’art. 25, lettera c), della direttiva iva prevede espressamente che una prestazione di servizi può consistere nell’esecuzione di un servizio in base a una espropriazione fatta dalla pubblica amministrazione o in suo nome o a norma di legge (Corte giust. causa C-846/19, EQ, punto 39).

Non rileva, quindi, lo scopo dell’attività, ma occorre che essa sia economica, in accezione unionale, ossia rivolta a ricavare introiti con carattere di stabilità (vedi Cass. n. 14846/20); il che identifica il profilo oggettivo dell’operazione imponibile.

5.- Nel caso in esame, che la messa a disposizione sia operazione economica, inerente all’esercizio dell’attività d’impresa della contribuente emerge dall’art. 9 della sesta direttiva, che espressamente l’annovera.

Questa nozione, di rilevanza unionale, è assorbente, e rende irrilevante la questione concernente la configurabilità di uno specifico interesse della società distaccante.

5.1.- Perché l’operazione in questione sia imponibile, inoltre, non è necessario, contrariamente a quanto sostiene il giudice di appello, che sia rispondente a logiche di mercato.

Al riguardo, la Corte di giustizia, nel giudicare fondato il dubbio sollevato da questa Corte con l’ordinanza n. 2385/19, ha stabilito che la prestazione di servizi, come definita dall’art. 2, punto 1, della sesta direttiva (che si specchia nell’art. 3 del d.P.R. n. 633/72) è da ritenere onerosa, e quindi imponibile, purché sia ravvisabile nesso di corrispettività tra servizio reso e somma ricevuta, anche in mancanza di lucratività.

Irrilevante è, in particolare, l’importo del corrispettivo, ossia che esso sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto a suo carico nell’ambito della fornitura della sua prestazione. Sicché questa Corte, in esito alla sentenza resa dalla Corte di giustizia in causa C-94/19, ha stabilito che l’art. 8, comma 35, della l. n. 67/88, secondo la quale non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo li rimborso del relativo costo» va disapplicato (Cass. nn. 529 e 530/21).

6.- Occorre, tuttavia, verificare se, e in quale misura (nei limiti della ripresa), il pagamento da parte della Regione Siciliana dei contributi dei quali si discute costituisse una condizione affinché ci fosse la messa a disposizione e se la Regione abbia pagato tali importi solo come corrispettivo della messa a disposizione.

È in tal caso, ha specificato la Corte di giustizia, che si deve concludere per l’esistenza di un nesso diretto tra le due prestazioni; laddove il giudice d’appello, incentrando la propria decisione sull’esclusione dell’imponibilità ai fini iva non ha svolto queste valutazioni.

La censura va quindi accolta.

7.- Il che determina l’assorbimento del primo motivo del ricorso principale, col quale si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., là dove il giudice d’appello ha escluso che sia stata fornita la prova dell’imponibilità contentandosi della mancata contestazione da parte dell’Ufficio della documentazione prodotta in giudizio dalla società, e del secondo motivo del ricorso principale, là dove non si è argomentata l’esclusione della sussistenza del rapporto sinallagmatico.

8.- Le considerazioni in questione determinano altresì il rigetto del ricorso incidentale condizionato, col quale si assume la nullità della   sentenza   impugnata   per   omessa   rilevazione dell’inammissibilità dell’appello, giacché ad avviso della contribuente tale inammissibilità discenderebbe pur sempre dall’irriducibilità della materia giustiziabile all’ipotesi di prestito o distacco di personale prospettata con l’appello.

9.- Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio, per la regolazione delle spese e la valutazione delle questioni rimaste assorbite, alla Commissione tributaric1 regionale della Sicilia in diversa composizione.

Per questi motivi

accoglie il ricorso principale nei limiti in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in diversa composizione.

Rigetta il ricorso incidentale e, in relazione a tale rigetto, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.