Corte di Cassazione sentenza n. 21998 depositata il 12 luglio 2022
principio di auto sufficienza alla luce della sentenza CEDU – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – prova
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 1820 del 2019 la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia del Tribunale di Velletri, ha respinto la domanda proposta da S.F., nei confronti della N. srl, volta ad ottenere l’accertamento della nullità del licenziamento orale intimatole, con condanna alla reintegrazione e al pagamento di tutte le retribuzioni maturate fino alla reintegra.
2. La S.F., in servizio presso la società in virtù di contratti di collaborazione a progetto, aveva riferito che il i.2014 era stata convocata da alcuni soggetti che le avevano chiesto la sottoscrizione di un foglio contenente le sue dimissioni; che all’esito dell’incontro, ella non si era sentita bene e fu costretta ad assentarsi inviando certificati medici di malattia fino al 19.5.2014; che il 20.5.2014, rientrata in azienda, le era stato impedito l’ingresso ed era stata invitata nuovamente a sottoscrivere le dimissioni in quanto accusata di comportamenti scorretti; che di fronte al suo rifiuto era stata indotta ad abbandonare il luogo di lavoro; che in pari data aveva impugnato il licenziamento verbale offrendo la propria prestazione lavorativa; che l’1.8.2014 la S.F. era stata poi licenziata per giusta causa dalla società che aveva negato il licenziamento orale.
La Corte territoriale, a fondamento della propria decisione, ha rilevato, superate le eccezioni di inammissibilità e di improcedibilità del reclamo e dato atto che, con una precedente pronuncia della stessa Corte era stata accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti per la nullità dei contratti a progetto, che nella fattispecie la S.F. non aveva dato prova della intimazione del licenziamento senza l’osservanza della forma scritta; ha, inoltre, respinto la domanda della società di rimborso della somma di euro 24.703,80, corrisposto in adempimento dell’ordine del giudice, sia perché la richiesta non era stata reiterata nelle conclusioni del reclamo, sia perché non era stata dimostrata la corresponsione dell’importo su indicato.
Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione Floriana S.F. affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso la N. srl.
Il PG ha concluso con requisitoria scritta chiedendo il rigetto del sintetizzati.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia ai sensi dell’art. 360 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla lettera di licenziamento del 01/08/2014, palesemente illegittima perché è intervenuta senza alcuna previa contestazione ad essa lavoratrice e soprattutto senza l’esistenza di una giusta causa di risoluzione del rapporto.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 e. e degli artt. 115, 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., inoltre, per avere la Corte territoriale compiuto una valutazione delle prove in atti errata illogica e priva della minima correttezza logico-giuridica.
4. Il primo motivo presenta vari profili di inammissibilità.
5. Invero sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass. SS. UU. n. 34469/2019)
6. Nel caso in specie, il contenuto della lettera di licenziamento del 01/08/2014 non è stato riprodotto nel ricorso, né è stato fatto alcun riferimento ad elementi da cui si potesse evincere il contenuto della suddetta lettera; inoltre, quanto ad una eventuale collocazione, si fa riferimento alla produzione di un “modello C2 storico”, che appare in realtà oscuro e poco indicativo a tali fini.
7. La censura, dunque, deve essere dichiarata inammissibile per violazione del principio di specificità e del principio di autosufficienza del ricorso ex art. 366, 1° comma, n. 6 c.p.c..
8. A tale riguardo, appare opportuno ricordare che il principio di autosufficienza è stato di recente oggetto d’interpretazione da parte della Corte EDU, la quale ha precisato che il ricorso debba essere redatto seguendo criteri di sinteticità e chiarezza, mediante l’essenziale richiamo degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia (Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021).
9. Affinché sia rispettato il requisito dell’autosufficienza, dunque, è necessario che il ricorso per cassazione possegga tutti quegli elementi che rendano possibile al Collegio giudicante la corretta comprensione dell’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa (Cass. n. 8117/2022; Cass. SS. UU. n. 8950/2022).
10. Si deve, poi, aggiungere, che il primo motivo è inammissibile anche perché non è ravvisabile il vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5 c.p.c., nuova formulazione, applicabile al caso in esame ratione temporis.
11. Invero, affinché possano dirsi rispettati i dettami del suddetto articolo è necessario che la doglianza abbia ad oggetto il mancato esame del fatto da parte dell’organo giurisdizionale e la decisività del fatto dedotto, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ai fini della risoluzione della controversia.
12. Nel caso in specie, invece, la lettera di licenziamento è stata oggetto di vaglio da parte della Corte territoriale, la quale ha considerato il fatto veicolato nella prova documentale del tutto irrilevante nei termini del giudizio, in ragione della sua mancata aderenza con l’oggetto dell’impugnazione, ovverosia il licenziamento orale.
13. In questi termini, come evidenziato anche dalla Corte d’Appello, la lettera di licenziamento oggetto della doglianza non soddisfa quel grado di decisività e certezza tale che, da solo considerato, conduca ad un esito necessario della controversia (Cass. n. 171.96/2018).
14. Anche il secondo motivo è inammissibile.
15. La censura, come formulata, mira, in sostanza, ad un riesame nel merito del merito della vicenda, non consentita in sede di legittimità.
16. Va rilevato, infatti, che la doglianza concernente la violazione dell’art. 2697 e. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da qu1:!lla che ne risulta onerata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, gravando sulla ricorrente la prova della legittima irrogazione della sanzione espulsiva in ragione della infrazione perpetrata (Cass. n. 15107/2013; Cass. n. 13395/2018; Cass. n. 21460/2019; Cass. n. 12032/2020).
17. Nel caso in specie, invece, la doglianza riguarda più che altro l’apprezzamento del giudice circa la rilevanza o meno delle fonti di prova in merito all’illegittimità del licenziamento
18. L’errore di valutazione lamentato dalla ricorrente, dunque, travalica i limiti di sindacabilità nel giudizio di legittimità.
19. Per quanto attiene invece agli artt. 115 e 116 c.p.c., perché vi sia violazione degli stessi è necessario che si dia prova del fatto che il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso delle prove legali (Cass. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014; Cass. n. 1229/2019; Cass. n. 12032/2020).
20. Nel motivo di ricorso oggetto d’esame, invece, la lavoratrice chiede più che altro a questa Corte di pronunciarsi sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice del merito in ordine alle prove riguardanti l’illegittimità del licenziamento orale; le argomentazioni così sostenute dalla ricorrente si limitano, invero, a criticare sotto vari profili l’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello, con doglianze intrise di circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad attività asseritamente compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad aspetti di mero fatto tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di legittimità una valutazione di merito, inerente al contenuto dell’accertamento operato e ritenuto inadeguato da parte della Corte territoriale.
21. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
22. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
23. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQMI
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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