Corte di Cassazione, sezione II, ordinanza n. 6792 depositata il 14 marzo 2024
compenso professionale – prova della negligenza su chi la eccepisce
PREMESSO CHE
1. M.L. ha proposto opposizione contro il decreto che le aveva ingiunto il pagamento di euro 15.210,35 in favore dell’avvocato C.L., che l’aveva assistita per la parte di una causa di lavoro da lei promossa nei confronti dell’ex convivente, causa poi chiusasi con il rigetto della domanda. Con l’atto di citazione in opposizione l’opponente aveva chiesto al Tribunale di accertare che tra le parti era intercorso un accordo verbale per la determinazione del compenso e, in via subordinata, di accertare che la quantificazione del compenso era avvenuta sulla base di un valore della causa maggiore di quello effettivo alla luce dell’esito sfavorevole della lite; l’opponente chiedeva quindi di revocare il decreto ingiuntivo con la rideterminazione del compenso dell’avvocato. Il Tribunale di Venezia ha rigettato l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo. Il Tribunale ha ritenuto che non avessero rilievo questioni relative a rapporti di diversa natura intercorsi tra le parti nonché ad errori professionali in cui sarebbe incorso l’opposto, rilevando poi che l’opponente non aveva mai contestato l’avvenuto conferimento del mandato professionale e l’effettuazione delle attività di cui alle singole voci della parcella.
2. La sentenza di primo grado è stata impugnata da M.L., con atto articolato in due censure, anzitutto sostenendo che era onere dell’opposto fornire la prova di avere diligentemente effettuato le proprie prestazioni difensive (in particolare sostenendo che il difensore avrebbe, nel ricorso introduttivo, errato nel configurare il rapporto, sì da determinare il rigetto della domanda che con una diversa impostazione sarebbe stata accolta). La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza 10 aprile 2019, n. 1556, ha rigettato il gravame. La Corte ha ritenuto che, trattandosi di fatti avvenuti nell’autunno del 2005 e quindi prima della modifica dell’art. 2233 c.c. che ha reso necessaria la prova scritta ad substantiam del contratto di patrocinio, i rapporti tra le parti potevano essere stati validamente regolati con accordo verbale, accordo che secondo l’appellante avrebbe condizionato il compenso all’accoglimento della sua domanda nel merito, prevedendo in caso di successo la cifra forfettaria di euro 2.000 con l’ulteriore percentuale del 10% dell’importo riconosciuto dal giudice. Tale accordo, ad avviso del giudice d’appello, non è stato provato, essendo inattendibile la testimonianza della sorella e limitandosi gli altri testi a confermare che il C.L. aveva rispettato l’impegno di tenere indenne il domiciliatario delle spese anticipate e che l’appellante si era impegnata a saldare le competenze dell’avvocato una volta portata a compimento un’operazione finanziaria.
3. Avverso la sentenza M.L. ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso C.L., che anzitutto eccepisce l’inammissibilità del ricorso, in quanto l’atto, notificato a mezzo posta elettronica certificata, sarebbe sprovvisto di valida firma digitale, in violazione dell’art. 3-bis della legge n. 53/1994 e dell’art. 20 del codice dell’amministrazione digitale. L’eccezione non può essere accolta. Il ricorso è stato notificato in data 8 giugno 2019, ai sensi della legge n. 53/1994, all’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore del controricorrente con allegata procura speciale in formato analogico sottoscritta con firma autografa e trasformata in copia informatica di documento analogico, della quale è stata attestata la conformità all’originale dal quale è stata estratta ai sensi dell’art. 3-bis della legge n. 53/1994 e dell’art. 16-undecies del d.l. n. 179/2012, rispettando pertanto quanto previsto dalle suddette disposizioni (si veda al riguardo Cass. n. 6318/2023).
Memoria è stata depositata dalla ricorrente e dal controricorrente.
CONSIDERATO CHE
I. Il ricorso è articolato in due motivi.
1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c., nullità del procedimento e della sentenza, con specifico riferimento agli oneri probatori gravanti sul convenuto opposto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo: la Corte d’appello ha motivato la conferma del rigetto dell’opposizione in quanto l’appellante avrebbe dovuto specificamente criticare la condotta difensionale del professionista e avrebbe dovuto proporre una specifica domanda risarcitoria, presupposti che non vengono richiesti dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.
Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha interpretato i motivi di gravame incentrandoli sulla questione inerente al contenuto dell’accordo verbale intercorso tra le parti in merito alla determinazione del compenso e su quella relativa alla rispondenza delle voci indicate nella parcella del professionista al valore effettivo della causa, valore effettivo che l’appellante aveva preteso di riferire alla misura del proprio credito come riconosciuto nel processo in cui è stata assistita dall’avvocato, ossia pari a zero, essendo la domanda stata rigettata. Al riguardo la Corte d’appello ha ritenuto da un lato non provato il contenuto dell’accordo verbale, profilo non contestato dalla ricorrente, e dall’altro lato ha ritenuto generiche le critiche rivolte dall’appellante alla condotta difensionale del difensore, profilo in relazione al quale la ricorrente si limita a lamentare come la Corte non avrebbe considerato che, a fronte dell’eccezione di inadempimento dell’espletamento dell’attività, sarebbe onere del professionista provare l’attività svolta e la corretta applicazione della pertinente tariffa, questione diversa dalla violazione degli obblighi di diligenza da parte del professionista nello svolgimento di attività, di per sé non contestate. Come ha chiarito questa Corte, il giudizio circa l’ (in)adempimento di una prestazione professione si articola naturalmente in due passaggi: il primo riguarda il concreto compimento dell’attività in se stessa; il secondo l’averla compiuta secondo il canone della diligenza professionale prescritta. Né può ipotizzarsi che, secondo le regole dell’onere della prova, incomba al debitore della prestazione di facere dimostrare di avere agito con la prescritta diligenza: stando ai principi del sistema, l’allegazione di un comportamento negligente, secondo quanto espresso appunto dalla proposizione di un’eccezione di inadempimento, come quella in esame, si manifesta per sé come un fatto modificativo del diritto al compenso del creditore, con prova che, in quanto tale, si pone a carico dell’eccipiente ex art. 2697, comma 2, c.c. (così Cass. n. 13207/2021, v. anche Cass. n. 22087/2007 e Cass. n. 9237/2015).
Va però precisato che la Corte d’appello erra, laddove lamenta non solo la mancanza di specifiche critiche alla condotta difensionale del professionista, ma anche la mancata proposizione di una specifica domanda riconvenzionale risarcitoria, potendo la parte limitarsi a eccepire l’inadempimento di controparte senza dovere proporre apposita domanda risarcitoria.
2. Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1176, 1460 e 2236 c.c. in quanto la sentenza impugnata non ha applicato il principio di diritto, secondo cui l’avvocato che con negligenza abbia determinato la sua prestazione totalmente improduttiva di effetti in favore del proprio assistito non ha diritto ad alcun compenso: il professionista è tenuto a svolgere la propria prestazione usando la diligenza del buon padre di famiglia, dovere la cui violazione comporta inadempimento contrattuale e la perdita del diritto al compenso.
Il motivo non può essere accolto. La ricorrente si limita ad affermare che laddove l’errore professionale dell’avvocato si spinga a rendere del tutto inutile l’attività professionale pregressa, il medesimo non ha più diritto al compenso in quanto la sua attività non ha prodotto alcun effetto in suo favore senza specificare, come ha rilevato la Corte d’appello, quali condotte difensionali abbiano reso del tutto inutile l’attività professionale. Né valgono al riguardo i profili evidenziati dalla ricorrente nella memoria depositata in prossimità dell’adunanza (v. le pagg. da 3 a 7 dell’atto), trattandosi di attività in ogni caso tardivamente compiuta (la memoria depositata in prossimità dell’adunanza o della pubblica udienza non può infatti “integrare i motivi del ricorso per cassazione, poiché assolve all’esclusiva funzione di chiarire e illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente – cioè in maniera completa, compiuta e definitiva – enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione”, così da ultimo Cass. n. 8949/2023).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Il controricorrente ha in memoria chiesto la liquidazione delle spese del procedimento di cui all’art. 373 c.p.c. La richiesta non può essere accolta. Con esclusione del caso di accoglimento del ricorso con rinvio al giudice di merito, nel giudizio di legittimità può essere chiesta alla Corte di cassazione anche la liquidazione delle spese sostenute, davanti al giudice di appello, per lo svolgimento della procedura di sospensione dell’esecuzione della sentenza ai sensi dell’art. 373 c.p.c..; tuttavia, “affinché sia rispettato il principio del contraddittorio, tale richiesta è esaminabile a condizione che l’interessato produca, ai sensi dell’art. 372, secondo comma, c.p.c., una specifica e documentata istanza, comprensiva dei relativi atti, in modo da offrire alla controparte la possibilità di interloquire sul punto” (così Cass. n. 3341/2009). È vero che il deposito di cui all’art. 372 può avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, ma deve essere effettuato – così la formulazione introdotta dall’art. 3, comma 27, lett. h, del d.lgs. n. 149 del 2022, applicabile al caso in esame in quanto l’adunanza è stata fissata dopo il 1° gennaio 2023 – “fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio”. Tale termine, di natura perentoria (Cass. n. 29933/2023), non è stato rispettato nel caso in esame, essendo la memoria stata depositata l’11 novembre 2023, ossia solo dieci giorni prima dell’adunanza. Il controricorrente ha poi chiesto di condannare la ricorrente per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, terzo comma c.p.c., ma tale richiesta è inammissibile essendo stata anch’essa proposta con la memoria depositata in prossimità dell’adunanza e non con il controricorso (vedere al riguardo Cass. n. 20914/2011) e il Collegio non ritiene di procedervi d’ufficio, non ravvisando la sussistenza dei presupposti della mala fede o colpa grave della parte soccombente (si veda al riguardo, da ultimo, Cass. n. 19948/2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente, che liquida in euro 3.600, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 7053 depositata il 28 febbraio 2022 - Costituisce esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell'art. 348 cod. pen., non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 12282 depositata il 16 aprile 2020 - Integra il reato di esercizio abusivo di una professione, il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 20962 del 1° luglio 2022 - Nel riparto ed il contenuto dell'onere della prova in materia di inerenza spetta al contribuente l'onere della prova "originario", che quindi si articola ancora prima dell'esigenza di…
- Corte di Cassazione, ordinanza n. 4619 depositata il 14 febbraio 2023 - Qualora l'Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, incombe…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 5396 depositata il 29 febbraio 2024 - In tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo e non è suscettibile, in…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 16 novembre 2021, n. 34651 - In tema di IVA, qualora l'Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti [..] incombe sulla stessa l'onere di provare [.] anche in…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Gli amministratori deleganti sono responsabili, ne
La Corte di Cassazione, sezione I, con l’ordinanza n 10739 depositata il…
- La presunzione legale relativa, di cui all’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10075 depos…
- Determinazione del compenso del legale nelle ipote
La Corte di Cassazione, sezione III, con l’ordinanza n.10367 del 17 aprile…
- L’agevolazione del c.d. Ecobonus del d.l. n.
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 7657 depositata il 21 ma…
- In caso di errori od omissioni nella dichiarazione
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10415 depos…