CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 3852 depositata il 12 febbraio 2024
Lavoro – Demansionamento – Cessazione dell’incarico temporaneo di “capo team” – Trasferimento – Errore revocatorio – Inammissibilità
Ritenuto in fatto
1. O.P. ha presentato ricorso per la revocazione dell’ordinanza di questa Corte n. 7209/2023, del 10 marzo 2023, la quale, a propria volta, nel contraddittorio con la controricorrente AGENZIA DELLE ENTRATE, ha respinto il ricorso presentato dallo stesso O.P. avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 521/2020 del 30 novembre 2020.
2. O.P., dipendente dell’AGENZIA DELLE ENTRATE inquadrato nella terza area funzionale del C.C.N.L., aveva agito, innanzi il Tribunale di Lecce, chiedendo di accertare il demansionamento subito per effetto della cessazione dell’incarico temporaneo di “capo team” ricoperto precedentemente al trasferimento presso l’ufficio di Lecce e poi di Maglie e di condannare AGENZIA DELLE ENTRATE al conseguente risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
Il giudizio in tal modo instaurato si era poi – in sintesi – sviluppato:
− nella sentenza 4 marzo 2011, con la quale il Tribunale di Lecce aveva respinto le domande del ricorrente, ritenendo che le nuove mansioni cui il ricorrente era stato assegnato rientrassero nel profilo di appartenenza;
− nella sentenza 25 marzo 2014, con la quale la Corte di Appello di Lecce, in accoglimento dell’appello proposto da O.P., aveva invece ritenuto sussistente il demansionamento, condannando AGENZIA DELLE ENTRATE al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali;
− nell’ordinanza di questa Corte n. 18561/2019 del 9 maggio 2019, con la quale era stato accolto il ricorso di AGENZIA DELLE ENTRATE, cassando con rinvio la decisione impugnata, avendo questa Corte osservato – sulla scorta di propri precedenti – che in tema di lavoro pubblico negli enti locali, il conferimento di una posizione organizzativa non comporta l’inquadramento in una nuova categoria contrattuale ma unicamente l’attribuzione di una posizione di responsabilità, con correlato beneficio economico, con la conseguenza che la revoca di tale posizione non costituisce demansionamento e non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 52, D. Lgs. 165/2001, trovando applicazione il principio di turnazione degli incarichi, in forza del quale alla scadenza il dipendente resta inquadrato nella categoria di appartenenza, con il relativo trattamento economico;
− nella sentenza n. 521/2020 del 30 novembre 2020, pronunciata dalla Corte d’appello di Lecce in sede di rinvio ex art. 384 c.p.c., che aveva respinto il gravame avverso la sentenza del Tribunale di Lecce;
− nell’ordinanza di questa Corte n. 7209/2023, del 10 marzo 2023 – oggetto dell’impugnazione straordinaria ora in decisione – che aveva respinto il ricorso proposto da O.P..
3. In tale ultima sede, questa Corte aveva preliminarmente perimetrato l’oggetto del giudizio di rinvio, chiarendo che lo stesso avrebbe dovuto ritenersi circoscritto alla rivalutazione del lamentato demansionamento in relazione al mutamento di mansioni ed alla revoca dell’incarico di capo team, mentre dall’orizzonte decisorio del giudizio medesimo doveva ritenersi escluso il profilo del presunto carattere ritorsivo degli atti datoriali, in quanto lo stesso non aveva costituito la ratio della prima decisione della Corte d’appello di Lecce.
Operato questo chiarimento, questa Corte – in sintesi – aveva rilevato che la Corte territoriale, in sede di rinvio, aveva comunque compiuto la valutazione che le era stata effettivamente rimessa da questa Corte – vale a dire la riconsiderazione dell’inadempimento di AGENZIA DELLE ENTRATE – ed aveva disatteso i motivi di ricorso di O.P., rilevando, tra l’altro, che gran parte degli stessi investivano, ancora una volta, il profilo delle asserite condotte ritorsive di AGENZIA DELLE ENTRATE, e cioè profilo privo di decisività in quanto estraneo al perimetro del giudizio di rinvio.
4. Al ricorso per revocazione di O.P. resiste con controricorso AGENZIA DELLE ENTRATE.
5. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la nullità dell’ordinanza impugnata, ex artt. 158 e 161 c.p.c. in quanto del collegio giudicante che ha emesso il provvedimento impugnato ha fatto parte anche un consigliere – la dott.ssa C.M. – che aveva già composto il collegio che aveva pronunciato l’ordinanza di questa Corte n. 18561/2019 del 9 maggio 2019, e cioè la decisione concernente il ricorso avverso la prima sentenza della Corte d’appello di Lecce.
Deduce, quindi, il ricorrente che detto consigliere aveva già conosciuto, in precedenza, della causa de qua e doveva ritenersi incompatibile, con la conseguenza che la sua presenza nel collegio giudicante dell’ordinanza ora impugnata varrebbe a rendere quest’ultima nulla.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., la nullità della ordinanza impugnata, ex artt. 101, secondo comma; 112; 384, terzo comma, c.p.c.
Argomenta il ricorrente che nella propria precedente decisione questa Corte avrebbe “riperimetrato d’ufficio” la questione che era oggetto del giudizio di rinvio, senza concedere alle parti un termine per dedurre e senza che sul punto vi sia stato contraddittorio.
Deduce, quindi, il ricorrente che “l’Ordinanza nr 7209/2023, dunque, è da considerare, una pronuncia “Nulla”, cosiddetta della “Terza Via”, anche nella evidente considerazione che vi è stato pure l’ulteriore “errore di fatto”, ex art 395, 4° co., c.p.c., così per come nel successivo Motivo di seguito si rappresenterà”.
1.3. Il terzo motivo di ricorso è – testualmente – rubricato “REVOCAZIONE DELLA ORDINANZA NR 7209/2023, IMPUGNATA, EX ART 391 BIS E 395, CO. 1, NR 4, C.P.C, NONCHÉ ART. 112 C.P.C. IN RELAZIONE ALL’ART. 360, CO. 1, NR 3, 4 E 5 C.P.C., IN QUANTO LA PRONUNCIA È L’EFFETTO DI UN ERRORE DI FATTO RISULTANTE DAGLI ATTI E/O DOCUMENTI DELLA CAUSA NONCHE’ DA OMISSIONE DI PRONUNCIA”.
Il motivo è articolato in quelli che il ricorrente designa come “sub-motivi”, e nei quali si deduce che la decisione impugnata:
I) avrebbe omesso di valutare i profili concernenti “il trasferimento illegittimo e la “revoca ante tempus” dell’incarico organizzativo”, limitandosi in tal modo ad esaminare solo la fattispecie riguardante la cessazione dell’incarico “che è connaturata all’incarico stesso e non comporta una dequalificazione, supponendo, erroneamente, che fosse stata questa la questione controversa da dirimere”;
II) avrebbe non correttamente esaminato e valutato il quinto motivo dell’originario ricorso in quanto avrebbe erroneamente ritenuto che lo stesso concernesse esclusivamente il profilo ritorsivo, laddove il ricorrente avrebbe dedotto il vizio della sentenza della Corte d’appello di Lecce in quanto la stessa, pur escludendo un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi dedotti dal ricorrente medesimo avrebbe dovuto comunque accertare, previamente, la sussistenza od eventualmente l’insussistenza della causale posta a fondamento del trasferimento illegittimo disposto nei confronti del ricorrente.
2. Deve essere disattesa, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilità del controricorso, sollevata dal ricorrente in quanto il controricorso sarebbe stato depositato a mezzo PEC, utilizzando la casella di posta certificata di un nominativo diverso dal legale che ha poi sottoscritto l’atto, con firma certificata.
L’infondatezza discende dal fatto che l’Avvocatura dello Stato detiene, ex lege, il patrocinio delle Amministrazioni dello Stato senza che rilevi il nominativo del singolo avvocato incaricato di seguire il procedimento, stante la fungibilità dei ruoli all’interno dell’Ufficio, al punto che questa Corte ha già da tempo affermato, in relazione agli atti depositati dall’Avvocatura dello Stato, l’irrilevanza sia dell’assenza nell’atto depositato dell’indicazione nominativa dell’avvocato dello Stato da cui è stato redatto, essendo sufficiente che il ricorso risulti sottoscritto da uno di tali avvocati stante la loro fungibilità nell’esercizio delle funzioni di rappresentanza processuale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7011 del 26/07/1997), sia della illeggibilità della sottoscrizione posta in calce all’atto – salvo che si contesti che la sottoscrizione provenga da un legale dell’Avvocatura Generale dello Stato – non rilevando neanche se la sottoscrizione si identifichi o meno con il nominativo indicato nell’epigrafe o in calce al ricorso (Cass. Sez. U, Sentenza n. 59 del 13/02/1999).
Alla luce di tali principi, ribadito il principio di fungibilità degli avvocati operanti all’interno dell’Avvocatura dello Stato, la quale svolge le proprie funzioni come Ufficio, indipendentemente dal nominativo dei singoli suoi avvocati, deve ritenersi irrilevante il fatto che un atto recante la sottoscrizione con firma digitale di uno degli appartenenti all’Ufficio dell’Avvocatura dello Stato venga depositato utilizzando la casella di posta elettronica di un altro avvocato ivi operante, eccezion fatta per l’ipotesi – che nella specie non ricorre – in cui con tale contestazione si intenda dedurre – in modo univoco – che l’atto non è di provenienza della stessa Avvocatura dello Stato.
3. Il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile.
Si deve, infatti, rilevare che l’odierno ricorrente viene a proporre nella presente sede due soli motivi di rescissorio, a fronte degli originari sette motivi originariamente formulati nel ricorso presentato a questa Corte ed esaminati dall’ordinanza di cui ora si chiede la revocazione.
Questi motivi, peraltro, non risultano neppure coincidenti con gli originari motivi, dal momento che solo il secondo motivo risulta in parte coincidente con l’originario quarto motivo di ricorso.
Orbene, il ricorso per revocazione delle sentenze emesse dalla Corte di cassazione ha ad oggetto, da un lato, la fase rescindente, che mira ad eliminare la precedente decisione affetta dal vizio revocatorio, e, dall’altro lato la fase rescissoria, che ha ad oggetto la richiesta di decisione sull’originario ricorso attraverso la riproposizione degli argomenti in esso riportati (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 24203 del 14/11/2006; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12816 del 03/09/2002).
Si deve, quindi, ritenere che la parte che agisce per revocazione della precedente decisione della Corte di cassazione non possa in alcun modo procedere alla modifica dei contenuti dell’originario ricorso, determinando tale modificazione l’inammissibilità complessiva del ricorso.
3. Solo per completezza quindi, si deve aggiungere che anche i singoli motivi del ricorso ora in esame sono in ogni caso inammissibili.
3.1. Quanto al primo motivo, si deve rilevare che lo stesso non viene assolutamente a dedurre un errore di fatto, ma un (ipotetico) profilo di nullità della precedente decisione di questa Corte, il quale non può essere dedotto con il mezzo di impugnazione ex art. 395, n. 4), c.p.c., avendo questa Corte già chiarito che il carattere di impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati nell’art. 395 c.p.c., comporta l’inammissibilità di ogni censura non compresa in detta tassativa elencazione ed esclude, di conseguenza, anche la deduzione del vizio di inesistenza o di nullità radicale della sentenza (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9865 del 07/05/2014).
Va, del resto, rammentato che questa Corte ha costantemente affermato il principio per cui qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il collegio può essere composto anche con magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, ciò non determinando alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 1542 del 25/01/2021; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 30646 del 2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3980 del 29/02/2016).
3.2. Quanto al secondo motivo, ancora una volta ci si trova di fronte alla deduzione di un profilo che esorbita radicalmente dal limite di cui all’art. 395, n. 4), c.p.c., non senza richiamare ulteriormente il principio per cui la denuncia del mancato rispetto da parte del giudice di rinvio del decisum della sentenza di cassazione concreta denuncia di error in procedendo – per aver operato il giudice stesso in ambito eccedente i confini assegnati dalla legge ai suoi poteri di decisione – per la cui verifica la Corte di cassazione ha tutti i poteri del giudice del fatto in relazione alla ricostruzione dei contenuti della sentenza rescindente, la quale va equiparata al giudicato, con la conseguenza che la sua interpretazione deve essere assimilata all’interpretazione delle norme giuridiche (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 6344 del 05/03/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3955 del 19/02/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6461 del 25/03/2005).
Principio, quest’ultimo, che vale ad evidenziare che, nel caso in esame, questa Corte, nel valutare il perimetro della propria precedente decisione, ha semplicemente interpretato il proprio giudicato rescindente – equiparato ad una norma – e conseguentemente un profilo di puro diritto che si colloca al di fuori dell’art. 101, secondo comma, c.p.c. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 27478 del 27/09/2023; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 1617 del 19/01/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 30716 del 27/11/2018).
3.3. Quanto al terzo motivo, in relazione ad entrambi i “sub-motivi”, si deve rilevare che lo stesso imputa a questa Corte una errata lettura ed interpretazione dei motivi dell’originario ricorso, ponendosi ancora una volta al di fuori della fattispecie dell’errore revocatorio, la quale è configurabile solo nelle ipotesi in cui questa Corte sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo, laddove non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perché in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3760 del 15/02/2018; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10466 del 12/05/2011), dovendosi ribadire il principio per cui non è idonea ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui agli artt. 391 bis e 395, n. 4) c.p.c., la valutazione, ancorché errata, del contenuto degli atti di parte e della motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di vizio costituente, in ipotesi, errore di giudizio e non di fatto (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 10184 del 27/04/2018).
4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
5. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.000,00 oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
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