Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 10639 depositata il 18 aprile 2024

frode fiscale – autoriciclaggio

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 18/12/2023, ha rigettato l’istanza di riesame presentata da S.R. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli il 28/09/2023 in relazione all’imputazione allo stesso elevata al capo m) della rubrica per il delitto di autoriciclaggio.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione S.R., per mezzo dei suoi difensori, con due distinti atti, deducendo motivi che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’articolo 173 disp. att. cod. proc. pen.

3. Ricorso Avv. M..

3.1. Violazione di legge per erronea applicazione degli articoli 321 cod. proc. pen. ed art. 648-ter.1 cod. pen. per assenza del fumus commissi delicti del reato di cui al capo m) della rubrica; la prima doglianza, nella prospettazione difensiva, riguarda la configurabilità del reato di autoriciclaggio per assenza del fumus commissi delicti del reato di cui al capo m) della rubrica, unico titolo in relazione al quale è stato applicato il sequestro preventivo del Gip. In particolare, la difesa ha sostenuto che non possa essere configurato l’autoriciclaggio nella condotta contestata di aver pagato fornitori e tributi con il provento di reati di frode fiscale; mancherebbe in sostanza l’idoneità concreta della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza illecita della provvista. Nella prospettazione difensiva la norma richiede condotte dissimulatorie, che realizzano l’ostacolo in ordine alla provenienza delittuosa. Nell’ambito dello stesso motivo la difesa ha dedotto, inoltre, erronea applicazione dell’art. 648-ter.1 cod. pen., atteso che il Tribunale ha erroneamente interpretato la disciplina richiamata, escludendo che la condotta dissimulatoria sia parte tipica ed elemento costitutivo della condotta di autoriciclaggio. L’espletamento di normale e doverosa attività aziendale (pagamento debiti verso fornitori e debiti dell’erario) non poteva essere individuato come l’attività decettiva richiesta dalla norma.

3.2. “Violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 321 cod. pen. in relazione al delitto di cui all’art. 648-ter.1. cod. pen.”, per assenza del profitto sequestrabile e confiscabile di cui al capo m) della rubrica; è assente un profitto del reato di autoriciclaggio, autonomamente sottoponibile a sequestro; il denaro utilizzato era esattamente lo stesso proveniente dalla frode fiscale, senza produrre alcun utile o ulteriore profitto, in mancanza di qualsiasi incremento del patrimonio della società; la nozione di profitto dell’autoriciclaggio adottata (evidente effetto favorevole dal punto di vista patrimoniale per il risparmio di spesa conseguente) trascura che non vi è alcun accrescimento del patrimonio della società.

3.3. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 321 cod. proc. pen. e art. 648-ter.1 cod. pen. per improcedibilità dell’azione penale per violazione del principio del ne bis in idem in relazione al capo m) della rubrica per completa assenza di motivazione sul punto; nonostante quanto affermato dal Tribunale, la lettura dei capi c) ed e) del procedimento instauratosi a Trieste evidenzia che i reati oggetto di condanna sono sempre quelli di cui agli art. 3 ed 8 del d. lgs. n. 74 del 2000, comprendenti anche fatture per operazioni ritenute insussistenti, tra le quali si devono ritenere comprese anche le fatturazioni tra Petrolifera e Anthony Group oggetto del presente procedimento.

3.4. Sono stati inoltre proposti motivi nuovi, con i quali sono state reiterate, ad integrazione e con richiamo di giurisprudenza, le censure articolate con il ricorso principale

4. Ricorso Avv. A.

4.1. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 648-ter.1 cod. pen., attesa la contestazione dei reati finanziari, considerati reato presupposto dell’autoriciclaggio, in un momento successivo all’anno di imposta 2017, momento nel quale si sarebbe commesso il reato oggetto di contestazione al capo m); le presunte operazioni di reimpiego sono tutte precedenti al perfezionamento dei reati fiscali, che si possono ritenere integrati solo al momento della presentazione della documentazione fiscale non veritiera; il giudice non solo non ha vagliato la sussistenza del fumus delicti del delitto presupposto, ma non ha neanche compiutamente individuato le singole condotte astrattamente integranti i reati tributari presupposto, né le singole condotte di reimpiego derivanti da tali reati, trascurando di riscontrare il requisito della necessaria anteriorità del reato presupposto.

4.2. Violazione di legge e vizio della motivazione perché apparente quanto alla ricorrenza del fumus commissi delicti del delitto di autoriciclaggio, per carenza dell’elemento costitutivo della dissimulazione; il collegio in sostanza ha negato rilevanza alla clausola modale rappresentata dalla dizione “in modo da ostacolare concretamente l’identificazione”, senza tenere in conto le argomentazioni articolate con la memoria depositata; il percorso del denaro nel caso in esame è sempre stato perfettamente tracciabile, con schema lineare e senza mutamento della titolarità giuridica del profitto illecito, con la conseguenza che il delitto di autoriciclaggio non si può ritenere perfezionato.

4.3. Violazione di legge e vizio della motivazione perché apparente in relazione alla ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.; la motivazione è del tutto generica ed astratta e richiama semplicemente il principio secondo il quale tale aggravante può essere estesa al concorrente consapevole della finalità agevolatrice perseguita dai compartecipi.

4.4. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 640-quater cod. pen. a fronte della mancata individuazione del profitto di autoriciclaggio sequestrabile.

4.5. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al principio del ne bis in idem sostanziale e processuale in considerazione della preesistenza di altre misure ablative riguardanti i medesimi beni. I fatti oggetto della odierna contestazione erano già stati contestati nel procedimento pendente a Trieste e ora in fase di appello; la condanna di S.R. per i reati di cui ai capi c) ed e) per i reati di cui agli artt. 3 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000 è relativa alle medesime fatture contemplate dal consulente del Pubblico Ministero per individuare le provviste utilizzate per l’ipotizzato autoriciclaggio; la motivazione nel ritenere differenti e non conciliabili le due condotte di reimpiego delle somme derivanti da fatture per operazioni inesistenti è gravemente illogica.

5. Il Procuratore generale ha concluso concludendo per l’annullamento con rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via preliminare, occorre considerare come secondo il diritto vivente il sindacato della Corte di cassazione in tema di ordinanze del riesame relative a provvedimenti reali è circoscritto alla possibilità di rilevare ed apprezzare la sola violazione di legge, così come dispone testualmente l’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.: una violazione che la giurisprudenza ormai costante di questa Corte, uniformandosi al principio enunciato da Sez. U, n. 5876, del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710-01, riconosce unicamente quando sia constatabile la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlata alla inosservanza di precise norme processuali”. (Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266789-01; Sez. 2, n. 45865 del 04/10/2019, Lanzone; Sez. 6, n. 10446 del 10/01/2018, Aufiero, Rv. 272336-01; Sez. 2, n. 18951 del 17/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01, Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692-01).

2. In tema di sequestro preventivo è, difatti, costante l’orientamento secondo il quale “non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il “fumus commissi delicti”, vale a dire l’astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato.” (Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014, PM c. Zagarrio, Rv. 258279- 01, Sez. 5, n. n. 3722 del 11/12/2019, Gheri, Rv. 278152-01), correlata all’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato.

3. Il Tribunale ha svolto nel caso in esame, con un’ampia motivazione, con la quale il ricorrente non si confronta effettivamente, un concreto ruolo di garanzia, senza limitarsi a prendere atto della tesi accusatoria, considerando adeguatamente le osservazioni critiche della difesa circa la sussistenza della fattispecie richiamata nel provvedimento, esaminando così in modo completo l’integrale ricorrenza dei presupposti che legittimano il sequestro. Difatti, è stato evidenziato l’insieme degli elementi che possono far ritenere verosimile la commissione del reato richiamato in imputazione provvisoria, evidenziando plurimi elementi significativi in tal senso.

4. I ricorsi proposti devono, dunque, essere rigettati, anche quanto alle ulteriori allegazioni introdotte con i motivi nuovi, perché infondati.

5. In primo luogo, occorre osservare come le argomentazioni introdotte dal secondo ricorso con il primo motivo non siano consentite, atteso che tali elementi, oltre che articolati in modo del tutto generico, non sono stati sottoposti al Tribunale del riesame, ma risultano introdotti per la prima volta in questa sede. Deve essere sul punto richiamato il principio affermato da questa Corte, che qui si intende ribadire, secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale del riesame con cui si deducano, per la prima volta, in sede di legittimità, motivi di censura inerenti al decreto di sequestro preventivo che non avevano costituito oggetto di doglianza dinnanzi allo stesso Tribunale (Sez. 2, n. 9434 del 27/01/2023, Calidendo, Rv. 24419-01).

6. I primi tre motivi del ricorso dell’Avv. M. e il secondo, quarto e quinto motivo del ricorso dell’Avv. A., oltre ai motivi nuovi depositati dall’Avv. M., possono essere trattati congiuntamente, essendo sostanzialmente sovrapponibili nelle argomentazioni giuridiche proposte, anche se posti da prospettive diverse. Le difese hanno sostanzialmente censurato la possibilità di giungere alla emissione della misura cautelare reale in assenza di attività dissimulatoria da parte del ricorrente. I motivi in tal senso proposti si caratterizzano per la loro oggettiva reiteratività rispetto alle argomentazioni proposte dinnanzi al Tribunale del riesame, senza confrontarsi con la motivazione ampia, argomentata e logica resa dal Tribunale sul punto. È stata, difatti, richiamata l’origine del presente procedimento, il collegamento con un ampio ed articolato meccanismo elusivo mediante la realizzazione e gestione, strutturata per mezzi e persone, di società cartiere quale riscontrato e non contestato reato presupposto, l’importanza e la rilevanza economica di tale meccanismo, il conseguente utilizzo mediante condotte auto-riciclatorie dei proventi del reato presupposto, riscontrata da una analisi tecnica condivisa e considerata in modo approfondito dal Tribunale, secondo principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità e correttamente applicati (pag. 8 e seguenti), con i quali il ricorrente non si confronta.

Nell’affrontare i temi devoluti il Tribunale ha, dunque, correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale in tema di sequestro preventivo sussiste il fumus del delitto di autoriciclaggio nell’ipotesi di versamento di denaro (provento del delitto di appropriazione indebita nel caso esaminato) per estinguere debiti ed ipoteche immobiliari, atteso che tale condotta realizza la “sostituzione” del profitto del reato presupposto, che assume diversa destinazione e transita nella disponibilità di altro soggetto giuridico (esattamente come nel caso in esame), consentendo all’imputato di godere di beni liberi da vincoli reali (e nel caso di esame di affrontare i pesi che riguardano la gestione aziendale sia quanto al pagamento di debito erariale, che quanto all’adempimento di debiti verso i fornitori) (Sez. 2, n. 35260 del 0/09/2021, Pari, Rv. 21942-01). Ed è proprio il tema della sostituzione del profitto del profitto del reato presupposto ad essere elemento centrale e risolutivo nella valutazione del Tribunale, con il quale il ricorrente non si confronta, insistendo nel richiamo alla attività dissimulatoria, che non rappresenta elemento imprescindibile e necessario al fine di ritenere integrato il reato di autoriciclaggio oggetto di imputazione provvisoria.

In tal senso, si è anche chiarito che in tema di autoriciclaggio, la clausola di non punibilità di cui all’art. 648-ter.1, comma quarto, cod. pen. (attualmente prevista al comma quinto della medesima norma) non opera in favore dell’autore del delitto presupposto che, avendo conseguito profitti illeciti in denaro, effettui sia operazioni di movimentazione bancaria, sia plurimi acquisti di beni mobili ed immobili anche a sé intestati, posto che, in tal modo, ostacola l’accertamento dell’origine illecita delle somme di denaro impiegate (Sez. 2, n. 4855 del 22/12/2022, dep. 2023, Guido, Rv. 284390-01).

Nel caso in esame è stata, dunque, ricostruita dal Tribunale, con motivazione logica, ampia ed approfondita, che non si presta a censure in questa sede, una chiara condotta volta ad ostacolare l’accertamento in ordine alla origine illecita delle somme impiegate. Deve essere, in tal senso, ribadito che in tema di riciclaggio ed autoriciclaggio, la lecita vestizione delle somme, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto, derivando da una successiva condotta di impiego, sostituzione o trasferimento, costituisce il risultato empirico dell’attività delittuosa “ed è proprio in forza di tale variegata condotta che le risorse di provenienza delittuosa, pur essendo legate da un nesso di derivazione causale con il delitto presupposto, assumono una diversa veste giuridica naturalistica, in quanto dotate – a seguito dell’operata trasformazione – di una loro autonoma individualità sia per causa che per effetto”. Ne consegue, quindi, un fenomeno di “autonomizzazione” di quella che “da un punto di vista economico potrebbe qualificarsi come la provvista del “nuovo illecito trasformativo”, non soltanto della res in quanto tale, ma anche della sua stessa destinazione funzionale che muta da quella originaria” (Sez. 2, n. 37754 del 07/12/2023, Melandri; Sez. 2, n. 6024 del 09/01/2024, Albanese, Rv. 285933-01). I principi appena affermati non appaiono incisi dall’unica decisione in senso contrario richiamata dalla difesa nei motivi nuovi, che affronta secondo una prospettiva limitata e parzialmente diversa, un caso simile secondo una impostazione interpretativa del tutto minoritaria.

6.1. Il Tribunale ha, quindi, compiutamente considerato il tema del profitto dell’autoriciclaggio, facendo corretta applicazione dei principi già affermati da questa Corte, che qui si devono intendere ribaditi, sebbene relativi a diverso reato presupposto, secondo i quali in tema di sequestro preventivo, ricorre il “fumus” del delitto di autoriciclaggio nell’ipotesi di versamento di denaro, provento del delitto presupposto, presso un istituto bancario o per acquisti immobiliari, o mediante la realizzazione di una serie di fatturazioni per operazioni inesistenti, atteso che tali condotte realizzano in modi diversi ed efficienti la “sostituzione” del profitto del reato presupposto predetto, che assume diversa destinazione e transita nella disponibilità di altro soggetto giuridico o consente la confluenza di un bene immobile nel patrimonio, permettendo, inoltre, all’imputato di godere dei beni e denaro senza che sia immediatamente tracciabile la provenienza illecita, tra l’altro essendo irrilevante che l’operazione sia tracciabile, ricorrendo comunque un ostacolo all’individuazione del compendio delittuoso (Sez. 2, n. 35260 del 08/09/2021, Pari, Rv. 281942-01; Sez.2, n. 37754 del 07/12/2023, Melandri). Sono state, quindi, compiutamente affrontate tutte le censure difensive, tra l’altro reiterate in questa sede, in assenza di violazione di legge, con una motivazione che certamente non si può ritenere né assente, né apparente o mancante o ancora basata su travisamento.

6.2. I principi appena richiamati rendono evidente come non ricorra alcun bis in idem in relazione ai reati oggetto di accertamento e condanna presso il Tribunale e la Corte di appello di Trieste, come compiutamente evidenziato dal provvedimento evidenziato con motivazione che non si presta a censure al paragrafo 6, nell’ambito del quale il Tribunale ha richiamato le caratteristiche del reato presupposto e la assoluta diversità delle condotte oggetto di contestazione, con particolare riferimento alle diverse attività poste in essere per trasformare il profitto del reato presupposto. Anche in questo caso ricorre, dunque, una motivazione puntuale, certamente non apparente, in assenza di qualsiasi violazione di legge, anche in considerazione della possibilità che più provvedimenti di sequestro possano essere disposti per reati diversi, potendo appunto le diverse misure concorrere.

6.3. Il terzo motivo proposto con il secondo ricorso è manifestamente infondato, attesa l’evidente carenza di interesse a sollevare in questa sede il tema relativo alla ricorrenza della aggravante contestata, in mancanza di qualsiasi allegazione che indichi ed evidenzi in modo inequivoco una qualsiasi eventuale incidenza in tema di procedibilità.

7. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.