Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 12680 depositata il 22 aprile 2020

reati tributari – sequestro preventivo – dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 11 ottobre 2019, e depositata in data 11 novembre 2019, il Tribunale di Bologna, Sezione per il riesame, per quanto di interesse in questa sede, ha rigettato la richiesta di riesame proposta da N.Z., quale legale rappresentante della “N.G. s.r.l.” avverso il provvedimento del G.i.p. del Tribunale di Genova che aveva disposto, in primo luogo, il sequestro preventivo di somme di denaro nella disponibilità della precisata società fino a concorrenza dell’importo di 1.133.176,91 euro.

Il sequestro è stato ordinato su tali somme, in quanto le stesse sono ritenute profitto del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti relativa all’anno 2017, commesso al fine di evadere l’I.V.A. per un importo di 1.133.176,91 euro, ed è stato eseguito interamente su conti correnti della società “N.G. s.r.l.”. Il reato è contestato a N.Z., nella sua qualità di legale rappresentante della “N.G. s.r.l.”, ed è ipotizzato come commesso mediante la registrazione e l’utilizzazione, da parte di tale impresa, delle fatture relative agli acquisti di prodotti petroliferi formalmente provenienti da due società “cartiere”, la “A. s.r.l.” e la “S.P. s.r.l.” – le quali, pur emettendo regolari fatture, omettevano di versare all’erario l’I.V.A. dovuta -, ma in realtà forniti dalla ditta “D.V. s.r.l.”.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe N.Z., nella qualità di legale rappresentante della “N.G. s.r.l.”, con atto a firma dell’avvocato Z.M., articolando due motivi.

2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 321 cod. proc. pen. e 2 d.lgs. n. 74 del 2000, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del fumus commissi delicti del reato in contestazione e per il quale si è proceduto al sequestro.

Si deduce, innanzitutto, che, pur volendo ipotizzarsi la natura fittizia delle società “A. s.r.l.” e “S.P. s.r.l.”, l’ordinanza impugnata erroneamente ritiene configurabile l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto ricorre ad un paradigma di responsabilità colposa. Si rappresenta che indicativo di tale errore è il reiterato riferimento alla mancata diligenza dell’indagata nel verificare l’illiceità delle condotte delle due società formalmente cedenti i prodotti petroliferi, e che non può postularsi un rovesciamento dell’onere probatorio a carico dell’indagato circa l’assenza del dolo. Si osserva, poi, che la violazione dell’obbligo di agire informato, gravante sull’amministratore di una società a norma dell’art. 2932 cod. civ., non implica automaticamente la sussistenza del dolo del medesimo. Si rappresenta, inoltre, che l’indizio desunto dalle modalità di pagamento, effettuato successivamente alla fornitura, poggia su su massime di esperienza inesistenti: invero, anche altri fornitori della ditta della ricorrente praticano forniture verso pagamenti differiti a 30 giorni, come, ad esempio, la “SARAS”, primaria compagnia di bandiera, e, comunque, in altri analoghi procedimenti, anche il comportamento opposto è stato ritenuto indiziante.

Si deduce, in secondo luogo, che non è comunque configurabile il dolo, e tato meno il dolo specifico, valorizzando elementi indicativi di colpa. Si premette che l’emittente le fatture soggettivamente inesistenti è mosso non dalla finalità di consentire l’evasione del destinatario, ma esclusivamente dalla finalità di introitare quanto dovrebbe versare all’Erario a titolo di I.V.A. e si ripromette, però, di non versare. Si inferisce, come conseguenza di tale premessa, che l’emittente le fatture soggettivamente inesistenti attua una strategia decettiva anche nei confronti del cessionario. Si osserva, poi, che non possono costituire indizi di dolo: a) la produzione della visura camerale della “A. s.r.l.” solo davanti al Tribunale del riesame, e non già in sede di verifica fiscale, in quanto nessuna preclusione discende dalla legge; b) la prosecuzione dei rapporti nonostante la sottoposizione della “A. s.r.l.” a verifica fiscale, siccome non vi sono elementi per ritenere la conoscenza di tale circostanza da parte dell’indagata; c) l’omessa richiesta di documenti alla “S.P. s.r.l.”, perché indicativa di una semplice omissione. Si rappresenta, quindi, che la colpa è una forma di colpevolezza strutturalmente diversa rispetto al dolo, come conferma anche la giurisprudenza (si cita Sez. 4, n. 7032 del 19 luglio 2018, dep. 2019), e che questo profilo non può essere superato né ipotizzando la configurabilità del dolo eventuale, né valorizzando l’indizio desumibile dalla vantaggiosità del prezzo di acquisto del prodotto: sotto il primo profilo, si rileva che non vi sono elementi idonei a supportare l’esistenza di un dubbio irrisolto, anche perché la “N.G. s.r.l.” aveva chiesto, per il tramite del mediatore Orlandi, visure camerali e Mod. F24 alla “A. s.r.l.”; con riguardo al secondo profilo, si segnala che l’ordinanza ha omesso di considerare fatture prodotte in udienza e documentanti come per due volte, la “N.G. s.r.l.” aveva acquistato, nello stesso giorno, da altre ditte prodotti petroliferi a prezzi più convenienti rispetto a quelli ad essa praticati dalla “S.P. s.r.l.”

2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla natura meramente apparente della motivazione in relazione al fumus commissi delicti. Si deduce che la motivazione dell’ordinanza impugnata è apparente, perché non spiega, in concreto, come gli elementi valorizzati siano idonei a configurare il dolo richiesto per la configurabilità del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.

3. Successivamente, N.Z., nella qualità di legale rappresentante della “N.G. s.r.l.”, con atto a firma dell’avvocato Massimo Donini, ha presentato un motivo nuovo, con il quale denuncia violazione di legge, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla applicabilità, e, in subordine, alle condizioni di applicabilità, del dolo eventuale alla fattispecie di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.

Si premette che: a) l’ordinanza impugnata accoglie una nozione di dolo eventuale corrispondente a quella di “colpa paradigmatica”; b) nel sistema della c.d. “frode carosello”, l’acquirente può essere vittima inconsapevole, in quanto cliente ignaro, e il fine illecito perseguito dallo stesso è quello di conseguire un indebito rimborso, fine presupponente, però, una consapevolezza corrispondente a quella del fine di evasione, e, quindi, la consapevolezza di acquistare i beni da un soggetto diverso da quello reale.

Si deduce, a questo punto, che l’affermazione della compatibilità del reato a dolo specifico con il dolo eventuale trasforma, di fatto, il reato a dolo specifico in un reato a solo dolo generico. Si precisa che, nei reati a dolo specifico, il dolo eventuale può riguardare esclusivamente presupposti o elementi del fatto tipico, ma non il fine, perché, altrimenti, questo è eliminato dalla fattispecie, ed il reato diventa configurabile, alternativamente, o come delitto a dolo generico con evento di pericolo o come delitto a dolo specifico con evento di danno.

Si deduce, poi, che, anche a voler ritenere compatibile la fattispecie di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 con il dolo eventuale, gli elementi valorizzati nell’ordinanza impugnata non evidenziano la certezza dell’acquirente circa l’illiceità delle condotte delle ditte cedenti, e nemmeno la determinazione del medesimo ad effettuare l’acquisto a qualunque costo, come sarebbe necessario per l’integrazione del dolo eventuale secondo la nozione accolta dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite. Si segnala, infatti, che le Sezioni Unite, con riferimento alla linea di confine tra ricettazione ed incauto acquisto (Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, dep. 2010, Nocera, Rv. 246324-01), hanno ammesso una sola ipotesi di ricettazione con dolo eventuale: quando si può ritenere che il soggetto avrebbe agito comunque, anche se avesse conosciuto la provenienza delittuosa della cosa. Si aggiunge che le Sezioni Unite hanno poi riproposto, in chiave ancor più garantista tale insegnamento (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, spec. §§ 43.2, 44, 51 e 51.11), sottolineando che il dolo eventuale richiede un accertamento sull’effettività dell’atteggiamento volitivo dell’agente «dovendosi indagare la sfera interiore» e «ricostruire il processo decisionale ed i suoi motivi». Si rappresenta, quindi, che gli elementi esposti nell’ordinanza impugnata valorizzano la violazione di doveri istruttori, costituenti omissione colposa, ovvero il controverso profilo della vantaggiosità del prezzo, comunque elemento di tipo oggettivo, inidoneo a consentire di scandagliare l’aspetto volitivo che ha sorretto la condotta dell’agente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.

2. Le questioni sollevate nel ricorso e nel motivo nuovo riguardano condizioni di configurabiltà, contenuto e criteri di accertamento del dolo.

Per ragioni di linearità espositiva, le stesse saranno esaminate secondo l’ordine appena indicato.

3. In tema di condizioni di configurabilità del dolo, la questione posta dalla ricorrente, specificamente nel motivo nuovo, ha ad oggetto la compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico, espressamente ritenuta dall’ordinanza impugnata.

3.1. La questione in esame, con specifico riferimento al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, è stata risolta più volte affermativamente dalla giurisprudenza di legittimità.

Precisamente, la compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico richiesto dall’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, è stata asserita da: Sez. 3, n. 28158 del 29/03/2019, Caldarelli, non massimata; Sez. 3, n. 52411 del 19/06/2018, B., Rv. 274104-01; Sez. 3, n. 30492 del 23/06/2015, Damiani, Rv. 264395-01. In particolare, tale compatibilità è stata ritenuta sia perché la finalità di evadere le imposte (o di ricevere un indebito rimborso) è ulteriore rispetto al fatto tipico, sia perché il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 è reato di pericolo e non di danno, e, quindi, prescinde da una effettiva evasione del debito tributario, sia perché, in linea generale, la prevalente giurisprudenza, specie in materia di furto e di ricettazione, ritiene compatibile dolo eventuale e dolo specifico (queste ragioni giustificative sono esposte specificamente da Sez. 3, n. 52411 del 2018, cit.).

Non risultano, inoltre, precedenti contrari.

Può essere utile aggiungere che, sempre nella giurisprudenza di legittimità, risulta costante l’indirizzo che ravvisa la compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico anche in relazione agli altri delitti previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 i quali richiedono tale forma di finalizzazione volontaria della condotta, come, ad esempio, nel caso dei reati di dichiarazione infedele (Sez. 3, n. 30492 del 2015, cit.), di omessa dichiarazione (Sez. 3, n. 7000 del 23/11/2017, dep. 2018, Venturini, Rv. 272578-01), di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, C., Rv. 273939-01).

3.2. In linea generale, però, la compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico non costituisce affermazione univoca nella giurisprudenza di legittimità, perché più volte esclusa da decisioni relative ad altre fattispecie di reato.

In particolare, si è affermato, che il delitto di illecito trattamento di dati personali, di cui all’art. 167, comma 2, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in quanto reato a dolo specifico, non è configurabile a titolo di dolo eventuale, perché «la strutturale intenzionalità finalistica della condotta tipica» non è compatibile con la seconda forma di colpevolezza, la quale «postula l’accettazione solo in via ipotetica, seppur avverabile, del conseguimento di un risultato» (Sez. 3, n. 3683 del 11/12/2013, dep. 2014, De Simone, Rv. 258492-01).

Analogamente, e per le medesime ragioni, è stata esclusa in precedenza la configurabilità a titolo di dolo eventuale dei reati di:

-) corruzione di minorenne, di cui all’art. 609-quinquies cod. pen. (Sez. 3, n. 15633 del 12/03/2008, M., Rv. 240036-01);

-) devastazione, saccheggio e strage, di cui all’art. 285 cod. pen. (Sez. 2, n. 25436 del 06/06/2007, Lauro, Rv. 237153-01);

-) mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice di cui all’art. 388, terzo e quarto comma, cod. pen., nel testo vigente prima della riforma recata dall’art. 3, comma 21, legge 15 luglio 2009, n. 94 (Sez. 6, n. 34521 del 05/07/2004, Perucci, non massimata;

-) strage, di cui all’art. 422 cod. pen. (Sez. 1, n. 11394 del 11/02/1991, Abel, Rv. 188643-01; Sez. 1, n. 5914 del 29/01/1990, Cicuttini, Rv. 184126-01; Sez. 1, n. 11074 del 05/07/1988, Capone, Rv. 179714-01).

3.3. In dottrina, poi, le opinioni sono prevalentemente critiche circa la compatibilità di dolo eventuale e dolo specifico.

Con specifico riferimento ai reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, si osserva che il dolo specifico ha una funzione di garanzia o comunque selettiva delle condotte rilevanti, e che, da un punto di vista logico, appare difficile credere che il complesso ed articolato meccanismo fraudolento, sfociante in una dichiarazione mendace, sia sorretto da un atteggiamento psicologico di accettazione del rischio.

Più in generale, inoltre, si rappresenta che il dolo eventuale è compatibile con il dolo specifico solo se l’accettazione del rischio riguarda elementi del fatto di reato diversi da quello concernente la finalità penalmente rilevante.

3.4. Ad avviso del Collegio, deve essere confermato l’indirizzo ermeneutico che ritiene configurabile il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti anche in caso di dolo eventuale, da intendere in termini di lucida accettazione, da parte dell’agente, dell’evento lesivo, e quindi anche del fine di evasione o di indebito rimborso, come conseguenza della sua condotta.

3.4.1. In proposito, appare importante una osservazione preliminare.

Il problema della compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico, anche alla luce dell’analisi della elaborazione della dottrina e della giurisprudenza, ed almeno in linea generale, risulta discendere non da specifici divieti di legge, bensì dal contenuto che deve caratterizzare il primo, e cioè dalla “capacità” dello stesso a “comprendere”, o meno, anche il fine richiesto dal legislatore per l’integrazione del reato.

3.4.2. Ciò posto, una importantissima indicazione a sostegno della compatibilità, in linea generale, del dolo eventuale con il dolo specifico risulta desumibile dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, e segnatamente da Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, dep. 2010, Nocera, Rv. 246324-01 e 246323-01, in materia di ricettazione.

Questa decisione, infatti, ha affermato, enunciando un principio cui si è costantemente uniformata la giurisprudenza successiva (cfr., per citare l’ultima decisione massimata, Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, Sarr, Rv. 270179-01), che l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, a sua volta ravvisabile quando è possibile concludere che l’agente, pur rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuto la certezza (cfr. Rv. 246324-01). Sembra utile evidenziare, tra l’altro, che la pronuncia ha precisato come il dolo eventuale possa avere ad oggetto, oltre alla verificazione dell’evento, il presupposto della condotta, consistendo, in questo caso, nella rappresentazione della possibilità dell’esistenza del presupposto stesso e nell’accettazione dell’eventualità di tale esistenza (cfr. Rv. 246323-01).

La decisione appena richiamata appare importante ai fini della questione esaminata in questa sede per un duplice ordine di ragioni. Essa, infatti, da un lato, pur non affrontando la questione in termini espliciti, ha comunque ritenuto configurabile, in presenza di dolo eventuale, un delitto per il quale è richiesto il dolo specifico (nella ricettazione, il reo deve agire «al fine di procurare a sé o ad altri un profitto»). Dall’altro, ha evidenziato come la nozione di dolo eventuale si caratterizza per un pregnante contenuto rappresentativo e volitivo, non riducibile alla mera accettazione del rischio, ma implicante la necessaria accettazione dell’evento stesso quale conseguenza della condotta dell’agente.

3.4.3. Queste conclusioni, con specifico riguardo alla nozione di dolo eventuale, sembrano ancor più significative se valutate alla luce della più recente elaborazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite in materia.

In effetti, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261104-01, enunciando un principio cui ha prestato ampia adesione la successiva giurisprudenza di legittimità (cfr., per citare la più recente nnassimata, Sez. 4, n. 14663 del 08/03/2018, A., Rv. 273014-01), ha evidenziato che il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi (così la massima ufficiale; pressoché identico il testo della sentenza impugnata, § 50, a pag. 182, in fine).

La medesima sentenza Espenhahn, inoltre, proprio muovendo dalla necessità di una “lucida” raffigurazione nell’agente della realistica prospettiva di possibile verificazione dell’evento concreto quale effetto collaterale della condotta e di una consapevole “determinazione” ad agire comunque, ha significativamente precisato che lo «stato di dubbio irrisolto […] non risolve il problema del dolo eventuale: indica un indizio, ma è pur sempre necessario dimostrare che lo stato d’incertezza sia accompagnato dalla già evocata, positiva adesione all’evento; dalla scelta di agire a costo di ledere l’interesse protetto dalla legge.» (così, in motivazione, § 50, pag. 183).

3.4.4. La nozione di dolo eventuale accolta dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, ad avviso del Collegio, risulta estremamente significativa ai fini della soluzione della questione oggetto di esame.

Invero, si è premesso che il problema della compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico discende non da puntuali divieti normativi, bensì dal contenuto che caratterizza le due forme di elemento soggettivo.

Ora, la struttura del dolo eventuale, così come conformata alla luce dei principi enunciati dalle Sezioni Unite, si caratterizza per un contenuto rappresentativo e volitivo tale da “includere” in termini di effettività e concretezza anche la specifica finalità richiesta dalla legge ai fini dell’integrazione del reato. Se, infatti, ai fini della configurabilità del dolo eventuale, l’agente deve “lucidamente” raffigurarsi il fatto lesivo quale conseguenza della sua condotta, e deve inoltre consapevolmente determinarsi ad agire comunque, accettando compiutamente la verificazione di tale fatto lesivo, risulta ragionevole concludere che il medesimo agente, nella indicata situazione, pone in essere la sua condotta nella piena consapevolezza che questa potrà realizzare anche la specifica finalità richiesta dalla legge ai fini dell’integrazione del reato, e, quindi, nell’attivarsi accettandola, la fa propria.

4. La seconda questione posta dalla ricorrente, in particolare, ma non solo nel motivo nuovo, ha ad oggetto il contenuto del dolo eventuale, ove si ritenga lo stesso sufficiente ai fini della configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

In proposito, le osservazioni della difesa circa nozione, struttura e contenuto sono ampiamente condivisibili, perché rimandano alla elaborazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite in materia, sopra richiamata.

Tuttavia, l’applicazione della nozione di dolo eventuale nei termini enunciati dalle Sezioni Unite, e in particolare da Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261104-01, non risulta, nella specie, decisiva ai fini dell’accoglimento del ricorso.

Invero, l’ordinanza impugnata, da un lato, nell’affermare la compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico ai fini della configurabilità dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, non ha accolto nozioni erronee di dolo eventuale. Dall’altro, ha comunque evidenziato una serie di elementi ritenuti significativi a tal fine. Di conseguenza, il reale problema da esaminare risulta quello concernente la correttezza della individuazione, nell’ordinanza impugnata, degli indicatori del dolo eventuale.

5. La terza questione posta dalla ricorrente, tanto nel ricorso principale quanto nel motivo nuovo, attiene ai criteri di accertamento del dolo, nella duplice prospettiva della legittimità dei parametri individuati e dell’esistenza di una effettiva motivazione sul punto.

5.1. La questione sollevata, siccome formulata innanzitutto sotto il profilo metodologico, è qualificabile in termini di violazione di legge e, quindi, non può essere ritenuta inammissibile nemmeno in questa sede, pur concernente l’applicazione di misure cautelari reali.

5.1.1. Costituisce insegnamento consolidato, e seriamente non contestabile, quello per cui un ruolo decisivo ai fini dell’accertamento del dolo è svolto dagli elementi indiziari.

Non a caso, anzi, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261105- 01, ha programmaticamente evidenziato che «l’indagine sul dolo eventuale si colloca sul piano indiziario» (così § 51, pag. 183).

Tra questi indicatori, in particolare, vengono segnalati: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (così la massima ufficiale, poi ripresa da numerose decisioni, tra le quali, ad esempio, Sez. 4, n. 14663 del 08/03/2018, A., Rv. 273014-01).

Incentrando l’attenzione su profili specificamente rilevanti in questa sede, può essere utile richiamare alcune specifiche indicazioni offerte da Sez. U, n. 38343 del 2014, Espenhahn, cit. Detta decisione, tra l’altro, rappresenta che, «negli ambiti governati da discipline cautelari, [rileva] la lontananza dalla condotta standard. Quanto più grave ed estrema è la colpa tanto più si apre la strada ad una cauta considerazione della prospettiva dolosa» (v. § 51.2, pag. 184). Osserva, poi, che «una condotta lungamente protratta, studiata, ponderata, basata su una completa ed esatta conoscenza e comprensione dei fatti, apre realisticamente alla concreta ipotesi che vi sia stata previsione ed accettazione delle conseguenze lesive» (§ 51.4, pag. 185). Segnala, ancora, l’importanza della «motivazione di fondo» della condotta e della «congruenza del “prezzo” connesso all’evento non direttamente voluto rispetto al progetto d’azione» (§ 51.6, pag. 185).

5.1.2. Ciò posto, tuttavia, l’esame della questione, in concreto, non può non risentire dei limiti individuati dalla consolidata elaborazione giurisprudenziale in materia di elementi necessari per l’applicazione di misure cautelari reali.

Invero, a tale proposito, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, ai fini dell’affermazione del fumus commissi delicti, per ritenere ravvisabile l’elemento soggettivo della fattispecie è sufficiente dare atto dei dati di fatto che non permettono di escludere ictu oculi la sussistenza del medesimo (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 276015-01, e Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi, Rv. 266896-01).

Ma, anche volendo prescindere da tale indirizzo ermeneutico, occorre in ogni caso considerare che, in materia di misure cautelari reali, in linea generale, ai fini dell’affermazione del fumus commissi delicti, pure secondo l’orientamento più garantista, non sono necessari “gravi” indizi di colpevolezza o del reato, ma solo elementi di fatto, anche solo indiziari, che consentano di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato (così, per tutte, Sez. 5, n. 3722 del 11/12/2019, dep. 2020, Gheri, Rv. 278152-01; per l’opposto indirizzo, che reputa sufficiente la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato, v., ad esempio, Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018, Armeli, Rv. 273069- 01).

5.2. L’ordinanza impugnata, dopo una puntuale ricapitolazione delle vicende del procedimento, ed una analitica indicazione degli elementi prodotti dalla difesa, osserva che i dati acquisiti supportano adeguatamente l’affermazione della esistenza del fumus commissi delicti con riferimento al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Evidenzia i seguenti elementi: a) la visura camerale relativa società “cartiera” con la quale sono intercorsi i rapporti oggetto del primo periodo di contestazione, la “A. s.r.l.”, non è stata esibita dalla società “N.G. s.r.l.” fino alla chiusura della verifica fiscale, come espressamente segnalato nel processo verbale di constatazione del 13 dicembre 2018, ed è stata prodotta solo in sede di riesame; b) la visura camerale relativa società “cartiera” con la quale sono intercorsi i rapporti oggetto del secondo periodo di contestazione, la “S.P. s.r.l.”, non è stata mai esibita, né prodotta, nemmeno in sede di riesame, dalla società “N.G. s.r.l.”; c) i rapporti della società “N.G. s.r.l.” con la “A. s.r.l.” sono cessati non appena questa società è stata attinta da verifica fiscale e sono stati immediatamente sostituiti con i rapporti con la “S.P. s.r.l.”, entrambe ditte facenti riferimento al medesimo soggetto “sostanziale”, la “D.V. s.r.l.”; d) i modelli F24 relativi ai pagamenti I.V.A. della “A. s.r.l.” sono stati acquisiti solo fino al 31 gennaio 2017, tra l’altro non direttamente dalla società “N.G. s.r.l.”, ma dal mediatore O.L., e non sono stati prodotti, sebbene espressamente richiesti, nel corso della verifica fiscale; e) non risultano mai acquisiti modelli F24 relativi ai pagamenti I.V.A. della “S.P. s.r.l.”; f) l’assenza di contatti ufficiali diretti con gli amministratori delle due società “cartiere”, e l’anomala indicazione, da parte del vicepresidente del consiglio di amministrazione della “N.G. s.r.l.”, N.D., di avere avuto contatti con amministratori delle due società “cartiere”, o con loro rappresentanti, senza però ricordarne il nome, circostanza significativa in quanto gli amministratori delle predette società risultano soggetti inesistenti o estranei all’attività di fornitura di carburanti, e le precisate imprese fantasma risultano prive di numero telefonico fisso; g) i prezzi di vendita praticati dalla “A. s.r.l. ” e dalla “S.P. s.r.l.”, anche tenendo conto dei rilievi della difesa, e confrontati con quelli praticati in pari data da sette delle dieci compagnie operanti nella zona in cui è insediata la “N.G. s.r.l.”, risultano aver assicurato a quest’ultima nell’anno 2017, un risparmio di spesa pari a 248.040,00 euro, di cui 88.894,00 per ia benzina, e 159.146,00 per il gasolio.

L’ordinanza, inoltre, in premessa, rileva come la “N.G. s.r.l.” ha interrotto i rapporti non solo con la “A. s.r.l.”, ma anche con la “S.P. s.r.l.” in un momento significativo. Invero, mentre con la prima i rapporti sono cessati allorché questa è stata sottoposta a verifica fiscale, con la seconda i rapporti sono cessati all’indomani dell’entrata in vigore del decreto del M.E.F. n. 18 del 10.01.2018, attuativo della legge n. 96 del 2017, che ha esteso anche al settore dei carburanti la disciplina della responsabilità nel versamento dell’I.V.A. tra cedente e cessionario di cui all’art. 60-bis d.P.R. n. 633 del 1972, dettata proprio per contrastare le c.d. “frodi carosello”).

5.3. Alla luce dei principi giuridici da applicare e degli elementi esposti, l’ordinanza impugnata risulta correttamente motivata anche, e specificamente, con riguardo al punto concernente il dolo.

Ed infatti, il Tribunale, ai fini dell’affermazione del fumus commissi delicti in ordine al dolo del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ha valorizzato elementi concernenti, in particolare: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa, stante l’assenza di qualunque accertamento su fornitori che pure hanno erogato beni per un valore di milioni di euro; b) la durata e la ripetizione dell’azione, articolatasi per più forniture, nell’arco di un anno, ed in rapida successione con due ditte formalmente diverse; c) il comportamento successivo al fatto, e cioè l’immediata cessazione dei rapporti in coincidenza con eventi significativi (la verifica fiscale nei confronti della “A. s.r.l.”, e l’entrata in vigore del decreto del M.E.F. n. 18 del 10.01.2018); d) il fine della condotta, di conseguire un “risparmio” di spesa, e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali della condotta, ossia l’accettazione di utilizzate fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

Di conseguenza, a maggior ragione se si considera che la valutazione è stata effettuata ai fini dell’applicazione di una misura cautelare reale, per disporre la quale non occorrono gravi indizi di colpevolezza, deve escludersi la configurabilità di violazioni della legge penale o processuale o di una motivazione meramente apparente.

6. Alla infondatezza delle censure proposte segue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.